Storia di Reggio di Calabria (Spanò Bolani)/Libro terzo/Capo quinto
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CAPO QUINTO
(Dall’anno 1070 al 1189)
I. Fatti de’ Normanni in Sicilia. II. Ruggiero Conte di Sicilia. Roberto vuol condurre la guerra sotto le mura di Costantinopoli. Batte i Bizantini in Corfù, ma quivi muore. Suo figlio Ruggiero diviene Duca di Calabria e di Puglia. Contese con suo fratello Boemondo. Benavero Saracino sbarca presso Reggio sulla rada di Calamizzi; ma poi è combattuto in mare, e morto dal Conte Ruggiero. Morte di questo Conte in Mileto. III. Le Chiese di Calabria tornano all’ubbidienza del Pontefice Romano. Cattedrale Latina, e Cattolica Greca in Reggio. Rito greco. Giurisdizione dell’Arcivescovo di Reggio sopra i Vescovi sufraganei. Morte del Duca Ruggiero. Il Ducato di Calabria e quello di Puglia scadono al suo figliuolo Guglielmo. Il Conte di Sicilia Ruggiero II conquista molti paesi in Calabria in pregiudizio del Duca Guglielmo. Papa Calisto II in Reggio. Morte di Guglielmo. Il Conte Ruggiero II diviene Duca di Calabria. Si ammoglia ad Albiria. Fonda la Monarchia di Sicilia, e ne fa metropoli Palermo, ove prende la corona di Re. Costituzioni della Monarchia di Sicilia. IV. Guerra tra re Ruggiero e l’imperatore Giovanni Comneno. Conquiste di Ruggiero in Oriente. Artefici greci da lui condotti in Sicilia. Coltura delle canne da zucchero in Sicilia e Calabria. V. Famiglia di Ruggiero. Sue nuove nozze. Sua morte. Seguita il regno a Guglielmo suo quartogenito. Turbolenze. L’ammiraglio Majone. Matteo Bonello in Calabria. VI. I Calabresi deliberano la morte di Majone. Fatti del Bonello, e morte di Majone. VII. Morte di Re Guglielmo, a cui succede Guglielmo II. Intrighi della Corte. Congiure e tumulti. VIII. Arrigo Conte di Montescaggioso. Sue vicende in Messina e in Reggio. Odone Quarrello. IX. Sedizione di Messina a favore del Conte di Montescaggioso. I Reggini si uniscono a’ Messinesi. Assaltano il castello di Reggio per liberarne il Conte prigioniero. N’è liberato; ed Odone Quarrello è strozzato in Messina. X. Caduta del Gran Cancelliere Stefano. Terremoto in Calabria e Sicilia. Nozze di Guglielmo II. Papa Alessandro III concede l’uso del Pallio all’Arcivescovo di Reggio. Vescovadi suffraganei.
I. Ruggiero non prima ricevette la splendida offerta de’ Messinesi che s’infiammò nel desiderio d’un cavalleresco cimento. Eletti sessanta de’ suoi più animosi e gagliardi cavalieri, con mirabile temerità sbarrò nelle vicinanze di Messina. Ove accorsagli contro una gran turba di Saracini fuori delle porte, egli fece sembiante d’averne paura, e di dar la volta; sino a che vedendoli assai lungi alla città, si rivolse in un tratto contro di loro, e fece andarli a gambe levate (1071). E bastando questo per quella volta, s’impadronì delle loro spoglie ed armi, e fece ritorno in Calabria.
Essendo poi acconcia ogni cosa per la spedizione di Sicilia, Ruggiero si prese l’assunto dell’oppugnazione di Messina, e Roberto mosse contro Palermo. Di che avuto spia il saracino Belcamero, ch’era Emiro di questa città, fece entrar nello Stretto di Messina gran numero di navi di ogni fatta per attraversarsi al tragitto dei Normanni. E per questo non fu allora possibile l’andata in Sicilia; ma vi passaron poi per sorpresa: e dopo un sanguinoso combattimento, Messina venne sotto Ruggiero.
Nella state Roberto sciolse da Reggio colla sua flotta, e facendo finta di governar le prue verso Malta, improvviso piegò per Catania; e vi scese. Donde, unite le sue armi a quelle di Ruggiero, andò sopra Palermo. E mentre tutti e due con una fiorita truppa di Pugliesi, Calabresi, e Greci l’assediavano da terra, la sua armata la stringeva dal mare. Dopo cinque mesi di assedio Palermo si arrese a’ Normanni (1072): e Roberto lasciando a Ruggiero il dominio di quanto paese acquisterebbe in Sicilia, ritenne per se Palermo, o come altri vuole la metà di tal città, di quella di Messina, e del Valdemone. Poi riedificate le mura di Palermo, ritornò a Reggio, donde fece via per la Puglia.
