Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro terzo/Capo quarto

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CAPO QUARTO

(Dall’anno 1001 al 1061)

I. Reggio è di nuovo in mano de’ Saracini di Sicilia. N’è liberata da’ Pisani; ma poi ricade nel dominio de’ primi. II. Costantino VIII commette ad Andronico che liberi Reggio da’ Saracini. Questa città tornata a’ Bizantini, non va più al dominio musulmano. Scissura tra i Saracini di Sicilia. III. Michele IV ajuta Abucabo contro Abulafaro. Leone Opo Duca di Calabria va da Reggio in Sicilia a soccorso di Abucabo. Rottura tra Michele ed Abucabo, e suoi effetti. IV. I Normanni e Maniace. Abucabo ed Abulafaro si pacificano. Malumori tra Normanni e Bizantini. I Normanni si stringono ed afforzano in Squillace. Loro fatti in Puglia. V. Roberto Guiscardo in Calabria. Assalta Reggio, ma senza frutto. Suo fratello Ruggiero viene in Calabria; sue conquiste. VI. Roberto e Ruggiero mettono l’assedio a Reggio; ma sono costretti a levarsene. Dissapori tra i due fratelli. Sollevazione de’ Calabresi contro i Normanni. Pace tra Roberto e Ruggiero. Continuano i tumulti de’ Calabresi. VII. Reggio assediata da’ Normanni per la terza volta, finalmente cade, ma i combattenti greci e reggini si ritirano a Squillace. Roberto è gridato da’ suoi Duca di Calabria. VIII. Ruggiero espugna Squillace. Tutta la Calabria è in potestà de’ Normanni. Nuova rottura tra Roberto e Ruggiero. La Puglia cede a’ Normanni. Roberto da Reggio volge i suoi pensieri alla Sicilia. IX. Il Saracino Betumeno passa a Reggio, e conforta Roberto all’impresa di Sicilia. Quattro nobili messinesi si recano a Mileto, ed offeriscono a Ruggiero la signoria di Messina.


I. Nel primo anno dell’undecimo secolo tornavano i Saracini dalla Sicilia a inferocir sulla Calabria, e ve li conduceva in persona l’Emiro Abulfata. Fu prima sua impresa di porsi a campo a Reggio, città ch’era allora il primo e più forte nodo della dominazione bizantina in Calabria. E malgrado gli sforzi grandissimi che vi fecero i Bizantini a ribattere l’assalto nemico, non potettero far tanto che Reggio non si arrendesse a’ Saracini. I quali però coll’andarsi nicchiando nelle più principali città maritime di Calabria, eccitarono l’irritazione de’ Pisani, che avendo operose contrattazioni mercantili in queste contrade, ed un loro fondaco in Reggio, erano vulnerati profondamente ne’ loro più vitali interessi. Poichè le cotidiane irruzioni, che facevano i Saracini di Sicilia, non lasciavano sicuro nè il mare, nè il litorale italiano.

Nella commozione universale delle italiche città verso lo stato libero erasi desta anche Pisa; e gareggiando con Genova, Venezia ed Amalfi, solcava con poderose navi il Tirreno. I Pisani avevano fon[p. 131 modifica]dato in Calabria parecchi emporii di commercio, e ne traevano pingui guadagni. Laonde sostenevano di mala voglia che i Saracini devastassero così spesso questa provincia, e vi rovinassero le industrie ed il traffico. Adontati per tanta audacia musulmana, e spinti altresì dalle esortazioni de’ Pontefici, fecero apprestamento d’un’armata ben provveduta, e navigarono per Calabria a cavar di nido i Saracini. E già non leggieri vantaggi avevano riportato, e già avevano percosso e fatto diloggiar da Reggio i nemici (An. di Cr. 1006); ma in sul bello della loro impresa un nunzio de’ loro concittadini li richiamava di presente alla patria. Imperciocchè il saracino Musetto che dominava in Sardegna, come prima fiutò che buona porzione della flotta pisana era altrove, ebbe baldanza di gittarsi sopra Pisa, reputandola poco difesa. Le sue fuste, quando la notte era al mezzo, penetrarono nell’Arno, ed imboccarono sotto le mura della città. E se non fosse stato il virile animo di Cinzica Sismondi, Pisa sarebbe al sicuro caduta nelle mani del temerario nemico.

