Un dramma nell'Oceano Pacifico/7. I frangenti
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | 6. Il delitto del naufrago | 8. Arenati sulle scogliere di Figi-Levù | ► |
Capitolo Settimo.
I frangenti.
Nè il capitano Hill che si trovava sul ponte di comando, nè il vecchio Asthor che concentrava tutti i suoi sforzi sulla ribolla del timone per mantenere sempre la nave sulla buona via, nè l’equipaggio che aveva un gran da fare a evitare le ondate che irrompevano ad ogni istante in coperta e che era occupato a bracciare continuamente le vele basse, si erano accorti della caduta del tenente Collin.
Il mare irritato e le tenebre avevano coperto quell’assassinio, forse lungamente meditato da quel sinistro uomo, e così freddamente consumato.
Il naufrago ridisceso in coperta era silenziosamente scivolato a prua e pareva occupato alla manovra dei flocchi, sicuro ormai di non essere stato veduto da nessuno, poichè l’oscurità non permetteva di distinguere l’assenza di chicchessia. Malgrado però la sua apparente calma, più volte si era curvato sulla prua, aveva scrutato profondamente quei flutti irritati e aveva teso l’orecchio a lungo, temendo che il disgraziato tenente seguisse la nave e chiamasse aiuto.
Certo la coscienza di Bill, per quanto fosse incallita nel delitto, non doveva in quel momento essere tranquilla, poichè tutte le volte che incontrava gli sguardi di qualche marinaio impallidiva orribilmente, e gli si gelava sulle labbra lo strano sorriso che di rado lo abbandonava.
Erano passati dieci minuti e la Nuova Georgia, trasportata dall’uragano aveva percorso un miglio, quando il capitano Hill, vedendo ancora semi-sciolta la vela di parrocchetto e non scorgendo fra l’equipaggio il tenente, si mise a gridare:
— Ohe! Signor Collin, dove siete? Volete un aiuto? —
I soli muggiti delle onde e i fischi sempre più violenti e stridenti del vento, risposero a quella domanda.
Il capitano credendo che la sua voce non fosse stata udita, discese dal ponte di comando e si avanzò fino ai piedi dell’albero di trinchetto cercando di discernere il tenente fra le vele e i cordami; ma l’oscurità era così profonda, che non potevasi distinguere alcuna cosa.
— Signor Collin! — ripetè con voce tuonante.
Anche questa volta la domanda rimase senza risposta.
— Scommetterei un penny contro una sterlina che il signor Collin non è sull’albero — disse un marinaio che era salito sul castello di prua per meglio vedere.
— È impossibile! — esclamò il capitano impallidendo.
— Eppure, signore, io non lo scorgo nè sulla coffa, nè sulla crocetta, nè sui pennoni, — disse il marinaio.
— Che gli sia avvenuta qualche disgrazia? Ma quando?... Come?... Avete udito nessun grido voialtri?
— Nessuno, signore, — risposero i marinai che si erano aggruppati presso l’albero.
— Non l’avete veduto discendere?
— No.
— Che sia caduto in mare? —
In quel momento un lampo abbagliante ruppe l’oscurità che pesava sull’oceano. Tutti gli occhi si fissarono sulla vela di parrocchetto e tutti videro distintamente che il luogotenente non era più sull’albero.
— Gran Dio! — esclamò il capitano, facendo un gesto disperato.
Si slanciò verso la murata di babordo scrutando le onde e gettò tre tuonanti chiamate:
— Signor Collin!... Dove siete?... Rispondete, in nome di Dio!... —
Anche queste chiamate non ebbero esito migliore delle altre. Il mare ruggiva sempre, il vento urlava e fischiava attraverso l’alberatura e il sartiame, ma nessuna voce umana si udiva mescolarsi alla possente voce della tempesta.
— Perduto!... — esclamò il capitano Hill con accento disperato. — Asthor, viriamo di bordo!...
— La tempesta incalza, signore, e le onde ci assaliranno sui fianchi, — disse il vecchio marinaio.