II. Ruggiero fu costituito Conte di Sicilia, e papa Urbano II gli conferì i diritti di Legato Apostolico; e per i suoi possedimenti nella vicina terraferma fu detto altresì Conte di Calabria. Ma i Bizantini non lasciavano in Calabria tranquilli i Normanni. Non potendo gli Imperatori d’Oriente portare in pace che fosse spiccata dalla loro dipendenza l’ultima provincia meridionale che loro restava in Italia, si erano messi al fermo di fare che il popolo calabrese levassesi a tumulto contro i nuovi signori. Roberto pertanto, a schiantare il male dalla radice, deliberò di tramutar la guerra dall’Italia in Oriente sotto le mura stesse di Costantinopoli. Ed andatovi animoso combattè co’ Bizantini presso Corfù (1081), e conseguì una segnalata vittoria; ma incorso quivi in un morbo contagioso e di malvagia indole, quivi morì. Egli prima di partire per l’Oriente aveva in pien popolo chiamato a succedergli ne’ suoi Stati il secondogenito Ruggiero, partoritogli da Sigelgaita. Ma dopo la sua morte, Boemondo, che gli era nato dalla prima moglie Alberada, pretese anch’egli al dominio de’ Ducati di Calabria e di Puglia. Queste regioni allora furono travolte in gravi rimescolamenti civili dalle gare insorte tra i due fratelli, e dal continuo soffiarvi che faceano i principali tra la gente normanna, desiderosi di scuotere il giogo della signoria ducale. Ciascuno di essi fratelli in questo mezzo si adoperava in ogni maniera di tirar dalla sua quanti aderenti più potesse. Ma l’intervento del Conte di Sicilia Ruggiero, loro zio (1085), il quale aveva promesso a Roberto di dare spalla e soccorso al giovine Ruggiero, ove Boemondo volesse far contrasto alla successione, valse a farlo riconoscere in Duca di Puglia e di Calabria. E per tanto ausilio il nipote, ad argomento di gratitudine, cedette allo zio l’altra metà di tutte quelle terre e castella, che il Duca suo padre aveva tenute tuttora indivise con esso zio. Queste comprendevano quanto paese è dal fiume Angitola e da Squillace sin presso Reggio; la qual città continuò capital dimora del Duca di Calabria. Boemondo, andatosene alla conquista di Gerusalemme, ebbe il Principato di Antiochia.
In su questi tempi (1086) papa Urbano II andando in Sicilia, toccò Reggio, e fu qui ricevuto ad albergo dall’Arcivescovo. Due anni appresso il Saracino Benavero, che imperava in Siracusa, entrato in mare colle sue fuste danneggiò orribilmente la riviera di Calabria, assalì e rase Nicotera, e dato di urto sul promontorio di Calamizzi presso Reggio, distrusse a ferro e fuoco il Monastero di S. Niccolò, e la Chiesa di S. Gregorio. Ivi consumò empiamente l’opera sua, malmenando le sacre Imagini, che trovò in esso Monastero, e condusse alla schiavitù le monache ed altre persone che gli erano venute alle mani. Onde derivò fra i nostri il proverbio: È fatto come i Santi di Reggio; a divisare uno che abbia la persona monca e scadente, o una femina, i cui fianchi non sieno ricolmi ed incarnati, ma smilzi ed asciutti.
Come ciò seppe il Conte Ruggiero spedì Giordano suo figliuolo con poderosa milizia sopra Siracusa, mentre egli stesso coll’armata correva ad investirla per mare. Ma Benavero, prevenendolo, gli uscì impetuoso all’incontro, e dato di cozzo nella nave ammiraglia infuocato contro Ruggiero, vi saltò sopra cieco di rabbia. Ma il Conte con rapida destrezza se ne schermiva, intanto che un certo Lupino normanno aggiustò il momento di accarnargli nel fianco una saettata. Cercò allora Benavero ferito risalir sulla sua nave, ma mentre, tutto chiazzato di sangue, e venuto manco al combattere, si provava a saltarvi dentro, la sua pesante armatura trasselo ad affogarsi nelle onde. Allora la flotta de’ Saracini andò tutta dispersa; e Ruggiero inseguendola, parte ghermì, parte affondò. Ed usando il benefizio della fortuna, tempestò Siracusa senza interruzione, e dopo sei mesi di ostinata resistenza, venne a capo di ottenerla.
Il Conte Ruggiero sposò in terze nozze Adelaide, figliuola di Roberto I Conte di Fiandra. La quale poi in Mileto (1097) fece al Conte un figliuolo, tenuto a battesimo da San Brunone, istitutore de’ Cartusiani in Calabria. A questo figliuolo fu messo il nome del padre, e doveva in processo di tempo porre le fondamenta della Monarchia di Sicilia. Il Conte Ruggiero a settant’anni nel mille cento ed uno passava di vita in Mileto.
