Storia di Torino (vol 2)/Libro IV/Capo II
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Capo Secondo
Gli Agostiniani scalzi furono dapprima stabiliti dal medesimo duca nella cappella delle Quattro Vergini al Parco, all’uscita del bosco verso San Lazzaro, per patenti del 15 d’ottobre 1611. Il sito che venne loro donato era proprietà dell’ordine de’ Ss. Maurizio e Lazzaro, e il duca, gran maestro, facendone cortesia a quei frati, ristorò d’altrettanti beni la religione Mauriziana.2
Primo superiore ne fu il venerabile fra Giuliano Gallo di Sta Maria di Murazzano, che morì poi vittima dell’apostolico ministero con immensa carità esercitato nel gran contagio del 1630.
Nel 1619 Carlo Emmanuele, scelto un sito acconcio nel perimetro della città nuova, e in capo alla gran piazza Reale che aveva in animo di costrurre, spinto eziandio da divozione alla memoria di S. Carlo Borromeo, ch’egli avea conosciuto di persona, pose la prima pietra della chiesa che intitolò a questo santo, deputando ad ufiiziarla gli Agostiniani scalzi del Parco. La chiesa era già in parte costrutta, e già cominciavasi ad uffiziare nel 1620, poichè abbiam veduto che in giugno di quell’anno vi fu depositato il femore di S. Rocco portato da Mompellieri; e abbondando i soccorsi del duca, poco lardò ad essere condotta a compimento.
La liberalità del re Carlo Alberto, della regina Maria Cristina, della Città di Torino e di varii privati, v’aggiunse in questi ultimi anni la facciala di granito roseo, notabile anche per un bassorilievo del Buti, che rappresenta il Santo Cardinale nell’atto di dar la comunione al duca Emmanuele Filiberto (1578).
Nella prima cappella a destra la tavola col Crocilìsso, Maria Vergine e S. Giovanni ò di Michelangelo da Caravaggio. Il quadro dell’altar maggiore, mezzo sepolto dietro al trono su cui s’espone il Santissimo, e le file di candelieri che fanno ala al medesimo, e che rappresenta S. Carlo genuflesso innanzi alla Santissima Sindone sostenuta da due angioli, è del Morazzone (Pier Francesco Mazzucchelli).
Nella cappella di San Giuseppe, patronato dei Broglia, la tavola è dipinta da monsù Delfino, e v’ha il monumento colla statua di Francesco Maria Broglia, che, fatte le prime armi alla famosa scuola di Carlo Emmanuele i, passò in Francia, e salì ad alti onori, e nel 1656, posto l’assedio a Valenza, nel riconoscer la piazza fu da una palla nemica trafitto. L’iscrizione lunga ed ampollosa è d’Emmanuele Tesauro, il quale ebbe per lunghi anni il privilegio degli epitafii pe’ morti illustri, e d’ogni altro genere d’iscrizioni; e sebbene ne ignorasse il verace magistero, che niuno trovò prima di Morcelli e Vernazza, tuttavia adoperò lingua assai buona, e in fatto di stile, tra il luccicar delle false gemme si riconosce anche lo splendor delle buone, perchè non si può negare che il Tesauro fosse potente d’ingegno e d’imaginazione. Le sue iscrizioni sono stampate, e ve ne hanno più edizioni.3 Morì il 26 febbraio 1675.
Una breve iscrizione che si legge in un angolo del sepolcro del Broglia ci avverte che architetto e scultore di questa cappella e di quella del Crocifisso, che le sta di fronte, è Tommaso Carlone di Lugano.4
Nel 1696 gli Agostiniani scalzi cominciarono una missione nel reame di Tunkino, la quale portò nobili frutti, e primo di quest’ordine a spargere in quel paese la parola di vita, fu il padre Giovanni di Sant’Agostino, romano. Ma guari non tardò il convento di S. Carlo a spedirvi anch’esso operai evangelici, de’ quali il più famoso fu Martino Costa, torinese, ma originario d’Usseglio, chiamalo in religione fra Ilario del Gesù, che fu vescovo coricensc e vicario apostolico.