— Bisogna tentare di salvarlo.
— Badate, signore, che metterete a pericolo la nave.
— Non importa, Asthor; tutto si deve tentare per salvarlo. Ai bracci delle vele voialtri e pronti per virare!... —
Era una pazzia il voler virare di bordo con quell’uragano che assaliva furiosamente la Nuova Georgia. Le onde potevano irrompere sul suo fianco, spostare il carico della stiva e rovesciarla; ma il capitano Hill era un uomo di gran cuore, che amava molto i suoi uomini e voleva tentare a qualunque rischio il salvataggio del disgraziato ufficiale.
Sotto la robusta mano del vecchio pilota, la Nuova Georgia virò di bordo presentando per alcuni istanti il fianco destro alle onde. Sotto la spinta formidabile di quelle masse liquide che il vento trascinava in una corsa disordinata verso l’est, si piegò talmente da temere che si rovesciasse per sempre: ma si risollevò quasi subito e ritornò sulla via poco prima percorsa, affrontando con l’affilata sua prua l’uragano che ora l’assaliva di fronte.
Il capitano Hill e gran parte dell’equipaggio, affollati sul castello di prua, scrutavano avidamente le tenebre e di quando in quando mandavano acute chiamate. L’armaiuolo di bordo aveva fatto portare in coperta il piccolo cannone e lo scaricava a intervalli di due o tre minuti.
Alcune volte, fra i muggiti delle onde, pareva di udire una lontana chiamata o un grido straziante, ma poi l’equipaggio si persuadeva di essersi ingannato. Il vento quando fischia fra l’attrezzatura produce sovente dei suoni così strani, da scambiarli bene spesso per grida di naufraghi.
— È perduto! — esclamava il capitano Hill strappandosi i capelli dal dolore. — Povero Collin! Così buono, così coraggioso e così giovane!... Sento che non lo ritroverò più mai!...
— Se fosse vivo, avrebbe risposto alle nostre grida e ai nostri segnali, signore, — disse il vecchio Asthor che aveva affidato il timone al contro-mastro.
— Ma come mai cadde senza mandare un grido e senza che si vedesse?
— Gli saranno venute meno le forze e il vento l’avrà strappato dal pennone, oppure è caduto per una forte scossa.
— Ma senza mandare un grido?
— Che il pennone di pappafico lo abbia percosso al capo in modo da farlo svenire?
— Bisogna supporlo, Asthor.
— Se ciò è accaduto, il povero ufficiale a quest’ora riposa in fondo agli abissi marini. Ritorniamo, capitano. —
Continuare a lottare contro la tempesta che era girata all’ovest, non era prudenza. La nave era solida, sì, ma il fasciame poteva da un istante all’altro cedere agli urti sempre più potenti di quelle masse liquide.
La Nuova Georgia guidata da Asthor, che aveva ripresa la ribolla del timone, virò nuovamente di bordo e riprese la rotta primiera, lasciandosi trasportare dall’uragano che non accennava ancora a calmarsi.
Il capitano Hill però ed anche l’equipaggio non riuscivano a staccare gli occhi da quel tratto d’oceano, nelle cui onde era stato inghiottito il povero Collin e quantunque ormai assai lontani, si vedevano curvarsi di frequente sui bordi e guardare lungamente lontano, quasi avessero la speranza di veder passare presso la nave il cadavere dell’audace e sfortunato marinaio.
Un uomo solo pareva fosse contento di allontanarsi da quei paraggi, e questo era il naufrago, il quale ormai si teneva sicuro, ben sapendo che l’oceano non restituisce la preda e che sa conservare troppo bene i segreti. Aveva avuto paura dapprima, quando cioè la nave era ritornata sulla propria via, non essendo certo che il luogotenente fosse morto, ma ora più nulla aveva da temere, e poteva respirare tranquillamente.
Il delitto non aveva avuto testimoni; nessuno aveva veduto la scena svoltasi sul pennone del parrocchetto; a che adunque temere?
