Trattato di architettura civile e militare I/Vita di Francesco di Giorgio Martini/Capo 7

Vita – Capo VII

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Vita di Francesco di Giorgio Martini - Capo 6 Catalogo dei codici
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CAPO. VII.

Il Duca di Calabria scrive ancora alla Signoria di Siena per riaver Francesco, ma inutilmente. E’ eletto al supremo magistrato di Siena. Nuovi eventi di Montepulciano. Lavora di plastica e getta in bronzo. Pare che andasse di nuovo in Urbino. Gli operai del duomo di Siena gli allogano alcune opere. Sua morte. Sua vita civile e domestica. Suoi discepoli.


Nelle citate lettere scritte dal duca Alfonso ai governanti di Siena, abbiam veduto com’ei si lagni della troppo sollecita partenza di Francesco, per la quale molte provvisioni che pure necessarie erano, non avevano avuto termine: motivo di tanti lavori egli adduceva il sospetto de’ Turchi, taceva il timore de’ propri baroni, la niuna fiducia ne’ principi italiani. Ora un ben altro motivo di provvedersi e munirsi occorrevagli: Lodovico il Moro adoprava presso Carlo VIII di Francia sue arti per muoverlo al conquisto del reame di Napoli, e contro tanta potenza nissuna cura per la difesa loro doveva parer troppa a Ferdinando e ad Alfonso: quindi in essi la brama di riavere per la spedizione degli edifici e fortezze principiate quell’ingegnere che otteneva in Italia maggior grido di eccellenza nell’arte sua, e che, stato altre volte a servire gli Aragonesi nelle cose di architettura militare, e sempre da essi ricercato, doveva di necessità avere profondissima cognizione di tutte le fortezze del regno, secreto gelosissimo di ogni stato; quindi io argomento che se Francesco, chiamato come fu a Napoli nel 1493, vi fosse andato, non sarebbe certamente ritornato in patria a piacimento suo, sì pel bisogno che ne avea Alfonso, sì perchè troppe cose ei sapeva. Per altra parte, quanta fosse nel re di Napoli l’importanza di ottenere il nostro ingegnere, altrettanta erane ne’ reggitori di Siena di non concederlo, e per bisogno proprio, e per scansare presso il re di Francia la taccia di aver fornito al di lui nemico un aiuto di tanto rilievo, e tanto più che per essere, dice il Guicciardini (1), quella città [p. 75 modifica]inclinata insino a’ tempi antichi alla divozione dell’Imperio, gli era sospetta.

Ecco la prima lettera del Duca Alfonso (2):

Magnifici et excelsi Domini amici nostri carissimi

«Havendo noi hauto adviso per lictere del magnifico Neri Placidi et altri de la amorevole et liberale resposta facta per le S. V. in donare non solamente licentia ad nostra richiesta ad mastro Francisco de Giorgio: ma etiam exhortarlo et comandarlo venissi al servitio de la maestà del S.r Re per la expeditione degli edifici et fortericie principiate, ne havemo pigliato grandissimo piacere, nè fossimo mai alieni da tale expectatione: Del altro canto havendo intesa la negativa et resistentia del dicto Mastro Francesco, siamo restati maravigliati et con dispiacere: et per importare questa sua venuta quanto importa: siamo necessitati mandare per la cagione predicta el dilecto nostro familiare Daniele, presente exhibitore: al quale havemo commisso debba supra de ciò referire da nostra parte a le V. S. alcune cose: pregamole dunque vogliano ad soi relati donar piena fede et credenza, con quella bona, celere et effectiva expedi tione quale in le Vostre S. fermamente speramo et confidiamo: ali piaceri de li quali ne offeriamo.

Datum in Abbatia prope Palmam die XVIII martii 1495.

Vester Alfonso Dux Calabriae.

Direzione: Magnificis Dominis officialibus Balie civitatis senarum amicis nostris carissimis.