Nacque in Torino il 2 settembre 1696, di famiglia che da Usseglio5 erasi trasferita a Pessinetto; suo padre avea bottega di mercante da ferro vicino a porta Nuova. Venne al mondo colle mani giunte, onde la levatrice gli disse: Poichè nasci colle mani giunte, va a farti frate. Diffatlo, e nei discorsi, e nei trastulli fanciulleschi dimostrava evidente inclinazione allo stato religioso, piacendosi d’altarini, di croci, di meditar la passione di Cristo, di far il catechismo e di predicare ai compagni. Sul finire di agosto 1714 vestì l’abito degli Agostiniani scalzi nel noviziato eli S. Pancrazio a Pianezza.; passò poi a Genova agli studi, e colà mirabile si mostrò la facilità nell’apprendere, la sottigliezza nel disputare, il fervore della divozione nell’orare e nel continuo esercitarsi che faceva in mortificazioni e patimenti onde rendersi degno del sublime apostolato che ambiva nella missione lunldnese. Richiamato nella sua provincia, disse la prima messa il 15 d’agosto 1719 a Torino, dove rimase fino al primo novembre 1721, sospiralissimo giorno in cui partì per le missioni. Andò a Brusselles, dove fu accollo con gran favore dal marchese di Prie, che n’era governatore. Salpò da Oslenda e giunse a Canton in agosto del 1722. Con lettera del 10 settembre 1723, che fu stampata da Giambattista Fontana, ragguagliò i superiori del viaggio; disse che avea trovato a Canton due piemontesi sacerdoti della compagnia della Missione, Pedrini ed Appiani, il primo de’ quali liberato pur allora dal carcere ov’era stato tenuto più anni; il secondo ancora in prigione. Aspettava che cessasse la fiera persecuzione che v’era contro ai cristiani nel Tunkino, per cui tutti i passi eran chiusi. Entrò in quel regno il giovedì santo 14 d’aprile del 1729; fu forza entrarvi con lungo e pericoloso viaggio di terra onde evitar le insidie nelle quali, a malgrado di tutte le cautele, sarebbero infallibilmente caduti, se non avessero, come scrivea poi fra Lorenzo Maria della Concezione, trovato la via seminata di miracoli. Giunse il padre Ilario a Dun-xen, e trovo il padre Roberto, prefetto della Missione, ammalato del morbo di cui pochi giorni dopo morì.
Questi, giunto due mesi prima, soccombeva ai patimenti e al clima. Gli fu surrogato il padre Ilario. Inestimabile fu quello che operò e quel che sofferse nel suo apostolato. Cibi, non solo pessimi, ma alla indole europea schifosi e ributtanti; viaggi disastrosi, sagre funzioni esercitate in tempo di notte, onde nasconderle al guardo dei persecutori; insidie, villanie, pericoli di morte continui; liti domestiche da comporre, differenze co’ Domenicani spagnuoli; Divina parola da spargere a voce ed in iscritto nell’idioma proprio di quelle genti. Clima micidiale, onde malattie gravi e frequenti; popoli di modi così riposati, che ogni riscaldamento o vivacità europea li offende e li turba, onde necessità d’usar sempre la lieta mansuetudine di S. Francesco di Sales, e quindi impossibilità di congedar taluno che vi rubi il tempo con inutili ciance. Il Costa lutto superò allegramente, bramoso di spender la vita per gli Annamiti che riguardava come suoi proprii figliuoli. E come semplice missionario, e come prefetto, e come commissario visitatore e vicario apostolico del Tunkino occidentale, e come vescovo ei si fe’ tutto a tutti. Ma gracile di complessione, con tante fatiche, tanti patimenti, a cinquantanni avea l’aspetto d’un ottuagenario, ed era sì consumato, che si può dire che la sola carità lo mantenesse vivo. Infine, dopo trentanni di missione, diciassette di vicariato apostolico, morì a’ 31 di marzo del 1754, nella sua residenza di Luc-Thuy, con universale- cordoglio e ferma opinione di santità.6
Gli Agostiniani scalzi non vennero, dopo la restaurazione della monarchia, ristabiliti, ed ora la chiesa di San Carlo viene uftìziata dai Servi di Maria.
