Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
66 | capitolo settimo. |
Intanto la Nuova Georgia continuava a fuggire dinanzi all’uragano, con una velocità che il capitano Hill stimava superiore ai tredici nodi. S’avvicinava alle isole sulle quali, secondo quanto aveva narrato il naufrago, dovevano trovarsi i superstiti della nave affondata. Si poteva ormai dire che non era molto lontana, poichè già l’oceano si rompeva con maggior furore, segno evidente che stava per rinserrarsi fra le isole dell’arcipelago Figiano.
Verso le due del mattino, un marinaio che era salito sul castello di prua per imbrogliare la trinchettina che il vento aveva sciolto, segnalò un fuoco che si scorgeva verso il sud-est.
Il capitano Hill puntò il cannocchiale in quella direzione, e scorse infatti un punto luminoso che appariva e scompariva secondo che le montagne d’acqua si alzavano o si abbassavano.
— Che siamo di già presso l’arcipelago Figiano? — disse fra sè. — Vorrei essere lontano ancora trecento leghe piuttosto che trovarmi addosso a quelle terre con simile tempesta.
In quell’istante apparve sul ponte miss Anna. La coraggiosa giovanetta aveva indossato un lungo mantello di tela impermeabile e non pareva spaventata, quantunque la Nuova Georgia beccheggiasse e rollasse spaventosamente e le onde montassero sempre in coperta, correndo all’impazzata da prua a poppa.
— Dove siamo, padre mio? — chiese ella.
— Quale pazzia, Anna, salire sul ponte con questo uragano, — disse il capitano correndole incontro.
— Sono inquieta, babbo, e poi vicina a te mi pare di non correre pericolo alcuno. Non accenna a cessare questo uragano?
— Non ancora, e temo che si prolunghi fin troppo.
— Che notte orribile!
— Tremenda, Anna, e disgraziata per uno di noi.