A questa lettera serve di risposta la seguente minuta del copialettere della repubblica, senza data: Duci Calabriae scriptum est. Francisco Georgii factam esse proficiscendi potestatem; admonitum praeterea eum esse ut Ill.mae D. sue in omnibus gratificaretur. eum nunc egritudinem excusasse, quo circa paucos menses plurimum lesus esset. quantum in nobis fuerit, cum primum id poterit, venturum ad Ill.mam D. V. per prestitumm solite servitutis officia.

Segue una seconda lettera di Alfonso: [p. 76 modifica]
Magnifici Domini amici nostri carissimi.

«Havemo inteso quanto le V. S. ne hanno scripto per una loro responsiva de la resposta facta per mastro Francesco de Giorgio. Replicamo rendendo gratie infinite ad le S. V. de havere declarato et confortatolo ad venire. Et havendo noi aviso per via de la excusatione facta per Maestro Francisco, non posser venir per causa de certa sua indispositione, che al cavalcare li offenderia: havemo mandatoli un homo nostro ad confortarlo, perchè lo facimo venire con una fusta per mare. Et quando serrà con noi lo teneremo appresso al suo piacere et riposo senza mandarlo in loco alcuno: salvo che con lo suo conseglio et parer se ordinarà a li soprastanti con lettere o a bocca, elle eseguiscano quello che luy ordenerà o farà designo. Et però repregamo le S. V. vogliano per nostro amore talmente persuadere et costringere lo prefato Mastro Francisco che omnino venga: che certamente per nno piacer le S. V. al presente non lo porriano far che major obligo ne imponessi per le multiplicate rasione li havemo per altre nostre litere scripto. Offerendone al honore et piaceri de V. S. et de la excelsa vostra repubblica.»

Datum in abbatia Palmae die XXIII martii 1493.

Vester Alfonso Dux Calabriae.
Lorenzo di Casalnuovo.

Direzione: Mag.cis D.nis officialib. Balie Excelse Reip.ce Civit. Semrum amicis nostris car.mis Senis.

Circa questa chiamata di Francesco a Napoli, la quale riescì inutile, altro non mi resta che riportare le due seguenti lettere indirizzate dai Sanesi al Duca (3) (19 Aprilis 1495. Calabrie duci scriptum est).

«Per lantiqua et presente charità di V. S. Ill. verso la nostra patria cognosciamo essere le parti nostre usare ogni conto di satisfare a li desideri di quella. Et per questo doppo lo altre nostre scripte, habiamo di nuovo et collegialmente et particularmente, doppo la licentia data, exhortato, strecto et comandato ad Maestro Francesco di Giorgio, si conferisca con più presteza che pò a la presentia di [p. 77 modifica]V. I. S. per exeguire gli disegni orditi: Non senza grandissima molestia nostra lo troviamo durissimo: et finalmente ci ha expressamente declarato non potere nè volere venire: perchè si è messo in testa ne seguiria la morte sua. et perchè già qualche volta dixe, quando si trovasse meglio disposto, haveva intentione di presentarsi costì, potrebbe essere che ancora mutarebbe proposito; quantunque che molto non lo speriamo. Et per questo noi non desisteremo interporre ogni opera che esso voglia venire a satisfare a li bisogni di V. S. I., la quale se li paresse che in specie dovessimo fare più una cosa che un’altra circa questo effecto, ce ne rendarà advisati. che vedendo non sia aspro al venire, non si pretermetterà alcuna cosa dal canto nostro. Bene è vero che non vorremo, se fusse pure al tucto renitente al venire, noi per indirecto perdessimo tale homo, che nè la V. S. Ill., nè la nostra patria se ne potesse servire.

La V. S. I. è prudentissima, e riceverà in questa cosa li chori nostri, li quali non mancho desiderano la venuta sua, che prefata V. S. a la quale la nostra Repubblica summopere raccomandiamo.»

(14 Maggio 1495. Duci Calabriae ita scriptum est).

