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258 TROILO E CRESSIDA


ATTO QUINTO


SCENA I.

Il campo greco - Dinanzi alla tenda di Achille.

Entrano Achille e Patroclo


Ach. Gli infiammerò questa sera il sangue col vino greco, e dimani glielo agghiaccierò col ferro della mia spada. — Patroclo, inebbriamoci di vino.

Patr. Viene Tersite. (entra Tersite)

Ach. Ebbene informe abbozzo di natura, quali novelle rechi?

Ter. Idolo vano adorato dagl’imbelli, quest’è una lettera per te.

Ach. Da qual parte viene?

Ter. Da Troja, insensato.

Ach. Mio caro Patroclo, ecco andato a vuoto il mio disegno di dimani. Quest’è una lettera della regina Ecuba, e una raccomandazione della figlia sua, ch’io amo, per cui sono astretto a mantenere il giuramento che ho fatto. Io nol violerò: cadete, Greci; disperditi, mia gloria; dileguati, onore; io mi atterrò solo al mio primo voto. — Andiamo, Tersite, passeremo la notte in feste: vieni meco, Patroclo. esce con Patr.)

Ter. Con troppo sangue, e troppo poco cervello, coloro diverranno pazzi: ma se dovessero divenirlo per troppo cervello e per poco sangue, vorrei io stesso farmi curatore dei dementi. Ecco Agamennone, uomo onesto, e grande amator di femmine: poi vi è suo fratello, vaga metamorfosi di Giove, toro di razza regia; emblema di tutti i mariti sbertati, che se ne sta sospeso per una catena alla gamba di suo fratello. Sotto qual altra forma infatti potrebbe ritrarlo lo spirito tinto di malizia, o la malizia tinta di spirito? Sotto la forma forse di ciuco? Bene non sarebbe; perchè egli è in pari tempo e bue e duce. Sotto quella di bue? Neppur così andrebbe bene, perchè le qualità del giumento che possiede verrebbero in tal pittura obbliate. Esser cane, mulo, gatto, topo, lucertola, civetta, aringa o acciuga sia col ben di Dio; ma esser Menelao, oh vergogna! cospirerei contro il destino. Non mi chiedete quello che volessi essere, se Tersite non fossi, perchè pre-