III. Dopo che i Normanni ebbero tolta a’ Greci la Calabria, andarono restituendo all’autorità del rumano Pontefice le sedi arcivescovili che trovarono già stabilite, o che poi stabilirono essi medesimi. Fu eretta allora in Reggio una Cattedrale per l’esercizio del rito latino; e la greca Metropoli, riordinata sotto il patrocinio del Duca di Calabria Ruggiero, fu costituita a Chiesa Cattolica per i bisogni religiosi della gente greca, della quale componevasi allora il più numero della popolazione di Reggio. A qual uopo fu creato un Collegio di Presbiteri greci, la cui prima dignità alla guisa de’ Greci dissero Protopapa, e Deuterio la seconda, che in volgare diciamo Ditterèo. Ma con tutto che la Metropoli Reggina sia stata restituita al Pontefice Romano, non per questo cessò il rito greco nelle chiese meridionali de’ suoi vescovadi suffraganei, che anzi continuò per gran pezzo, come in quelle di Gerace e di Bova. Ma con questo che l’Arcivescovo di Reggio ritenne ed usò sempre il diritto della consecrazione de’ suoi Vescovi suffraganei, fossero di rito latino o di greco, e ciò sinchè questa consecrazione non venne tra i concordati tra Guglielmo II e papa Adriano IV trasferita pienamente nei romani Pontefici. Così la storia pone che quando Roberto Guiscardo fece istanza a papa Gregorio VII di consecrare il Vescovo di Mileto, il papa avesse risposto non poter farlo, perchè l’Arcivescovo di Reggio sosteneva esser di sua ragione la consecrazione di quel Prelato. Nè il fece, se non quando prese certezza non competere al detto Arcivescovo d’imporre le mani sul Vescovo di Mileto.
Quando venne alla morte il Duca Ruggiero, (1111) i Ducati di Calabria e di Puglia ricaddero al suo figliuolo Guglielmo, natogli da Ala sua seconda moglie. Ma costui, nel mille cento ventuno assentatosi dai suoi Stati per recarsi in Costantinopoli ad impalmar, come contano, la figlia di Alessio Comneno, aveva raccomandato i Ducati a papa Calisto II. Il Conte di Sicilia Ruggiero II, pigliando occasione dalla lontananza del Duca Guglielmo, tentò d’insignorirsi della rimanente porzione della Calabria; e traversato il Faro si accinse ad assaltarla in parecchi punti. Come di ciò ebbe notizia Guglielmo si rivolse al Pontefice per fare che colla sua autorità il Conte Ruggiero II restituisse quel che aveva indebitamente e per sorpresa occupato. Ma non ostante che Calisto sia venuto come dicesi a bella posta in Reggio (1122) per ritornar alla concordia i due principi normanni, non potè in nulla nulla accordargli.
Ma tutto poi si compose colla morte del Duca Guglielmo (1127), il quale, o per volontà o per forza, istituì suo erede il detto Conte Ruggiero II. E questi condottosi prima in Salerno colle galee, fuvvi assai lietamente ricevuto; ed ivi stesso unto Principe da Alfano Vescovo di Capaccio. Dopo venne a Reggio, donde, poichè fu riconosciuto Duca di Calabria, rifece via per Sicilia. Nello spazio di due anni Ruggiero II Duca di Puglia e di Calabria, Conte di Sicilia, e Principe di Salerno aveva già pieno dominio anche sui Ducati di Amalfi e di Gaeta, su gran parte di quello di Napoli, sui Principati di Taranto e di Capua, e sugli Abruzzi. Appresso menò a moglie Albiria, figlia di Alfonso VII Re delle Asturie; e fatta capo de’ suoi Stati Palermo, ivi fece coronarsi in Re di Sicilia (1131). Questo titolo, statogli già conferito da’ suoi nel Parlamento di Salerno, gli fu mantenuto dall’antipapa Anacleto, e poi confermatogli da Innocenzio II.
Collocata in Palermo la sede del nuovo Regno, Reggio cessò di essere residenza ordinaria de’ Duchi di Calabria. Con questo titolo di Duca di Calabria da’ tempi di Roberto in qua cominciò a chiamarsi l’erede legittimo della Monarchia di Sicilia, e dura ancora al dì di oggi.
Re Ruggiero, convocato un Parlamento in Ariano (1140) per assestare la forma dello Stato, vi sancì e pubblicò le Costituzioni della Monarchia. Diede regola ed organamento alla macchina governativa; costituì sulle regie entrate il Gran Camerario; e così pur chiamò Camerarii gli uffiziali regii preposti nelle provincie alla riscossione delle pubbliche rendite. E Reggio con questo nuovo ordinamento risultò sede del Camerario del Ducato di Calabria. Creò oltre a questo un Supremo Consiglio dello Stato che chiamò Magna Curia; e di molti uffizii secondarii serbò l’essere ed il nome come sotto i Bizantini. E così durarono per lunga pezza il gaito, lo strategò, il logoteta, e dura ancora il sindico nei nostri Comuni.