All’allontanarsi de’ Pisani, i Saracini tornarono ad occupar Reggio, e durò sotto i medesimi per altri anni ventitrè, cioè sino al mille e ventisette.

II. Basilio II si accingeva nuovamente a liberar la Calabria da’ Saracini, ed a tor loro la Sicilia; ma colto dalla morte, ne lasciò il pensiero al sopravvivente fratello Costantino VIII. Questi deliberato di snidare da Reggio i Saracini, deputò l’impresa ad Andronico, con un esercito d’insolita e mostruosa fattezza; poichè dicesi ch’era raggomitolato di Russi, Vandali, Bulgari, Turchi, Polacchi, Macedoni, e di altra simile mischianza. Ognuno s’immagini con quanta frega di rapine e di baruffe si fosse assembrata tutta questa roba da capestro sotto il vessillo bizantino. Andronico, in cui ajuto venne ancora dalla Puglia il Catapano Bugiano, approdò in Reggio come una furia (An. di Cr. 1027), e fugò in un subito i Saracini; ma lasciò che della misera città facessero scempio orribile quelle genti bestiali, le quali nè leggi conoscevano, nè ordinanza militare, nè umano costume. Così ebbe termine questa clamorosa spedizione di Andronico, che pareva voler muovere il terremoto contro il dominio degli Arabi. Questo solo produsse di bene che Reggio rimase ai Bizantini, nè mai più ricadde nella potestà musulmana.

Ma questi Saracini di Sicilia dopo di essersi levati, a’ tempi dell’Emiro Salem, dalla dipendenza del Califfo di Affrica, mancando di un capo comune, cominciarono a seminar zizzanie fra di loro, ed a recarsi in partiti. E vennero in termine che Abucabo sorse contro suo fratello Abulafaro, Emiro di Sicilia, per levargli lo Stato. La Si[p. 132 modifica]cilia allora si smembrò in due parti, l’una a sostener Abulafaro, l’altra a precipitarlo per alzar in suo luogo Abucabo. Questi non riprovando alcun mezzo che desse l’ultimo crollo al fratello, si rivolse a Costantinopoli per accatto di alleanza e di soccorsi.

III. Era a quella volta Imperatore d’Oriente Michele IV Paflagone (An. di Cr. 1036), il quale avendo in cuore qualche impresa gloriosa, colse cagione dalle izze de’ Musulmani di Sicilia e dall’invito di Abucabo per tramezzarsi nelle cose dell’isola, e recarle a proprio vantaggio. Dall’altra parte Abucabo si prometteva, che fattosi Emiro di Sicilia sulle rovine di suo fratello, sarebbe stato da Michele IV riconosciuto, ed ammesso nella sua amistà ed alleanza. Tutti adunque si tennero presti alla vicina lotta, Bizantini e Saracini. Leone Opo, ch’era in Reggio Duca di Calabria, e Giorgio Probata venuto con nuova gente da Costantinopoli, ebbero in mandato dall’Imperatore di approntare ogni cosa che facesse di bisogno per il tragitto in Sicilia. L’armata e l’esercito bizantino si misero all’ordine in Reggio.

In Sicilia i Bizantini, condotti da Calalogo Combusto, avevano già anteriormente rioccupato quel tratto, ch’è di là da Messina a Taormina. Quivi giusto sbarcò le sue genti Leone Opo, ed avuto spalla da quelle di Abucabo, corse senza serio contrasto parecchi paesi di Sicilia. In questo mezzo Palermo tumultuò contro l’emiro Abulafaro, e costrinselo a fuggirsi nell’Affrica. Abucabo vi entrò vittorioso alzando il suo seggio ove era caduto il fratello. Ma non prima ebbe sortito il suo intento, che cominciò a guardare in cagnesco i Bizantini, i quali già a faccia aperta volevano maggioreggiare sopra gli altri. E tutti i Saracini di Sicilia si composero in sì minaccioso atteggiamento contro la gente greca, che il Duca di Calabria non reputandosi sicuro si ritirò co’ suoi nella residenza di Reggio.