Fino dal 1623, quando si introdussero a Torino i Carmelitani scalzi di Sta Teresa, Madama Reale Maria Cristina, allora principessa di Piemonte, per sua particolar divozione, fece venir dalla Francia alcune monache dello stesso ordine, le quali vennero provvisionalmente allogate nella casa dello spedale de’ Ss. Maurizio e Lazzaro. Qualche tempo dopo Vittorio Amedeo i s’impegnava, per voto, a costrurre alle medesime un monastero, onde farle godere del benefìcio della clausura; ma impedito dalla morte, non potè recar ad effetto la pia sua intenzione. Ma nel 1639 Madama comprò dal conte Carlo di Castellamonte, e da Fiorenzo Forno due case, onde convertirle in chiesa e monastero, e col volger degli anni ne andò con ulteriori acquisti allargando il giro.7
Pochi monasteri fiorirono al par di questo per merito di virtù e di regolar disciplina. Onde, tanto la fondatrice Cristina, quanto Maria Giovanna Battista si piacevano della pia conversazion delle monache, e ritraevansi sovente, ma soprattutto quest’ultima, dalle pompe cortigianesche a quella divota solitudine. Madama Cristina morendo volle essere seppellita nella lor chiesa (dicembre 1664). Il 16 maggio 1692, alle due ore dopo la mezzanotte, uno scudiere vi recava il cuore della principessa Ludovica moria due giorni prima. Maria Giovanna Battista abbelliva d’una statua di bronzo dorato l’altar maggiore, aggiungeva alla vaga chiesuola le due cappelle laterali, ampliava il monastero, e un piccolo appartamento apparecchiava per se medesima e per quelle principesse che dopo lei volessero riparare di tempo in tempo in quel porto, a considerare al lume della fede quelle grandezze, quei scettri, quelle corone, quella potenza, quegli ori, quelle gemme che hanno, viste con occhio umano, così tenaci attrattive, e che un riflesso della grazia ci mostra essere splendide bolle di sapone, e non altro. Maria Giovanna Battista abbellì la chiesa e la piazza, aggiungendovi, nel 1718, la maestosa facciala di pietra sui disegni del cavaliere D. Filippo Juvara; e morendo sette anni dopo, volle fosse in Sta Cristina depositato il suo cuore (15 marzo 1725).8
Tra le monache le quali sotto la spiritual direzione
de’ padri di Sta Teresa crebber la fama del
monastero di Sta Cristina, rammenterò donna Margarita,
figliuola del marchese Forni di Ferrara, prima
figlia d’onore dell’infanta donna Maria di Savoia, la
quale, dopo d’aver raccolto in Roma l’ultimo fiato
della santa sua signora, venne a Torino e pigliò in
Sta Cristina l’abito carmelitano il 17 giugno del 1657.
Chiamossi in religione suor Anna Maria di S. Gioachino; e sebbene non vi durasse, vivendo fra continui
patimenti, nemmeno undici anni, essendo morta il 25 di gennaio del 1668, d’anni quarantotto, di sì
sublimi perfezioni die’ prova ed esempio, che ben
si conobbe a qual alta scuola era stata ammaestrata,
e come nel puro ed amante suo cuore mai non avesse
allignato altro affetto che quello del crocifìsso Gesù.
Morì con molta opinione di santità, e nella sua vita
stampata narransi parecchi felici sperimenti del potere
delle sue intercessioni.