Quando Ruggiero fondò la monarchia, la popolazione de’ suoi Stati, oltre degli antichi abitatori, si trovava composta di Greci, Saracini, Longobardi, Franchi, o Normanni, ed Ebrei, che vivevano tutti rinfusi ed imparentati. I Greci però, i Saracini, i Franchi ed i Longobardi facevano il più numero. I Franchi ed i Longobardi erano chiamati collettivamente Latini. E Greci, Saracini, e Latini formavano sotto i Normanni gran parte della popolazione di Reggio, e del suo territorio. Ma i Greci prevalevano, e la stessa lingua era greca. Nondimeno queste varie fatte di genti si vennero poi perdendo ne’ tempi successivi, e non si tenne più conto delle varie loro origini, tranne solo gli Ebrei, cui la profonda differenza della credenza religiosa, e delle civili usanze tenne sempre distinti dal corpo della nazione.
Papa Lucio II confermò a Re Ruggiero i diritti di Legato Apostolico.
IV. Non andò molto tempo (1146) che tra gl’Imperatori di Costantinopoli e Ruggiero si venne alle prese. Pretendevano sempre i primi che i Normanni ingiustamente avessero in lor potere tutto quanto già teneva in Italia l’Impero Bizantino. E Giovanni Comneno, volendo farne valere le antiche ragioni, dichiarò la guerra a Ruggiero. La Repubblica di Venezia si tramezzò a ricomporre la pace, e deputò a tale effetto il Doge Pietro Bolani. Ruggiero mandò altresì suoi speciali commissarii a Costantinopoli a trattar con pacifiche intenzioni; ma costoro, con flagrante violazione del diritto delle genti, furono ivi imprigionati. Di tale insulto indignatissimo Ruggiero, commise alla vela una potente armata, e sulle prime prese possessione di Corfù, e saccheggiò Cefalonia, Negroponte, Corinto, Tebe, Atene, ed altre appartenenze dell’impero bizantino. Non si può dire la quantità delle prede preziose che riportarono i Normanni vincitori da quella spedizione. Parecchie migliaja di Greci di varie età, sesso e condizione, e moltissimi Giudei furono menati prigionieri in Sicilia, e servirono a popolar varie terre che pativano difetto di abitanti. Con tale occasione Ruggiero trasse seco in Palermo (1148) quanti artefici greci potè avere, o colle buone o per forza, che meglio lavorassero in drapperie di seta. E quegli sciamiti o stoffe di seta a varii colori, e tessuti ad oro, che prima non lavoravansi se non in Grecia ed in Ispagna, divennero allora lavori assai raffinati in Sicilia ed in Calabria: donde in processo si diffusero per il resto dell’Italia, e per le altre parti di Europa.
Una delle più proficue coltivazioni dell’isola cominciò ad essere sin da quel tempo quella delle canne da zucchero, dette da’ naturali cannamele, dalla dolcezza de’ succhi. E ne’ posteriori tempi sotto gli Svevi, allargatasene la piantagione per tutta la Sicilia e la Calabria meridionale, se ne pose in Palermo una manifattura per ordine dell’imperatore Federigo II, che ne diede la vigilanza e la cura a Riccardo Filingeri. In Calabria ad una contrada prossima alla Catona nel distretto di Reggio rimane tuttavia il nome di Cannameli, e rimemora una coltura al tutto perduta fra noi.
V. Passata di questa vita la regina Albiria, re Ruggiero menò nell’anno appresso in seconda moglie Sibilla, sorella di Odone II Duca di Borgogna, la quale non guari dopo morì anch’essa in Palermo. A Ruggiero erano venuti da Albiria sei figliuoli, de’ quali cinque maschi Ruggiero, Tancredi, Anfuso, Guglielmo ed Arrigo, ed una femina. Il primogenito Ruggiero premorì al padre nel mille cento quarantanove, lasciando un figliuol naturale Tancredi. Ruggiero fece nuove nozze con Beatrice, dopo la morte di Sibilla; e da questa Beatrice, a cui era padre il Conte di Retesta, gli nacque postuma la figliuola Costanza (1154): poichè il re era già morto nella fine del precedente anno.