Michele IV però, a cui non poteva capire nella testa che Abucabo fosse andato così di bello al potere, mentre dall’ajuto prestatogli niun frutto ne rimaneva all’Impero, ammannì per Sicilia una seconda spedizione, diretta a conquistarla (An. di Cr. 1037). Nè per questa impresa si contentò Michele delle sue sole forze, ma domandò ajuti a Guaimaro IV Principe di Salerno; il quale già stando in sospetto de’ Normanni che a troppi insieme erano giunti di recente nella Campania sotto colore di pellegrinaggio, procacciò modo di levarseli d’attorno. Ed inducendoli ad accordarsi agli stipendii del greco imperatore, fece loro sperare e ricchezze e gloria, ove si recassero in Sicilia a guerreggiar contro i Saracini.

IV. Sommavano i Normanni a più che trecento cavalieri a cui [p. 133 modifica]era capo Guglielmo d’Altavilla; ed al principio della primavera si erano congiunti in Reggio all’esercito greco. Donde, ordinata tutta la massa da Giorgio Maniace duca di Calabria, partirono per Sicilia; e presero terra vicino di Messina, intimando alla città, che si rendesse. Ma ciò non partorì frutto; anzi le schiere musulmane, fatta una sortita, investirono con tanto impeto nel greco antiguardo, che questo disordinò e si disperse (An. di Cr. 1039). Qui segnalossi la bravura de’ Normanni; qui specialmente apparve l’esimio valore di Guglielmo d’Altavilla. Cacciatosi egli dove più bolliva l’azione, non solo aveva riempito il vuoto lasciatovi da’ Greci, che si erano arretrati alla rinfusa; ma riurtando i nemici, che già si tenevano in pugno la vittoria, siffattamente li strinse e circuì, che ne fece un gran macello. Quanti scamparono dalla furia normanna, scorati e malconci si ritrassero dentro Messina a rotta di collo. E tal terrore ingenerarono negli animi, che i Messinesi, per non venire a peggio, prescelsero di darsi a’ Bizantini. E Maniace, lasciatavi una grossa guardia, proseguì alacremente la ben incamminata impresa, ed in piccol tempo ricondusse tredici città alla signoria imperiale.

Allora si avvide Abucabo quanto alle conquiste de’ Greci avessero dato incentivo ed avviamento le sue discordie con Abulafaro, per le quali in Sicilia era calato così basso il florido dominio degli Arabi. Fattosi perciò di migliore opinione, si riconciliò col fratello; e fece che questi ritornasse dall’Affrica con potenti ajuti. Ma a’ Greci, incalzati tutti in un tempo dalle unite forze de’ due fratelli musulmani, corsero in sostegno gli ausiliarii Normanni, i quali tennero lo scontro con sì rara intrepidezza ed energia, che i Saracini non potendo più durarla, la diedero a gambe. Per questo fatto d’armi anche Siracusa cesse a’ Bizantini; nè gli ulteriori conati de’ Saracini potettero soprattenere menomamente l’esercito invasore. I Normanni ch’erano nella prima ordinanza della battaglia, soli combattendo, travolsero così bruscamente le file de’ Saracini che pochi ebbero comodità di mettersi in salvo. Ma poi nella foga della pugna, dilungatisi i generosi guerrieri assai lungi dal campo, ne addivenne che i Bizantini togliessero per se soli tutto il bottino ed il frutto della vittoria, lasciandone esclusi i Normanni. Nè solo questo; ma i medesimi Bizantini cominciando a prender gelosia del coraggio normanno, e facendo stima potere ormai bastar soli alla perfezione dell’impresa, pensarono modo di allontanare dal campo greco que’ valorosi. Per la qual cosa Maniace, facendo sembiante di mandarli alle stanze d’inverno, perchè avessero riposo delle militari fatiche, tutti li avviò a Reggio; ed a Dulchiano Catapano di Puglia, il quale al[p. 134 modifica]lora era in Reggio per i bisogni della guerra, commise che dì per dì andasse licenziando i Normanni dall’esercito bizantino. Di che costoro si presero un’onta grandissima, che per allora tennero repressa; ma che poi scoppiò in guerra violenta e sterminatrice.