«Requisiti da la Ill.ma S. V. per più lettore et da miss. Daniele suo mandatario, habiamo più e più volte hauto M.o Francesco di Giorgio et privatamente et publicamente, et siamoci sforzati persuaderlo che omnino si debi risolvere di venire ad servire ad V. S. Ill. mostrandoli, se questo farà, quanto piacere ne habi ad fare ad la V. S., e a noi non minore: perchè per la nostra osservantia verso di quella siamo constrecti desiderare tucte quelle cose che ad epsa sono chare. Finalmente habiamo trovato in lui et troviamo tanta dureza che per niente lo potiamo disporre ad obsequire ad questo vostro et nostro desiderio; affirmandosi per lui che è certissimo che costì non potria durare, et che si rende certo in pochi mesi ci tornarebbe in lettere (sic) et desiderarebbe poter fare el desiderio vostro. Per noi non si cesserà tuttavia exhortarlo al servitio de la Ill. S. V., perchè desideriamo che tutti li cittadini nostri siano ad quella ossequentissimi, et veramente questa dureza di costui ci è tanto molesta quanto alcuna cosa ci potesse essere. Vegga la V. S. la nostra bona intentione: a la quale di continuo ci raccomandiamo». [p. 78 modifica]

Quindi possiamo ritenere per certo che Francesco non si allontanasse per allora da Siena, e parlar di lui, siccome ivi dimorante, uno stromento di compra nell’archivio delle gabelle dei contratti. Nel bimestre di settembre ed ottobre dello stesso anno sedè nel supremo magistrato della patria sua, così leggendosi nel libro Leone al N.o 5 e 42.

Fone di Francesco Salvi Capitano del Popolo.

Musciatto d’Ildebrandino Cerretani pell’ordine de’ Gentiluomini.

M.o Francesco di Giorgio di Martino.

Alessandro di Galgano Bichi pell’ordine de’ Nove.

Adunque, stante la costituzione che vigeva allora in Siena, Francesco rappresentava nel supremo magistrato l’ordine ossia Monte de’ Riformatori, essendo gli altri tre Monti retti dai suoi colleghi: ancora vedesi ch’egli, siccome detto si è di sopra, era uomo nuovo, non essendo iscritto in alcun ordine, dico che non era nobile, nè popolano grasso per dirla alla fiorentina d’allora.

Uscito di posto, ritornò come ingegnere ad adoprarsi per la patria sua nell’affare non ancora composto di Montepulciano; fors’egli trovossi allora sciolto dal male che impedita aveagli la gita a Napoli, e fors’anche la lettera qui unita (scritta da Chianciano) può far più forte il sospetto che quello non fosse che un simulato pretesto (4).

Mag.ci Domini: «Dopo l’ultima scritta ad V. M. S. siamo giunti insieme col comissario Fiorentino ad Monte Pulciano domenica passata: et lui et noi, et noi et lui abiamo mostre le ragioni di queste comuni, dipoi prese a studiare le ragioni...... essendoci M.o Francesco di Giorgio, la venuta del quale è stata molto a proposito, si cavalcò insieme con lui al Chastelluccio ad rassettare el modello in quelle parti fusse di bisogno, et crediamo tra ogge e dimani sarà expedito. Domane non mutando el Comissario Fiorentino saremo insieme a’ntendare quello voglia dire.... xviij Dec. 1493»: [p. 79 modifica]

S. M. dev. servitor Ant. de Iordani doc. et comis.

Direzione: Mag. d.nis Officialib. Baliae civ. Senarum.

Per qualche tempo non si hanno di lui altre notizie, senonchè nel 1495 che era in patria, e riceveva dal pubblico ducati 200 per suo avere. A quest’anno credo che si riduca pure l’epoca del Codice suo II d’architettura, che è nel catalogo al N.o VI. Più tardi, cessando dal compasso, fecesi plastico e fonditore e cesellatore di bronzi lasciando di questo metallo una delle opere che maggiormente adornino Siena, dico due de’ quattro angeli di tondo che guardano il ciborio all’altar maggiore della cattedrale. È opinione di alcuni che opera di lui siano pure due altri angioletti collocati più esternamente, e che il volgo di Siena dalla graziosa figura chiama gli spiritelli, ma altri li appongono al Vecchietta. Riguardano quell’opera alcuni estratti di deliberazioni che qui sottometto (5).