Successe a Ruggiero il quartogenito Guglielmo, unico avanzo della prole avuta da Albiria. Questo Guglielmo, essendo ancor vivo il padre, aveva tolto a donna Margherita, figliuola di Garzia V re di Navarra. Sotto questo re i soprastanti ed ambiziosi che il vigoroso governo di Ruggiero aveva tenuti a freno, levarono il capo, e suscitarono congiure e tumulti in Sicilia, in Puglia, in Calabria. Guglielmo, comunque malvagio, non era re che di titolo; e la somma della cosa pubblica stava nell’ammiraglio Majone, a cui di re non mancava che solo il nome. Costui tra gli ambiziosi ed i pessimi aveva il primo grado, e struggendosi a morte del desiderio di farsi sovrano, macchinava perfidamente la perdizione e la morte del suo re. Il che venuto alle orecchie dei Calabresi, commossi già dalle turbolenze divampate in Puglia, eransi anch’essi sollevati contro l’autorità di Majone; protestando ad un tempo la loro fede inalterabile per la famiglia normanna. Questa novità indusse molto terrore nell’animo di Majone, e giudicò esser di gran momento spedirvi persona che trovasse buon modo di ammorzar ne’ Calabresi le deste scintille, ed il malumore (1159). Fu costui Matteo Bonello, che a nobilissima stirpe accoppiava tutte quelle virtuose condizioni che cattivano all’uomo l’estimazioue e l’osservanza di tutti. Nè era poco che fosse imparentato con molte delle più nobili e potenti famiglie di Calabria.
VI. Il Bonello adunque, avuto il mandato da Majone, partì di Palermo, e venne in Calabria; dove ad alcuni suoi amici aperse la cagione della sua venuta. Egli volle da prima con ogni suo studio sgravar Majone delle imputazioni dategli; ma Ruggiero di Martorano, che a que’ dì teneva in Calabria gran vita e gran seguito, interrompendolo bruscamente in nome di quanti vi erano presenti a sentirlo, osservò: esser egli in estrema meraviglia come Matteo Bonello nobilissimo ed integro uomo, potesse lasciarsi indurre, per non dir peggio, a tanta cecità da prestarsi alle voglie ed a’ comandi di uno scelleratissimo traditore, sino a forzarsi di voler dimostrarlo innocente contro l’eloquenza de’ fatti. Con che dava ad intendere il Bonello, anche lui essere a parte della trama ordita da Majone contro il monarca. E tanto fu eloquente e persuasivo il Martorano che il Bonello di aderente di Majone si mutò in avversario, abbracciandosi a que’ Calabresi, alla cui benevolenza era venuto a raccomandar l’ammiraglio. Fu da loro tenuta al bisogno una conferenza, nella quale si deliberò la morte di Majone. Ed a sperimento della leale conversione del Bonello, fu a lui stesso commessa l’esecuzione del preso consiglio. E la Contessa di Catanzaro, che vi avea cooperato, gli fece promessa di accettarlo a marito, come tosto egli traesse ad effetto la cosa convenuta.
In questo maneggio di cose, Niccola Logoteta ch’era Camerario di Calabria, fu sollecito di scrivere a Majone, e divisargli tutto quanto erasi operato da Matteo Bonello sin dalla sua prima arrivata in Calabria. Majone sentì con molta sorpresa ciò che il Logoteta gli denunziava, nè poteva capirgli nell’animo tanto mutamento del Bonello. Ma quando da lettere consecutive ebbe che non vi era luogo a dubitarne, non vedeva più l’ora di farne vendetta. Matteo Bonello intanto, imbarcatosi da Reggio per Sicilia, era già pervenuto a Terme, luogo a venti miglia da Palermo. Quivi abbattutosi ad un suo soldato familiare, colse da questi la mente ed il disegno di Majone. Onde, tuttochè l’ammiraglio infingendosi il pressasse a ricondursi in Palermo, il Bonello traccheggiava, e non restava in questo mentre di dir sue ragioni a Majone con lettere suasive e commoventi. E seppe dir tanto che Majone, rimutatosi, ebbe per calunniose le relazioni del Logoteta e di chi che si fosse; e tornò a riposarsi sulla fedeltà del Bonello. Il quale quando stimò che potesse senza suo pericolo ravvicinarsi a Majone, fu di nuovo in Palermo. E quivi, vestendosi un’altra persona, ed infingendosi con molto artifizio, aggiustò il tempo di levar la vita all’ammiraglio (1160), e di liberare lo Stato da un uomo, che co’ suoi scellerati maneggi era vicino ad usurparselo.
VII. Re Guglielmo al venir della morte (1165) fece testamento in Palermo alla presenza dell’Arcivescovo di essa città, e di Ruggiero Arcivescovo di Reggio; lasciando l’eredità de’ suoi Stati a Guglielmo II suo maggior figliuolo. Ma siccome questi non contava che dodici anni, volle il padre che la vedova regina Margherita nella minorità del figlio avesse il baliato del reame; amministrando però ogni cosa col consiglio ed appoggio di uomini sperimentati e leali, fra i quali erano l’Eletto di Siracusa, il Gaito Pietro Eunuco, e Matteo Notajo. Ma oltre di costoro avevano ancor luogo eminente nella corte di Guglielmo II gli Arcivescovi Romualdo di Salerno, e Ruggiero di Reggio, non che i Vescovi Gentile di Girgenti, e Tustano di Mazzera. Il Vescovo Gentile, essendo uomo fuor di maniera presuntuoso, superbo, e bramoso di sormontare, sparlava di tutti gli altri, e soprattutto dell’Eletto di Siracusa, concitandogli contro l’odio altrui, e ponendolo in discredilo presso i magnati ed il popolo. E ciò perchè a tutti e due era entrata la febbre dell’Arcivescovado di Palermo. Il vescovo di Girgenti aveva tirato dalla sua l’Arcivescovo di Reggio, per procacciar la ruina dell’Eletto di Siracusa, ed entrò anche con loro in questa pratica l’Arcivescovo di Salerno. Era loro disegno allontanar prima dalla Corte l’Eletto di Siracusa, e poi torgli la vita.
