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262 | TROILO E CRESSIDA |
Diom. A cui appartenne?
Cres. Non vale: rompo ogni promessa con voi: ve ne prego, Diomede, cessate dall’infestarmi.
Ter. Ora ella arrota i suoi desiderii... bene sta; pietra da aguzzare.
Diom. Lo riavrò.
Cres. Che cosa?
Diom. Quel pegno.
Cres. Oh buoni Dei! Oh dolce pegno! quegli che mi ti diede sta ora nel suo letto pensando a te e a me, e sospira e prende il mio guanto, e gli dà mille teneri baci in memoria mia, come io a te ne do, amato pegno. Ah! non mel togliete: chi mi toglie questo pegno deve togliermi anche il cuore.
Diom. Io l’ebbi prima il cuor vostro.
Troil. Giurai di essere paziente.
Cres. Voi non l’avrete, Diomede; no, non lo avrete; vi darò qualche altra cosa.
Diom. Vuo’ questo; di chi era egli?
Cres. Non importa che lo sappiate.
Diom. Ditemi di chi era.
Cres. Di un uomo, che mi amava più che voi non mi amerete. — Ma poichè ora lo avete ripreso, serbatelo.
Diom. Di chi era esso?
Cres. Per tutte le seguaci di Diana, che splendono là in cielo è per lei stessa, non vi dirò di chi fosse.
Diom. Domani lo porrò sul mio elmo, per cruciare chi lo diede a voi, che però non oserà rivendicarlo.
Troil. Fossi tu il diavolo, e lo portassi fra le corna, e sarebbe rivendicato.
Cres. Or bene; il fatto è irrevocabile... ma però sono anche in tempo... e non atterrò la mia parola.
Diom. Allora, addio dunque: tu non schernirai di più Diomede.
Cres. No, non ve ne andrete. Voi vi sdegnate ad ogni istante.
Diom. Tanta irresolutezza non mi piace.
Ter. Nè a me piace, per Pluto; ma dacchè a voi non piace, mi va un po’ più a sangue.
Diom. Ebbene verrò io?
Cres. Oh Giove!... Venite... Oimè...
Diom. Addio dunque.
Cres. Buona notte. Ve ne prego, venite. — (Diom. esce) Troilo, addio! Ho anche un occhio rivolto a te, ma l’altro segue il mio cuore. Ah! quanto è debole il nostro sesso! La sventura mag-