L’anno stesso 1499 furongli pagati dalla Balia ducati dodici per le [p. 80 modifica]spese del ritorno del viaggio da Montepulciano, il 10 aprile (6), il qual viaggio fecelo per mandar a termine l’ultimo finale accordo conchiuso nel 1498 tra Fiorenlini e Senesi: dico meglio, tra Fiorentini e Pandolfo Petrucci. Principali capitoli: tregua per cinqu’anni, ed il disfacimento del ponte a Valiano col bastione che i primi avevanvi innalzato, molesto tanto ai Sanesi (7): fatta condizione che potessero i Sanesi fra certo tempo edificare qualunque fortezza stimasser meglio, tra il letto delle Chiane e la terra di Montepulciano. Fu questa demolizione della bastìa di Valiano stabilita a carico a’ Fiorentini che edificata avevanla nel 1436: però mandaronvi i Sanesi commissario Francesco di Giorgio, associatogli un M.o Nicolino, a curare la buona e leale esecuzione del trattato (8).

Pare che entrante l’anno 1499 egli facesse una gita, (non so se inviatovi ambasciatore, o chiamatovi ingegnere) in corte di Guidobaldo duca d’Urbino: credo piuttosto che vi fosse come ingegnere, poichè ai confini di quello stato romoreggiava il Borgia colle armi proprie e con quelle di Francia, e coll’aperto scopo di spogliare i feudatari della Chiesa; fors’anche di proprio moto ve lo mandarono i Sanesi (9), la qual gita, [p. 81 modifica]dovette certamente essere breve assai, poichè da soli venti giorni era ritornato in patria da una scorsa fatta a veder le cose di Montepulciano, come di sopra fu notato.

L’anno stesso fugli allogata una nuova opera in bronzo, la quale consisteva in certe figure di apostoli da apporsi alle colonne: la locazione fu conchiusa il 24 settembre 1499 ed ebbe a conto la somma di L. 594. Quindi i libri pubblici notano all’anno 1505 (10), che per decreto della Balìa proibivasi ogni nuovo ornamento nella chiesa cattedrale, sino a tanto che non fossero perfezionati e collocati gli apostoli di bronzo giusta il disegno del nostro architetto, e che il getto sarà eseguito da Jacopo Cozzerelli, valendosi del modello di uno di essi, lavorato da Francesco: il prezzo fissato per ciascheduna di dette statue, fu di fiorini ottocento. I libri della presta, voglio dire delle gravezze pubbliche, agli anni 1500, 1501, fanno cenno della casa da Francesco posseduta in contrada di S. Giovanni, ed a quanto essa fosse tassata. Nel 1501 il giorno 15 novembre, le deliberazioni di Balìa hanno «per parte della Balia pagherete voi Guido Palmieri compratore delle gabelle del legname a Francesco di Giorgio architectore L. 150 per parte di sua provisione ec.». E nel primo volume delle polizze de’ pagamenti «Francesco Georgii mandato in conto 10 ducati» e perchè gli fosse pagata questa somma è spiegato al volume XLII delle deliberazioni citate, e fu pro suo itinere in castris. Pure nello stesso anno 1501, ricavasi dal copialettere della repubblica che il nostro ingegnere si portasse presso il prefetto di Roma: ed il 27 maggio fugli scritto dai governanti quod absque aliqua exceptione omnino sistat, cioè che si fermasse ov’era: e ciò perchè spaziava la peste, seppure vanno queste parole così intese.