Ebbe suor Anna Maria una sorella chiamata donna Giulia, le cui virtù rilussero nell’austerissimo ordine delle madri Cappuccine in questa stessa città.9
In fama salì nel monastero di Sta Cristina un’altra pia religiosa, la venerabile suor Maria degli Angioli. Chiamossi nel secolo Marianna, e fu figliuola del conte Gian Donato Fontanella di Santena, e di Maria Tana. Di sei sorelle ch’ella ebbe, cinque furono religiose.
Marianna, dotata fin dalla sua tenera età d’un gran fervore di spirito, superati felicemente tutti gli inciampi che le suscitava la bellezza di sua persona, l’altezza dell’ingegno, la perfezion de’ costumi, la tenerezza de’ genitori, pigliò l’abitò delle Carmelitane scalze il 19 di novembre del 1676. Quanto risplendesse poscia la luce de’ suoi santi esempi in quel monastero, come fosse avida di croci, quanto umile, quanto paziente, quanto pronta e lieta, anzi beata nell’esercizio della carità, sarebbe lunga istoria a narrarlo, e sarebbe altronde un ripetere ciò che si legge stampato, e che in gran parie fu già riconosciuto ed approvato dalla Santa Chiesa. Soggiungerò solamente che continuo era il ricorrere che faceano e secolari e regolari, ed anche uomini costituiti nel grado del sacerdozio, ai consigli di suor Maria degli Angioli, ai quali ella, umile non men che prudente, ricordava i precetti dell’eterna sapienza, pigliando da quelle incessanti domande incessante cagione di abbassamento e d’umiliazione, quasichè Dio ciò permettesse onde meglio venisse a comprendersi la sua viltà. Morì a 1 16 dicembre del 1717: e tanta, e così universale fu l’opinione della sua santità, che la Santa Sede permise si desse principio alla causa di beatiflcazione prima che fosse trascorso il decennio dal d’i della morte.
Quando il corpo della serva di Dio, adorno di tal bellezza, maestà e grazia che il suo giacere parea riposo e non morte, fu recato nel coro interiore, corrispondente alla grata che riguardava l’altar maggiore, la calca e la divota curiosità del popolo fu sì grande, che gettò a terra la balaustra di marmo che chiudeva il Sancta Sanctorum.10
Il corpo di suor Maria degli Angioli era deposto a lato dell’altar maggiore, dalla parte del Vangelo,
coll’iscrizione:HIC IACET
CORPVS VENERABILIS SERVAE DEI
MARIAE AB ANGELIS DEFVNCTAE
DIE 16 DECEMBRIS 1717.
Quando la rivoluzione ebbe scacciato le sacre
vergini dai chiostri, entro ai quali aveano, professando,
sperato di vivere e morire, le reliquie della
serva di Dio furono, addì 21 di settembre del 1802
innanzi giorno, trasferite a Sta Teresa, e collocate
nell’andito che si trova al lato del Vangelo dell’altar
maggiore. E nella stessa occasione probabilmente
vi venne trasferito il corpo di Madama Reale Maria
Cristina,11 che fu deposto nel sotterraneo sotto l’altar maggiore. Due anni dopo, sull’architrave
della facciata di Sta Cristina leggevasi l’iscrizione:
BOURSE DE COMMERCE.
Quando Maria Giovanna Battista alzò la facciata
di Sta Cristina, si posero in essa le statue di Sta Cristina
e di Sta Teresa, opera di Pietro Le-Gros, parigino.
Ma perchè erano troppo belle, furono tolte di là, e collocate accanto all’altar maggiore; nell’aprile del 1804 portate alla Metropolitana, furono poste ai due lati dell’altare del Crocifisso.12 Le statue surrogate nella facciata alle due del Le-Gros, sono del Caresana. Le altre del Tanlardini.13
Ora per benefìcio del Re la chiesa è amministrata dalla pia Società del cuore di Maria, a cui la liberalità della Regina vedova Maria Cristina forniva un’annua provvigione per mantenere un rettore ed un cappellano., come attesta un’iscrizione collocata sai muro a sinistra entrando.