La Regina Margherita d’altra parte (1166) non aveva per male questi maneggi de’ suoi cortigiani; perchè l’Eletto di Siracusa era da lei mal digerito. Gilberto però Conte di Gravina, ch’era consanguineo della regina, e dimorava allora in Sicilia, favoreggiava la parte dell’Eletto Siracusano. Era anche venuto di Spagna in Palermo Arrigo fratello della regina, al quale costei aveva dato in signoria la Contea di Montescaggioso. Circa questo tempo la regina aveva costituito Gran Cancelliere del Reame Stefano figlio del Conte di Pertica, e datogli altresì l’Arcivescovado di Palermo. Ciò fece che le persecuzioni dirette contro l’Eletto di Siracusa si disviassero contro il nuovo Cancelliere. Il quale anche, coll’aver voluto diradicare molti abusi dello Stato, si era tirato oddosso l’odio de’ nobili e de’ potenti. Stefano aveva eletto a suo Maestro di casa Odone Quarrello, Canonico di Carnò, del cui consiglio faceva sempre gran capitale ne’ più gravi affari del governo. Agli avversarii del Gran Cancelliere si era congiunto il Conte Arrigo, e cominciarono a tendergli tante insidie e sì fatte, che Stefano pensò seriamente a porvi riparo.
Il nodo della congiura contro di lui era in Messina, e tra i principali congiurati erano il Vescovo Gentile, Riccardo Conte di Molise, Bartolomeo Perugino, l’Arcivescovo di Reggio, Ruggiero Conte di Gerace, e Gilberto Leulciense. In Messina la Corte ed il Cancelliere vi erano andati a passarvi l’invernata. Quivi costui fintò l’animo e l’ordito de’ congiurati, e si diede a trovare il bandolo della matassa. Al Conte di Gravina, che se nera tornato in Puglia, mandò preghiera che sotto colore di far visita alla real famiglia, volesse condursi in Messina con qualche drappello di armati. Poi per ammorbidir l’animo del popolo messinese il Cancelliere impetrò dal Re la rintegrazione di alcune franchigie che Ruggiero aveva già date, e poi tolte alla città. Ed ottenne altresì la confisca degli averi e la prigionia dello Strategò Riccardo; dal quale i Messinesi dicevansi trapazzati, ed in ogni peggior maniera oppressi. Laonde in Messina il nome del gran Cancelliere era levato alle stelle.
VIII. Ciononostante in questa città medesima una gran parte di cittadini si mostrava tutta del Conte Arrigo, a cui si erano ancora aderiti moltissimi Calabresi, i quali a cagion della venuta del Re avevano fatto concorso in Messina (1167). Ma l’arrivo del Conte di Gravina, con un buon nerbo di sua gente, sconcertò i congiurati, e non si vedeva che più ardissero di dare effetto al loro disegno. Nuove cause però di malcontento si suscitavano nel popolo contro del Cancelliere. Questo era assoluto ne’ suoi comandi, e brusco ed altero quanto altri mai fosse, onde presso la plebe era venuto in grande abborrimento. Ed oltre modo traboccò la misura, quando venuti di Francia e di Normandia molti suoi cagnotti e lance, costoro abusando del patrocinio della Corte, si diedero a svillaneggiare i Greci ed i Latini, chiamandoli traditori, e peggio. Di questa plebe incagnata, e dispostissima a menar le mani si fece partito il Conte Arrigo, e prese deliberazione di dar compimento all’ impresa. Ma in sul buono, Ruggiero uno de’ Giudici di Messina ch’era de’ consapevoli, svelò ogni cosa alla Corte. Immantinente il Conte fu chiamato alla presenza del Re per purgarsi di quanto gli era imputato; ma egli negava tutto. Non trovò però via di difendersi, e tutto si tramescolò e mutò di colore, quando venuto in mezzo il Giudice Ruggiero sostenne che avea buono in mano per provare quanto il Conte disdiceva; onde questi fu detenuto dentro il Palagio.