Intanto la Nuova Georgia continuava a fuggire dinanzi all’uragano, con una velocità che il capitano Hill stimava superiore ai tredici nodi. S’avvicinava alle isole sulle quali, secondo quanto aveva narrato il naufrago, dovevano trovarsi i superstiti della nave affondata. Si poteva ormai dire che non era molto lontana, poichè già l’oceano si rompeva con maggior furore, segno evidente che stava per rinserrarsi fra le isole dell’arcipelago Figiano.
Verso le due del mattino, un marinaio che era salito sul castello di prua per imbrogliare la trinchettina che il vento aveva sciolto, segnalò un fuoco che si scorgeva verso il sud-est.
Il capitano Hill puntò il cannocchiale in quella direzione, e scorse infatti un punto luminoso che appariva e scompariva secondo che le montagne d’acqua si alzavano o si abbassavano.
— Che siamo di già presso l’arcipelago Figiano? — disse fra sè. — Vorrei essere lontano ancora trecento leghe piuttosto che trovarmi addosso a quelle terre con simile tempesta.
In quell’istante apparve sul ponte miss Anna. La coraggiosa giovanetta aveva indossato un lungo mantello di tela impermeabile e non pareva spaventata, quantunque la Nuova Georgia beccheggiasse e rollasse spaventosamente e le onde montassero sempre in coperta, correndo all’impazzata da prua a poppa.
— Dove siamo, padre mio? — chiese ella.
— Quale pazzia, Anna, salire sul ponte con questo uragano, — disse il capitano correndole incontro.
— Sono inquieta, babbo, e poi vicina a te mi pare di non correre pericolo alcuno. Non accenna a cessare questo uragano?
— Non ancora, e temo che si prolunghi fin troppo.
— Che notte orribile!
— Tremenda, Anna, e disgraziata per uno di noi.
— Cosa vuoi dire?...
— Collin non è più con noi.
— Morto!...
— È scomparso mentre dall’alto del parrocchetto tentava d’imbrogliare la vela.
— Quale disgrazia! — esclamò la giovinetta con voce soffocata. — Morto!... Lui morto!...
Due lagrimoni le scendevano sulle gote, mentre un rauco singhiozzo le saliva alla gola.
— Morto! — ripetè per la terza volta. — E tu non l’hai salvato?
— Nessuno lo ha veduto cadere in mare, e quando mi accorsi della sua scomparsa eravamo assai lontani.
— E non sei ritornato?
— Abbiamo virato di bordo a rischio di inabissarci tutti e l’abbiamo cercato a lungo, ma il disgraziato era scomparso.
— Ah! Padre mio!...
— Terra a prua! — gridò in quell’istante un marinaio.
— I frangenti a tribordo! — urlò un altro che si teneva ritto sulla murata, aggrappato ai paterazzi dell’albero di maestra. — Attenzione, Asthor!...
— Gran Dio! — esclamò il capitano Hill. — Dove siamo noi?... —
Stava per slanciarsi verso prua, quando un uomo gli sbarrò il passo: quest’uomo era il naufrago.
— Cosa vuoi Bill? — gli chiese.
— Se vi preme la vita, fate imbrogliare le vele o cercate di riguadagnare il largo, — rispose il naufrago con voce sorda.
— Conosci questi luoghi?
— Sì, capitano.
— Dove siamo noi?
— Dinanzi ai frangenti di Figi-Levù. —
Poi si tirò da una parte per dare il passo al capitano e si avvicinò a miss Anna, che pareva ancora atterrita per la disgraziata fine del signor Collin e che si sforzava a soffocare dei singhiozzi.
— Signorina, — le disse fissandola con due occhi che mandavano vivi lampi. — Volete che io salvi tutti o che perda tutti?
La giovinetta alzò il capo che teneva chinato sul petto e guardò con stupore quell’uomo che le indirizzava una così strana domanda.