I Normanni, disseminatisi per la Calabria, si diedero alle rapine ed agl’incendii; e Guglielmo d’Altavilla, espugnato Squillace, ivi a pochi anni vi si fermò co’ suoi, e vi piantò un solido castello a difesa del luogo (An. di Cr. 1044).Altri Normanni intanto, udito il caso e risentendosi profondamente dell’ingiuria recata a’ loro compatrioti, giurarono unanimi di farla costar cara a’ Bizantini; e si avventarono sulle prime sopra la Puglia. Trecento cavalieri, divisi in dodici comitive sotto il comando di altrettanti duci che si dicevano Conti (Comites) andarono diritto, e con rabbioso ardore all’impresa. E come ogni cavaliere traeva a suo servigio o due o tre scudieri, ne nasceva che al Conte fosse subordinato il seguito di un cento cavalli: e tutti quindi montavano a circa un migliajo.

La Puglia era a que’ dì quieta (1053), e sprovveduta di valevoli presidii, perchè la più parte delle greche milizie operava allora in Sicilia. I Normanni entrarono nella Puglia, nè fecero loro contrasto i paesani, a cui il greco dominio era gravissimo, o venuto a sazietà. Al primo occuparono Melfi, ed a mano a mano Venosa, Ascoli, e Savello. E tanto vi si andarono poi dilatando, che più non rimanevano in Puglia al greco Impero se non Bari, Otranto, Brindisi, e Taranto.

V. Era di poco passato il mezzo del secolo undecimo (1057), quando il normanno Roberto Guiscardo, che già in picciol tempo aveva fatto grandi cose, ottenne da suo fratello Unifredo di poter conquistare la Calabria a suo vantaggio e rischio. Ad Unifredo aveva data l’investitura della Puglia e del futuro dominio di Calabria papa Leone IX, dichiarando queste regioni feudi della romana Chiesa. Roberto adunque, maneggiatasi l’aderenza de’ maggiori della Puglia, ed assettatevi le interne faccende, si volse a far levata di gente, e raccolta d’armi e di provvigioni per esser presto all’impresa, come venisse il nuovo anno. E condusse in Calabria gente vigorosa e decisa a qualsivoglia cimento. A prima giunta si cacciò oltre i confini di Cosenza e di Martorano, e rasentando il lido dell’Ionio, corse e mise in rovina lutto il paese sino a Reggio. Tre dì campeggiò questa città, ma nè per promesse, nè per inganno, nè per minacce potè averla. Perocchè i Bizantini vi si erano ristretti ed inforzati, come in punto importantissimo o ad una sicura ritirata in Sicilia, o a difficultare a’ nemici il passaggio dello stretto. Roberto non potendo [p. 135 modifica]venirne a capo, rimandò a miglior tempo l’impresa di Reggio, e ritornò in Puglia, dopo aver tirato dalla sua Calanna, Maida, e Nicastro.

Nel seguente anno (1058) Ruggiero, ultimo de’ figliuoli di Tancredi, giovine di bellissima persona, temerario più che ardito in battaglia, di nobile e generoso animo, fu spedito in Calabria dal fratello Roberto con sessanta cavalieri per provarne il valore, e lo spronò ad acquisti di paesi e di fama. Ivi giunto co’ più animosi giovani Normanni, che lo amavano sopra la lor vita, si accampò sopra i monti di Vibona, come a riguardar quella regione che fra breve doveva dargli tanta materia di conquiste e di gloria. E tanto timore e rispetto insieme mise in quella gente, che molte castella di Calabria andarono sotto di lui senza far resistenza. Avendo in così breve tempo condotto all’ubbidienza del fratello tanto paese calabro, gli mandò col ragguaglio de’ fatti un cumulo prezioso di ricche suppellettili e di danaro. E ritornato indi a poco in Puglia, lasciò efficaci guarnigioni a custodia delle terre da lui soggiogate.