Seguitando la strada Nuova incontrasi in principio della seconda isola a mano destra la chiesa di Sta Maria Maddalena coll’annesso monastero, che già fu delle Convertite del terz’ordine di S. Francesco, ed ora appartiene alle Cappuccine.
Fin dal secolo xvi era in Torino un’opera delle Convertite allogata in certe case vicino a San Martiniano;14 ma non era di gran lunga sufficiente al bisogno. Del che dolenti le piissime Infanti Maria e Caterina di Savoia, fatte cacciatrici d’anime, si diedero a cercare e raccogliere quelle, la cui lasciva bellezza, mutata in merce venale, maggior danno recava alla pubblica onestà, e ricoveratele in casa da loro comprata, ne commisero il non facil governo a Caterina de’ Rossi Lazari, donna per età, per prudenza e per pietà attissima a quel carico, aggiuntavi l’assistenza del padre Ruga, barnabita.
Furono da sessanta le Taidi che la mano medesima delle Infanti vestì solennemente di cadizzo bigio, e che con capestro al collo e corona di spine in capo inaugurarono con divota processione il passaggio dalle laidezze alla penitenza.15 Ciò fu nell’anno 1654.
Intanto, come sempre accade, altre donne s’aggiunsero in aiuto alla direttrice, dimodoché le monache d’onesta origine finirono per prevalere di numero alle Convertite, massimamente dopoché l’arcivescovo Beggiamo le ridusse nel 1671 a clausura.16 Le Convertite aveano voce attiva, ma non passiva. Nel 1757 erano ridotte ad otto. La chiesa e l’attiguo monastero furono edificati nel 1672.
L’altare del beato Amedeo era patronato della famiglia, ora estinta, dei conti Vibò di Prales.
L’isola dov’è la chiesa di Sta Maddalena era l’ultima da questo lato verso la porta Nuova. Noi abbiam veduto costrurre la bella piazza Carlo Felice, coi due sodi e vasti casamenti Talachino-Manati e Rorà. Se Dio ci concede ancora qualche anno di vita, vedremo pel continuo fabbricar intermedio congiunta la città colla chiesa di San Salvarlo e col castello del Valentino, acquistar le proporzioni di una gran capitale.
Note
- ↑ [p. 520 modifica]Guida di Torino.— Iscrizioni patrie, nell’Archivio di corte.
- ↑ [p. 520 modifica]Archivio camerale, Registro controllo, lxxii, fol. 189.
- ↑ [p. 520 modifica]D. Emmanuelis Thesauri, inscriptiones, elogia et carmina, p.266.
- ↑ [p. 520 modifica]Utriusque Sanctissimi Crucifixi Sanctorum Josephi et Augustini Sacelli, architectus et artifex Thomas Carlonus luganensis. Manca questo scultore nel Dizionario del Ticozzi.
- ↑ [p. 520 modifica]Era parente dell’abate Giampietro Costa. — Notizie di monsignor Ilario del Gesù, nell’Archivio di San Carlo.
- ↑ [p. 520 modifica]La prerogativa di questo grand’uomo è stata d’essere stato raro in tutte le virtù che ha praticate in grado eminente, e tutte ad un istesso tempo... Si è perduto uno specchio di santità, dottrina, prudenza e zelo, che credo queste missioni non abbiano avuto il pari. Infine, non è possibile l’epilogare in poche linee le virtù singolari di questo santo prelato, del quale eterna ne resterà la memoria nei posteri, principalmente per le erudite opere date alla luce (in lingua annamitica), e che serviranno di scudo spirituale alli neofiti e d’accesa fiaccola per illuminare le ottenebrate menti dei gentili. Da lettera 12 maggio 1754 di fra Paolino del Gesù, conservata nell’Archivio di San Carlo, con altre assai da me vedute per cortesia del M.to Rev.do Padre Curato.
- ↑ [p. 520 modifica]Archivio camerale, Patenti del 25 di marzo 1639. Registro n.lvi, fol. 186.