Seppesi fra ciò come i suoi Spagnuoli, armatisi di tutto punto, stavano pronti nella costui casa; e già la città era tutta in trambusto, e moltissimi cittadini gridavano all’armi. Allora il Cancelliere fece che i soldati regii e quelli del Conte di Gravina si mettessero in ordinanza sotto la regia abitazione; ed impose recisamente agli Spagnuoli che dentro il giorno appresso dovessero andar via di Messina, sotto minaccia di prigionia a’ contumaci. Laonde colla più fretta che poterono, passarono in Calabria; ma i Reggini, e le genti de’ convicini luoghi che seguivano la parte del Cancelliere, inteso l’ accaduto di Messina, e l’ espulsione della squadra del Conte Arrigo, si scagliarono addosso a’ fuggiaschi, e li conciarono per le feste come Dio vel dica. Sì che gran parte di que’ miseri perirono di fame e di freddo nelle selve calabresi, ove si andavano appiattando, cacciati dalla rabbia dell’uomo, che per ordinario quanto è feroce se vince, tanto è vile se perde. Alla cacciata degli Spagnuoli seguì in Messina la persecuzione ed incarceramento de’ capi della congiura. Rispetto ad Arrigo Conte di Montescaggioso, amò la regina che, donategli mille once di oro, fosse rimandato in Ispagna. E come Odone Quarrello per affari di stato doveva passare in Francia con sette galee, fu a lui commesso di menare il Conte Arrigo sotto scorta sino a’ confini Spagnuoli. Ma dubitando il Cancelliere dell’umore del popolo messinese, che durava benevolo al Conte, ordinò che questi fosse trasferito e detenuto nel castello di Reggio. Donde il Quarrello, come avesse pronte le galee ad entrare in mare, potrebbe facilmente imbarcarlo, e condurlo seco.
Dopo tali cose tutta la Corte ritornava in Palermo, ed il Conte di Gravina in Puglia. Solo rimaneva in Messina, sulle mosse di partire, il Quarrello. Ma costui trattenutovisi più del convenevole, per la cupidità di cavar moneta dalle navi latine che in quella stagione solevano toccar quel porto nel loro tragitto per la Siria, doveva, come volle la sua mala fortuna, precipitare ad inevitabile rovina. L’umore de’ Messinesi che covava da gran pezza era per prorompere in aperta ribellione. Il Cancelliere il sapeva, e faceva la maggior premura del mondo che il Quarrello mettesse alla vela per allontanar da que’ luoghi il Conte Arrigo. Il quale da entro il castello di Reggio non faceva che istigare i suoi aderenti a levar tumulti in Messina a favor suo. Ma il Quarrello, tutto dato a’ guadagni, non sapeva risolversi alla partenza.
IX. Ora intervenne che i suoi scherani, i quali avevano per usanza di andar vagando ubbriachi per la città, trovassero in una casa alcuni Greci a diporto, e sturbandoli, cominciassero con villane parole a sbeffeggiarli. I Greci, non sentendosi di tollerar più avanti gl’insulti, si gittarono loro addosso, e resero coltelli per guaine. Quando questo seppe Odone mandò per lo Strategò, e gl’impose che facesse menar presi alla sua presenza que’ Greci; ma lo Strategò, che conosceva quanto la città fosse sordamente agitata da bollenti umori di sedizione, non ne volle far nulla. Intanto i Latini, che erano avversi ad Odone per l’affare delle navi loro che andavano in Siria, si unirono co’ Greci, e stuzzicarono i cittadini a dar di piglio alle armi. E venutosi a molti tumultuarii propositi in pien popolo, da ultimo fu adottato il consiglio di dar morte al Quarrello, e poi cavar di prigione il Conte, del cui amore per loro aveano avuto sempre i Messinesi argomenti non dubbii. Costoro adunque corsero furiosi ad assaltar la casa di Odone; ma nulla avendo potuto ottenerne in quel primo slancio, si diressero al porto. Trovate ivi le sette galee regie ben fornite di armi e di gente, vi si cacciaron sopra; e con quelle valicato lo stretto, smontarono in Reggio. Era l’ottava di Pasqua, ed i Reggini, ad esortazione di Giovanni Calomeno ch’era allor Camerario di Calabria, non solo dischiusero le porte della città a’ Messinesi, ma seco si unirono per avviarsi al castello, in cui stava il Conte. Intimarono tosto a’ soldati, che facessero consegna della costui persona; minacciandoli, che se la resistenza fosse per protrarsi di là da un giorno, essi avrebbero fatto venirsi da Messina contro il castello quante altre munizioni e genti fossero di bisogno ad abbatterlo. Ma i soldati, avendo a poca cura queste minacce, respingevano con molta fermezza chiunque si avvicinasse al castello. Pure guardando poi alla pochezza del loro numero, e che non vi fosse appena vettovaglie per tre giorni, risposero a’ Messinesi, ch’essi avrebbero liberato il Conte, qualunque ora lo strategò, o alcuno de’ Giudici di Messina, o qual altro sia regio Uffiziale si portasse in Reggio, ed ordinasse in sua presenza la consegna del prigioniero. Questo fecero senza punto d’indugio i Messinesi, menando per forza da Messina a Reggio Giacomo Ostiario, che vi soggiornava temporaneamente per commissione del governo. Così al Conte fu data, presente l’Ostiario, la libertà; ed i suoi liberatori lo condussero in festa a Messina, dove ogni ordine di cittadini accorse a congratularsene, ed a fargli riverenza. Odone al contrario ebbe arrandellata la strozza a furia di popolo.