A questa folta di notizie brevi e da poco, le quali tanto solo c’importano, in quanto spiegano come e dove vivesse Francesco, succede un lungo periodo nel quale di lui si tace, progredendo sino all’anno 1506, ultimo non so se mi dica della vita sua artistica o della naturale, poichè di questa l’anno è ignoto, e che più non operasse è certo: nel qual periodo di anni è anche probabil cosa, non certa però, ch’egli [p. 82 modifica]si portasse in Napoli, e se ciò fu, dovette esser l’anno 1503, a render suoi servigi come ingegner militare agli Spagnuoli, i quali, invocati in aiuto dai figli del re Ferdinando, con scelerata astuzia e violenza li cacciarono dal loro retaggio, quindi, com’è solito nelle convulsioni politiche, ebbero amici ed assoldati quegli stessi che già serviti avevano gli antichi Re: di ciò io parlo più a lungo nella Memoria delle moderne mine. Adunque questi ultimi documenti c’insegnano che in adunanza del 23 giugno 1506 fu deliberato, che dopo l’altare maggiore si facesse ad ornamento della cattedrale una cappella giusta il disegno di Francesco di Giorgio (11), poichè in adunanza di quattro giorni prima già era stata stabilita la rimozione del coro, ossia di quel recinto che nelle antiche chiese di Toscana circondava l’altar maggiore, e dei quali, unico forse, ma mirabil esempio, ne rimane il bellissimo di Santa Maria del Fiore (12).

Ma a tutte queste opere, sì degli Apostoli, che della rimozione del coro e della nuova cappella mancò tempo a Francesco nonchè per condurle, ma neppure per avviarle; e poichè i pubblici documenti più non fanno parola di lui, conviene supporre che appunto nell’anno 1506, tutt’al più nel seguente egli mancasse ai vivi. Per dar certezza a quanto io qui scrivo manca la pubblica attestazione della sua morte, però fu trovato e prodotto dal Romagnoli il più sincrono documento di questo fatto (13), ed è un atto pel quale un Sebastiano di Domenico da Cortona, cameriere del magnifico Pandolfo Petrucci, denunzia nel 1509 una casa «senza massaritia, la quale a questi dì comprai dal Ufitio dela mercanzia, quale fu degli heredi di M.o Francesco di Giorgio». Ognun vede che ragionevolmente, due o tre anni dovevano essere [p. 83 modifica]scorsi, affinchè la casa posseduta da Francesco passasse agli eredi suoi, da questi all’uffizio della mercanzia, per essere poi trasmessa al quarto possessore Sebastiano da Cortona.

Delle opere di Francesco parmi di aver detto abbastanza, enumerandole a luogo; solo ripeterò (quantunque già io l’abbia affermato meglio di una volta) che Francesco più studiò e più esercitossi nella militare architettura che non nella civile: quindi maggiore gliene venne da quella la gloria ed in essa più numerose assai sono le sue opere, mentrechè nelle civili costruzioni poche sono che con certezza siano sue: e ciò ho qui voluto ripetere a disegno, onde si sappia per qual motivo non si trovi qui unito il catalogo delle opere che probabilmente furono condotte dal nostro autore; io questo catalogo non l’ho disteso, perchè penso che piccolissimo sia il numero delle sue fabbriche civili in Siena, e più scarso ancora nelle regioni ov’egli fu chiamato e visse quale ingegner di guerra: quindi, non avendo io percorse tutte quelle provincie, non potrei tessere un elenco documentato e fededegno, nè amo l’usanza seguita dal più degli scrittori di vite d’artisti, di attribuire al personaggio che illustrano quanto siasi in patria sua fatto a’ suoi giorni. Questo fu difetto del Romagnoli, il quale alle belle notizie che diede di Cecco, fe’ succedere una lunga nota comprendente pressochè tutti i quadri dipinti e gli edifizi innalzati in Siena dal 1460 al 1506, ed ogni cosa a lui attribuendo: ed egual giudizio portando, da relazione altrui, circa quasi che tutte le fabbriche che mai si ergessero dai Feltreschi negli ultimi lustri del docimoquinto secolo. Non ho veduto le ricerche sulle architetture di Francesco di Giorgio nel ducato di Urbino fatte e descritte dal dottor Gian Girolamo Carli nella seconda metà dello scorso secolo (14): perciò anche ne taccio, solo aggiungendo che opera degli ultimi anni di sua vita fu il codice III di architettura, che ora vede la luce: e che fatica sua postrema fu il codice Magliabechiano de’ disegni di fortificazioni, de’ quali molti compariscono ora incisi.