VI. Ma ambidue i fratelli tornarono tosto minacciosi sopra Reggio (1059), e le posero uno strettissimo assedio. Nè può dirsi con qual coraggio e longanimità si sieno difesi i Reggini contro le percosse dei Normanni. Basti il dire che i nemici per il difetto dei viveri dovettero levarsi dall’assedio ch’era andato già per le lunghe; poichè i Reggini per non venir meno ad una pertinace resistenza, e per toglier mezzi al nemico, avevano traslocato dalle vicine terre nella città tutte quelle provviste che dava la stagione ed il luogo. Sì che Ruggiero dovette scorrere con trecento de’ suoi per sino a Gerace per procacciarsi a spilluzzico i viveri della sua gente. Ma ciò mal bastava alle sue necessità, e le molestie del verno ch’entrava rigidissimo, il costrinsero a mettersi agli alloggiamenti nelle campagne di Maida.

Venuta la primavera non poterono continuarsi in Calabria le fazioni guerresche; poichè essendo la Puglia entrata in umore d’insorgere contro il dominio Normanno, fu di necessità che Roberto quivi si trattenesse per comprimere la sedizione colla presenza delle sue armi. Ma in questo i due fratelli, per cagion di dominio, vennero tra loro in aperta discordia. Ruggiero non si credeva abbastanza rimunerato da Roberto, il quale mentre coll’ajuto fraterno aveva tanto aggrandito il suo Stato, non gli voleva concedere in dominio alcuna terra di Calabria. Perilchè Ruggiero si partì irritalo da Roberto, ed andossene in Basilicata a trovar l’altro fratello Guglielmo, da cui ottenne in potestà la Scalea. [p. 136 modifica]

Giunsero poi a tali eccedenze le contenzioni tra Roberto e Ruggiero, che i Calabresi vedendoli accapigliati ed assenti, e stimandoli perciò deboli, sollevaronsi contro il loro dominio; e dato sulle prime addosso al presidio normanno di Nicastro, ne freddarono quaranta. Della quale audacia come andò lingua a Roberto, rimesso lo sdegno procurò subito di rappattumarsi col fratello, perchè dalla concordia tornasse loro forza e salvezza. E fu patto di questa pace che sotto Ruggiero andasse la metà di que’ luoghi di Calabria, che da Intefoli monte di Squillace fino a Reggio avrebbero conquistato. Reggio non fu compreso nel patto, e doveva rimanere a Roberto. Al quale papa Nicolò II, dopo la morte di Unifredo, confermò l’investitura di Puglia e di Calabria, ed anche del futuro possesso della Sicilia. Ma quantunque il papa gli avesse già conceduto il titolo di Duca di Puglia e di Calabria, non volle pertanto Roberto farsi chiamar Duca di Calabria prima dell’espugnazione di Reggio, che n’era la splendida sede.

A questi tempi Roberto ripudiò la moglie Alberada, da cui eragli nato Boemondo, e si prese a donna Sigelgaita, figlia di Guaimaro IV principe di Salerno. Ruggiero intanto perseguitava per ogni dove i sollevati Calabresi, mandava a terra il castello di Mileto, e poneva l’assedio ad Oppido. Mentre dall’altro verso i Calabresi, condotti da’ Vescovi di Cassano e di Gerace, facevano forza contro il castello di San Martino ch’era in mano a’ Normanni. Come ciò seppe Ruggiero soprassedè dall’assedio di Oppido, e corse di tutta lena contro i nostri che battevano San Martino. Quivi dopo un contrasto lungo e tenacissimo, i Calabresi furono sperperati, e tutto il materiale del campo cadde in mano di Ruggiero, il quale di ogni cosa fece larghezza a’ suoi. Commosse di tal fatto le altre città e castella di Calabria, quali gli si resero spontanee, e quali si rimasero da qualunque ostilità contro di lui. In questo mentre Roberto era tornato in Puglia; e Ruggiero, restato solo in Calabria, non mollava da frequenti incursioni ne’ dintorni di Reggio, che già per due fiate aveva tenuto fronte alle armi normanne.