- ↑ [p. 520 modifica]Nel giardino e sopra la porta del chiostro eranvi le due iscrizioni che seguono, le quali con ottimo consiglio il signor cavaliere Gian Carlo Cagnone, intendente generale dell’Azienda economica dell’Interno, salvò e [p. 521 modifica]fece collocare nella sala del museo, presso la medesima Azienda stabili lo,
segnando sulla pietra il luogo in cui erano e il tempo della traslazione:
MARIA GIOVANNA BATTISTA DI SAVOIA
DVCHESSA DI SAV. REINA DI CIP.
AMPLIÒ QVEST’ ALBERGO A SE DILETTO
REGIA BENEFATTRICE E IL RESE ADORNO
CHE SPESSO PREFERÌ NEL PIO RICETTO
AGLI ANNI PIÙ FELICI IL BEN D’VN GIORNO
NELL’ ANNO DEL SIG.
MDCC
TRASLOCATA DAL VICINO GIARDINO
1845.
MARIA IOANNA BAPTISTA A SABAVDIA
VICTORIS AMEDEI SICILIAE REGIS MATER
QVOD IN HOC VIRTVTIS ET SANCTITATIS DOMICILIO
QVO SAEPE DIVERTERE SOLET
A S. THERESIA MATRE SIMILLIMISQ. MATRI ALVMNIS
PIOS ANIMI SENSVS SEMPER HAVSERIT
REGIO INTRA CLAVSTRI AMBITVM SECESSV
SIBI FVTVRISQ. REGINIS MAGNIFICE EXTRVCTO
INTERIORI MONIALIVM DOMO
AEDIBVS AERE SVO COEMPTIS ADIECTISQVE
LATIVS EXTENSA ELEGANTIVS ORNATA
AVCTO INSVPER GEMINIS ALTARIBVS TEMPLO
VT EAM DENIQVE CIVIVM ANIMIS
QVAM IPSA PROFITETVR VENERATIONEM LOCI CONCILIARET
AVGVSTAM HANC TEMPLI FACIEM
OCVLIS OFFERERAT
ANNO 1717.
TRASLOCATA DALLA FACCIATA
ESTERNA DEL PALAZZO
1845. - ↑ [p. 522 modifica]La virtù educata in corte, perfezionata nel chiostro, descritta nella vita d’Anna Maria di S. Gioachino, nel secolo donna Caterina Forni.
- ↑ [p. 522 modifica]La diletta del Crocifisso. Vita della venerabile madre Suor Maria degli Angioli.
- ↑ [p. 522 modifica]Da nota di mano del Vernazza.
Il sepolcro di questa principessa ne’ sotterranei di S.ta Cristina avea la seguente iscrizione:
CHRISTIANA A FRANCIA
HENRICI IV ET LVDOVICI XIII REGVM CHRISTIANISSIMORVM
FILIA ET SOROR
VICTORIS AMEDEI, FRANCISCI HYACINTHI CAROLIQVE EMMANVELI FRATRVM
VXOR MATER ET TVTRIX
NATA LVTETIAE PARISIORVM X FERRVARII MDCLVI
OB. AVG. TAVR. XXVU DECEMRRIS MDCLXIII. - ↑ [p. 522 modifica]Da nota di mano del Vernazza.
- ↑ [p. 522 modifica]Derossi, Nuova guida per la città di Torino.
- ↑ [p. 522 modifica]La reverenda madre Reltrice delle reverende Convertite, delta Suor Marta, sepolta per sua elettione, ricevuti li santi sacramenti nella chiesa di San Domenico li 16 novembre 1607. — Se ne hanno anche memorie anteriori nel Libro de’ Morti di San Martiniano, e negli Archivi di città e di corte.
- ↑ [p. 522 modifica]Alessio, Vita della serenissima Infanta Maria di Savoia. 73. — Arpio, Vita dell’Infanta Caterina di Savoia. 214.
- ↑ [p. 522 modifica]Memorie di Torino e contorni, ms. dell’Archivio di corte.