Ora venendo alla persona di Francesco, dirò che in una miniatura del decimoquinto secolo del codice membranaceo Saluzziano (la quale [p. 84 modifica]incisa in maggior grandezza sta in fronte a questa edizione) è effigiato con barba rasa e zazzera anzi fulva che castagna: la quale imagine merita più fede che non quella data dal Vasari, ed a questi comunicata dagli eredi di Jacopo Cozzerelli, non già da Jacopo stesso, com’egli scrisse sbadatamente.

D’indole quieta, amò la vita casalinga: ebbe due donne, cioè nel 1467 la Cristofana Taddei, e due anni dopo l’Agnesina Nerocci, che fecelo padre di due figli Federico e Guido, il primo morto infante, l’altro giovinetto, come pure tre delle femmine, cosicchè nell’anno 1513 sole erano rimaste della sua progenie la Polissena e la Lucrezia, sposata questa in un Balloncini d’Urbino, e rimaste legittime eredi d’ogni avere del padre e del fratello (15). Era egli di nascita oscura per modo, che fatto magistrato nel 1493, non segnossi di alcun monte, rappresentando peraltro quello de’ riformatori: non so se venisse poscia ascritto a quest’ordine stesso o ad altro di Siena, oppure se dai principi cui servì tante volte, ricevesse uno di que’ segni di accetti servigi e di grato animo, allora meno frequenti e più pregiati; fatto è che le due anzidette figliuole son chiamate nobili donne nel citato stromento.

Amò la patria sua di amor vero, nè trovasi che mai abbia preso parte in quelle fazioni che alla città di Siena diedero molti capi di storia, ma tolsero la quiete, e furono cagione d’infinite morti e della perdita della cara indipendenza; architetto la abbellì, idraulico procacciolle i comodi di molt’acqua purissima, cittadino la tenne avvisata di trame tessute a suo danno: del buon animo ricompensollo la fama pubblica, l’amore di tutte le sette, poichè fu da tutte onorato, e finalmente l’essere stato innalzato, lui uomo di piccola importanza pubblica, a sedere tra gli eccelsi che la patria governavano.

Con Federico II Feltrio, uno fra i migliori generali del tempo ed intendentissimo di architettura militare, ebbe servitù grande, anzi da lui riconosceva quanto avesse avuto poscia di onori e di lucro: fu [p. 85 modifica]perciò gratissimo anche al figlio Guidobaldo: e per ambidue pare anche che militasse (16). Chiamaronlo ne’ lor bisogni i più potenti principi d’Italia, dico gli Aragonesi ed i Visconti, dai quali fu laudato come architetto nobilissimo, uomo degno d’ogni encomio. Virginio Orsino, principalissimo barone romano, scriveva tali essere le virtù di Francesco, che ad uomo anche più versato di lui avrebbero certamente soddisfatto. Affezionati forse più di tutti alla persona sua ed all’ingegno, i governanti di Lucca lo dissero architetto egregio, di singolare ed eccellente ingegno, tutto modesto, e d’animo benigno e liberale, e rallegrarsi essi con Siena, che avesse un così buono e modesto cittadino, e nell’architettura versato per modo, che a giudizio loro non v’era il pari in tutta Italia. Della sua moderazione dirò che fu tale, che parlando nel trattato suo di taluni che facevansi belli delle scoperte altrui, aggiunge che li nominerebbe a nome, se non fosse stato ch’ei non voleva che si credesse che per la nimicizia della patria si movesse a dir male di loro: parole assennate e moderate assai per que’ tempi di tanta ira municipale. E queste lodi di Francesco io le ripeto dalle concordi voci di gente non sanese, onde meglio appaia quant’egli fosse amato e desiderato dagli strani nonchè dai cittadini suoi, e lodato in vita più assai dai primi che non dagli ultimi.