X. Questa sommossa, che poi seguitando si dilatò in Palermo, e per tutta l’isola contro il Cancelliere, portò per effetto che questi dovesse fuggir di Sicilia. Dopo la sua fuga, quanti erano stati o imprigionati o banditi di suo ordine, furono liberati e ribenedetti. Gentile Vescovo di Girgenti sormontò tra i cortigiani potentissimo, ed il Conte di Montescaggioso, il Conte di Molise, e molti altri tra i principali Messinesi si recarono in Palermo con ventiquattro galee armate. Ivi ricomposero a lor senno la Corte, largheggiando de’ maggiori uffizii a’ loro congiunti ed amici.
A questi tempi (1169) vi fu sì forte e terribile terremoto per Calabria e Sicilia, che tutte le chiese, ed il più degli edifizii crollarono con gran mortalità di gente. Si rinnovò questo flagello nel 1184; ed allora Catania fu affatto distrutta; ed in Siracusa la celebre fonte di Aretusa mutò in torbide e salmastre le chiare e dolci acque. Reggio senti veementissimo lo scuotimento, ma non fu atterrata che in picciola parte. Maggior danno pati Cosenza, ove moltissime persone perdettero la vita sotto le mura che improvvisamente si sfracellarono; e fra queste persone fu lo stesso Arcivescovo Rufo.
È qui a proposito il dire che da papa Alessandro III fu conceduto il Pallio a Ruggiero Arcivescovo di Reggio, e suoi successori; e prescrittogli di potersene valere nella consecrazione de’ Vescovi suoi suffraganei, o fossero greci o latini. Alessandro III era allora in Messina; e re Guglielmo, che aveva ivi messo in ordine ogni cosa necessaria ad onorare e riverire convenientemente il Pontefice, gli mandò una magnifica galea per suo servigio, e quattro altre anche elegantissime per i Cardinali. E commise inoltre a parecchi Prelati (fra i quali era l’Arcivescovo di Reggio) e ad altri nobili signori che dovessero fargli ossequio coll’accompagnarlo sino a Roma. A’ tempi di questo Alessandro III, de’ tredici vescovadi che dicemmo suffraganei alla Chiesa Reggina, non ne rimanevano che otto. Imperciocchè Cosenza e Rossano erano state già elevate ad Arcivescovadi. Devastate da’ Saracini Tauriana e Monteleone, le sedi vescovili di queste città erano state incorporate a quella di Mileto, che non dipendeva da Reggio. Per la stessa cagione il Vescovado di Amantea era stato riunito a quello di Tropea, come quello di Nicotera all’Arcivescovado di Reggio. Ma poi questo vescovado di Nicotera, dopo due secoli e più, fu nuovamente da papa Bonifazio IX restituito alla sua integrità di suffraganeo. Finalmente il Vescovado di Besignano era stato aggiunto a’ suffraganei dell’Arcivescovo di Salerno, come portava la stessa sua posizione dentro i confini del Principato. Bova, Oppido e Gerace non appariscono suffraganei di Reggio che nello scorcio della dominazione bizantina.
Guglielmo II, pervenuto al vigesimoterzo anno dell’età sua (1177) contrasse matrimonio in Palermo con Giovanna figliuola di Arrigo II Re d’Inghilterra. Non ostante le rivolture che a cagione della funesta ambizione cortigianesca scompaginarono i suoi Stati, egli tenne indole così benigna, che quelli ancora ch’erano stati nemicissimi del padre suo, gli furono fedelissimi ed amorevoli. Ne’ concordati conchiusi fra questo re, e papa Adriano IV fu statuito che al Pontefice spettasse la totale consecrazione de’ Vescovi del Reame. Perciocchè questa consecrazione, per l’avanti, come già osservammo per l’Arcivescovo di Reggio, si esercitava dagli Arcivescovi sopra i loro suffraganei di rito latino e greco.
Il buon Guglielmo II moriva senza figliuoli (1189); ma inconsapevole legava al suo Reame lunga eredità di sventure. Quattro anni prima della sua morte, lo svevo Arrigo, figliuolo di Federigo Barbarossa, si ammogliava in Milano alla principessa Costanza, figlia di re Ruggiero e di Beatrice.