VII. Giunta la state del mille e sessanta Roberto con un poderosissimo esercito diede di petto risolutamente all’oppugnazione di Reggio; sola città ormai che con Squillace si continuasse alla signoria dell’Impero Orientale. E vi si pose all’assedio; ma dura prova tentava in questo cimento. Perciocchè i Reggini, spalleggiati da gran moltitudine di Bizantini e di Calabresi, che a schivare il dominio normanno eransi riparati nella lor città, disperatamente cozzarono contro gli assedianti, facendo loro il più danno che potevano. E la [p. 137 modifica]persistenza ostinatissima degli assediati non fu vinta finalmente che dalla massima carestia delle vettovaglie, e dall’accanito percuotere degli assalitori. Le macchine belliche tempestavano furiosamente le mura, queste scrollavano a frantumi; ed i nemici potevano ormai traforarsi nella città dalle varie brecce aperte nelle sfracellate muraglie. Essendosi quindi resa inutile ogni ulteriore resistenza, fu forza scendere a’ patti. Ma i combattenti, la cui patria dalla nemica fortuna era gittata in braccio al nuovo conquistatore, non vollero piegare a costui i loro animi; ed ebbero facoltà di poter tramutarsi in Squillace con tutte le loro famiglie, ed i loro aderenti. Così Reggio, diuturno desiderio di Roberto, cadeva alfine nelle costui mani, e colla sua caduta tutta Calabria, da Squillace in fuori, restava soggetta a’ Normanni. I quali presero tanta allegrezza dell’aver occupata tal città, che a loro usanza con unanime ed alta voce gridarono Roberto Duca di Calabria. Così questa provincia, conservando il medesimo titolo di Ducato, si mutava dal greco dominio al normanno.

E dal nome della nuova signoria volle Roberto che fosse chiamata ducato la prima moneta d’argento che ei fece battere dopo la presa di Reggio.

VIII. Il Duca Roberto, altero del duplice onore della investitura pontificia e dell’acclamazione de’ suoi Normanni, tornò in Puglia sul cader di quell’anno. Ruggiero restavasi in Mileto, uve aveva fermata la sua residenza. E sofferendo di mala voglia che Squillace stesse tuttavia per i Greci, vi andò repentino all’assalto, violando così il patto di suo fratello co’ profughi Reggini, che dopo la dedizione di Reggio, si erano raccolti in quell’altra città. Ma Squillace resistette buon pezzo con meravigliosa costanza, sinchè se ne venne l’inverno. Ruggiero, rodendosi di dover logorarsi in vani sforzi, fece alzare due opere fortificate dirimpetto alla porta della città, e da essa vi lanciava sassi, ed altri projettili nell’interno, e vietava insieme ogni possibilità di esterno soccorso. Onde Squillace, stretta irresistibilmente, dovette darsi a’ Normanni. Ma i Reggini, odiando in Ruggiero un violatore de’ patti, non vollero sottoporglisi per niun verso, e fuggendo per mare, amarono meglio di buscarsi un asilo in Costantinopoli, che sostener la presenza di chi li aveva privati di patria e di asilo in Calabria.