Fugli compagno ed amico Jacopo Cozzerelli pittore ed architetto (17), ed ebbe discepoli Baldassar Peruzzi pittore ed architetto esso pure, e giunto in singolar grado di eccellenza (18), ed un Giovanni del quale parlano gli autori ed i monumenti di sua patria, e che dall’arte che specialmente esercitò, fu detto delle bombarde (19): tutti tre nati ed ammaestrati in Siena.

Fuvvi più tardi un Francesco da Siena dal Bottari confuso col nostro autore (20): ma ei visse dopo, e fu discepolo del Peruzzi. Noto pur [p. 86 modifica]che per la somiglianza del nome quel Francesco Giorgi veneziano vissuto a' tempi del nostro autore, più rinomato pe’ suoi libri ne’ quali mescolò la teologia colla filosofia platonica e la cabala, che non per i suoi edifizi, ma pure buon architetto e procuratore di fabbriche sacre 21.




  1. Istorie, lib. I, cap. IV, pag. 122.
  2. Arch. cit., lettere di Principi. Gaye, in calce al doc. CLV.
  3. Le seguenti due lettere sono nell’Arch. cit., copialettere n.o 122 e presso Gaye, doc. CLVI.
  4. Arch. cit., lettere, filza 50. All’anno 1494 riferisce il Machiavelli ne’ Frammenti istorici il sollevarsi de’ Montepulcianesi, i quali tenendosi troppo gravati dai Fiorentini alzarono lo stendardo di Siena. Pure anzichè a queste contingenze, parmi da questa lettera che la gita di Francesco si aggiri intiera sulle antiche contese coi Chiancianesi. Sedici anni durarono queste novelle contese, composte solo nel 1511 da Giacomo Simonetta, inviato colà da Giulio II (Litta, Famiglia Simonetta, tav. II).
  5. Deliberazioni di balia, tomo XXXVIII, c. 208. Gaye, Appendice al vol. II, pag. 452. 1497 5 augusti. Audito magistro Francisco Georgii pro causa et solutione angelorum datorum opere Sce. Marie, deliberaverunt quod infrascripti tres debeant videre qualitatem angelorum dictorum, et habeant plenam auctoritatem faciendi pretium, et curandi cum affectu solvatur pretium dicto magistro Francisco cunctis remediis, et hoc in octo dies, audiendo prius partes et alligationes ipsarum, et procurent ne angeli dicti extrahantur de ecclesia cathedrali. Dominus Iacobus Piecolhomineus. D. Antonius Bichus. Pandolfus Petruccius. E quindi a carte 220 (Gaye, I. cit., pag. 453). Die 21 augusti 1497. Spect.mi viri Dominus Iacobus Piccolhomineus et Pandolfus Petruccius, duo de collegio Balie, vigore eorum auctoritatis electi deputati super causa angelorum magistri Francisci Georgii, laudaverunt, et iudicaverunt quod operarius ecclesie Cathedralis sive Camerarius operae teneantur et debeant ac obligati sint solvere eidem Magistro Francisco Georgii libras mille trecentas sexaginta quattuor s. 10 ultra bona et alias cxpensas in eis factas per dictos operarium et Camerarium opere, quas libras 1364 s. 10 teneantur iidem solvere pro residuo solutionis magisterii dictorum angelorum eidem magistro Francisco, omni exceptione remota, et quod fiat apotissa nomine Balie directa operario sive Camerario, quod solvant dictam quantitatem, ut supra, non obstante etc. Ed in ordinanza del 7 gennaio 1498 (Deliberaz. di balìa, tomo XXXIX, c. 279, Gaye I. cit., pag. 453) leggesi: Nec non deliberaverunt quod prior eligat tres, qui sint cum Domino Alberto Arringherio operario, et habeant liberam auctoritatem et potestatem locandi ipsum Franciscum Georgii in operibus dicte opere, et quod per ipsam operam detur ei provisio conveniens etc. Il totale della mercede pagata a Francesco fu di lire 2027, oltre lire 889 che l’opera del duomo spese del suo nella compera dell’occorrerte metallo. Fu concluso il pagamento residuo nel 23 settembre del 1499 in lire 584 s. 8. d. 8 per notola di Pandolfo Petrucci e di Angiolo Palmieri.