— Cosa avete detto, Bill? — gli chiese.
— La nave è perduta, signora.
— Come lo sapete voi?
— Sta sui frangenti, e fra pochi minuti si sventrerà sugli scogli coralliferi di Figi-Levù.
— Ma salvatela adunque!
— Lo volete, miss Anna?
— Ne va la vita di tutti!
Il naufrago scrollò le spalle con un gesto di noncuranza, poi disse con voce sorda:
— È voi che desidero salvare, perchè non voglio che finiate sotto i denti dei cannibali. —
Si slanciò verso poppa e guardò per alcuni istanti intorno alla nave. Il mare si infrangeva furiosamente per ogni dove, rimbalzando a grande altezza con sprazzi mostruosi. Ruggiva orribilmente sopra i bassifondi che lo tenevano imprigionato, cercando di sorpassarli o di spazzarli via.
All’est, attraverso le tenebre, si scorgeva confusamente una massa enorme sormontata da una serie di picchi aguzzi che si perdevano, di quando in quando, fra le nubi che volteggiavano in tutte le direzioni trascinate dal vento che pareva impazzito.
Il naufrago con un solo salto balzò giù dal cassero e si fermò dinanzi al capitano, che correva verso il ponte di comando.
— Signore! — gli disse.
— Cosa vuoi, Bill? Spicciati, chè i minuti sono preziosi.
— Se volete che la vostra nave non s’infranga sulle scogliere, è necessario che mi affidiate il comando per pochi istanti.
— Cosa vuoi fare?
— Salvare la vostra nave, ho detto.
— Sei capace di compiere questo miracolo?
— Conosco l’isola e le sue scogliere, signore!
— Comanda adunque!
Il naufrago salì sul ponte di comando, imboccò il portavoce e gridò:
— Asthor, barra tutta all’orza! Due àncore a picco a prua!... —
Il vecchio timoniere ubbidì. La Nuova Georgia a quel colpo di timone virò sul posto, presentando la prua alle onde; subito i marinai lasciarono cadere le due ancore che s’infissero solidamente sul fondo roccioso dei bassifondi. Quando vide la nave fermarsi, il naufrago si avvicinò al capitano che lo aveva raggiunto sul ponte di comando e gli chiese:
— Avete dell’olio a bordo?
— Dell’olio! — esclamò l’americano guardandolo con profondo stupore.
— Dalla vostra risposta dipende la salvezza della nave.
— Ma cosa volete farne?
— Lo saprete poi. Fate portare in coperta tutto quello che avete. —
Due marinai, al comando del capitano, discesero nella dispensa e ritornarono sul ponte portando due barili della capacità di sessanta o settanta litri ciascuno. Il naufrago senza perder tempo, poichè la nave ancorata come era, subiva a prua delle scosse tremende che minacciavano o di sfasciarla o di spezzare le catene, fece riempire di canape due sacchi di tela ben fitta, vi fece versare dentro alcuni litri d’olio e li calò uno a tribordo e uno a babordo.
Allora, dinanzi agli occhi dell’equipaggio stupefatto, avvenne un fenomeno strano, meraviglioso. Appena quei due sacchi, dai cui fori piccolissimi trapelava lentamente l’olio, ebbero toccata l’acqua, le onde quasi per incanto si spianarono tutto all’intorno.
Fin dove giungeva l’olio, che si espandeva rapidamente, l’acqua si estendeva tranquilla, senza contrazioni, senza sussulti, mantenendo la nave quasi immobile; ma al di là di quella zona si vedeva il mare dibattersi con una rabbia estrema, quasi volesse sfogarsi di quella calma forzata.
Il naufrago avvicinandosi allora al capitano stupefatto, gli disse:
— Se le àncore non cedono, potremo attendere con piena sicurezza l’alba di domani, o potremo aspettare che l’uragano si calmi; se le catene si spezzano, per noi e per i miei compagni è finita, poichè laggiù si stende l’isola dei cannibali. Sperate!... —