Al principio del nuovo anno (1061) tutta la Calabria era in potestà de’ Normanni. In Puglia nondimeno sbarcava improvviso un esercito di Bizantini, e sconfiggendo Roberto e Malagerio, ritoglieva loro Taranto, Brindisi ed Oria. Ma poi riprese radice il di[p. 138 modifica]sgusto tra i due fratelli Roberto e Ruggiero; perchè quantunque il primo fosse tenuto di cedere all’altro metà degli acquisti di Calabria, pure la sua parola non atteneva mai. Se ne togli Mileto, che era l’ordinario domicilio di Ruggiero, ogni altro luogo di Calabria ubbidiva a Roberto. Però Ruggiero, preso motivo delle sue recenti nozze con Erimberga (o Delizia o Giuditta che altri dica) pressò Roberto all’adempimento della convenzione, affinchè potesse decentemente adagiarsi nel suo nuovo stato. Ma vedendosi menato d’oggi in domane, forte se ne offese, e disse a Roberto che romperebbegli guerra se fra quaranta giorni non avesse fatto luogo alle sue rimostranze. Roberto non gli rispose altrimenti che assediandolo in Mileto; ma questo tratto gli tornò senza successo, ed in suo danno. Imperciocchè, mentre Roberto stava all’assedio di Mileto, Ruggiero una notte vi sortì celatamente, e correndo a Gerace, occupò tal città per trattato fatto con que’ cittadini. Di che Roberto indignatissimo, si tolse dall’assedio, e volò a Gerace, ove in occulto e di nottetempo fu introdotto per intelligenza avuta con un Basilio, cittadino potente e temuto. Ma Roberto fu scoperto, e sostenuto dal popolo, levatosi furioso a rumore. Basilio fu trucidato; ed il Duca di Calabria, campata a gran pena la vita, fu chiuso in prigione. Saputo questo la sua gente ch’era fuori della città, mandò scongiurando Ruggiero che corresse a salvezza del fratello, e quegli magnanimo, rimettendogli ogni offesa, restituì Roberto in libertà. Così solamente il Duca condiscese alla divisione del dominio di Calabria, e si pacificò col fratello.

In seguito Taranto, Brindisi ed Oria venivano riconquistate da Roberto; ed espugnata Bari, anche in Puglia spariva ogni vestigio di greca dominazione. Dopo di che Roberto col più delle sue forze di terra e di mare ritornò alla sua residenza di Reggio. Qui dimorando fortificò la città con nuova cinta di mura, e rifecela de’ danni, che grandissimi le avea già fatto patire nell’espugnarla. Cominciò ancora a studiarsi all’impresa di Sicilia, intanto che Ruggiero continuava il suo soggiorno in Mileto.

IX. Prima di lasciarsi andare alla guerra aperta in Sicilia, Roberto principiò da Reggio a disseminare per l’isola segreti messi per tastar gli animi de’ Siciliani, e maneggiarli al suo disegno. Ma la fortuna il favorì assai di là da quanto e’ sperava (1070). In Sicilia due principi Saracini Betameno e Benameto aspramente si erano guerreggiati. Betameno, che tiranneggiava Siracusa e Catania aveva tolto in moglie una sorella di Benameto, il quale dominava Enna e Girgenti. E trovandosi un giorno ubbriaco, fece segar le vene alla mo[p. 139 modifica]glie. La quale, a stento guaritasi, fuggì al fratello in Siracusa; e questi movendo guerra al cognato, il vinse e spodestò dello Stato. Per questa sconfitta Betameno dovette dileguarsi dall’isola, e trovar ricovero in Reggio. Ivi non rifiniva di confortar Roberto all’acquisto di Sicilia, facendogli noto quanto al pieno successo sarebbero per dar buono indizio e mossa le domestiche scissure de’ Saracini, e l’umor popolare; il quale a rivoltarsi non aspettava che il destro. Per la qual cosa Roberto prese sicurtà a tale impresa, e vi si preparò con gran sollecitudine ed accuratezza.

Già in Sicilia il popolo cominciava ad aprirsi propenso a’ Normanni, che dalla prossima Calabria lo istigavano senza posa a sommuoversi contro il dominio musulmano. E già in Messina parecchi de’ più segnalati cittadini erano stati scoperti partigiani de’ Normanni, ed inforcati per ordine dell’Emiro di Palermo. Questo tratto di severità non estinse le prime faville dell’incendio, ma valse a farlo divampare con più forza e prestezza. Poichè venne tanta ira ne’ Messinesi, che senza pigliar altro indugio diedero colore al disegno di trarsi dal collo il giogo de’ Saracini. Quattro nobili cittadini Ansaldo da Patti, Niccola Camuglia, Giacomo Saccano, e Mercurio Opizinga ebbero in mandato di recarsi a Mileto, ed offerire a Ruggiero la signoria di Messina.