  6. Delib. di balìa, I. cit. Item solvat ducatos duodecim Francisco Georgii pro expensis per eum factis in reditum quem fecit in patriam pro occurrentiis Montis Politiani, die 10 aprilis 1499.
  7. Guicciardini, lib. IV, cap. II. Biagio Buonaccorsi a pag. 7 del Diario dice: «Si fece con Pandolfo Petrucci governatore dello stato di Siena, et con quella comunità una tregua per cinque anni, con conditione che la città (di Firenze) havesse a rovinare el bastione di Valiano, et che infra detto tempo non si molestasse Montepulciano, nè se ne parlassi». Ed a pag. 11. «Adì 24 di settembre (1498) si mandò a rovinare el bastione di Valiano, come nella triegua era promesso».
  8. Così nel cit. tomo delle Delib. di balìa. Eodem pro Magistro Francisco Georgii........ necnon decreverunt quod Prior eligat tres qui habeant auctoritatem espendendi usque ad ducatos decem, et mittendi M. Franciscum Georgii el Magistrum Nicolinum in causa destructionis Pontis et Bastiae, prout eis videbitur. Pandulfus. D. Andreas. Paulus Vannoccii.
  9. Sen’ha notizia nel libro delle Polizze de’ pagamenti di balìa (30 aprile 1499. «Pagherete a M.o Francesco di Giorgio ducati 12, quali sono per spese fatte per lui nel ritorno a Siena da Urbino.
  10. Deliberaz. di balìa, tomo XLVII, pag. 48 e 75. Gaye, vol. II. Appendice, pag. 478 e 479.
  11. Deliberazioni di Balìa, tom. XLVIII, c. 59. Gaye, I. cit.
  12. Supplementi alle deliberazioni di Balìa, tom. CXCVIII, c. 227, 1509, 15 giugno. Habito maturo examine et moti optimis rationibus deliberaverunt quod tres deputati super operam Ecclesiae Cathedralis teneantur et debeant removeri facere chorum de medio dictae Ecclesiae et reducere locum, ubi est ad praesens dictus chorus, vacuum et expeditum ad maiorem pulcritudinem et ornamentum ipsius templi. Die 23 iunii, deliberaverunt attenta remotione chori, etc. Con quanto è riferito dal Gaye, I. cit., a seguito di questa notizia da lui non inserita nel Carteggio d’artisti.
  13. Archivio cit. Denunzie, vol. XXXIII, anno 1509.
  14. Comolli, Bibliografia architettonica, vol. I, pag. 259.
  15. Stromento del notaio Cerioni d’Urbino, a pag. 79 dell’Elogio di Giovanni Santi. Un Girolamo di Francesco da Siena era nel 1506 computista di Michelangelo in Roma, ma nulla ha che fare col Martini.
  16. Lo ritraggo dal Codice sanese di architettura, f.o 27 recto, ove dice aver più volte per esperienza veduto che le bombarde traendo all’ingiù facilmente si rompono.
  17. Vasari, in fine alla vita di Francesco di Giorgio.
  18. Commentari di Egnazio Danti alla prospettiva del Vignola. Annotazione 3.a alla regola prima.
  19. Lettere Sanesi, vol. III, pag. 112.
  20. Note al Vasari, in Baldassar Peruzzi.
  21. Degl'Agostini, Scrittori Veneziani, vol. II, pag 338 e 339.