Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. II)/Libro undecimo - Capo III

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C a p o   III.


Arti sotto Nerone - Monumenti del suo tempo - Pretese teste e statue di Seneca... e di Persio - Decadenza della statuaria - Statue tolte alla Grecia... Apollo di Belvedere... Gladiatore della villa Borghese - Sotto Galba, Ottone, e Vitellio - Sotto Vespasiano... Tito... e Domiziano — Supposti trofei di Mario — Statue di Domiziano — Sotto Nerva... e Trajano — Monumenti de’ Cuoi tempi... sua colonna... e suo arco in Ancona — Arti in Grecia.

Arti sotto Nerone Nerone, successor di Claudio, mostrò per tutto ciò che risquardava le belle arti un’avidità insaziabile, ma egli era come gli avari: metteva ogni studio in accumulare anzichè in far eseguire de’ lavori. Del suo cattivo gusto ne abbiamo un argomento nell’ordine ch’ei diede d’indorare la statua d’Alessandro in bronzo, opera di Lisippo1, e poichè videsi che ciò aveane pregiudicata la bellezza, ne fu poscia levata l’indoratura, di cui ciò non ostante restaronvi de’ vestigj. Prova del suo gusto depravato pur sono la rima ch’egli ricercava tra la cesura e la fine del verso, e le stravaganti metafore che usava continuamente, per le quali cose vien messo in ridicolo in una satira di Persio2. forse in questo suo cattivo gusto ebbe molta parte Seneca, il quale3 esclude dalle arti liberali la pittura e la scultura4.

[p. 350 modifica] Monumenti del suo tempo §. 1. Dello stile dell’arte sotto Nerone nulla possiamo dire di ben determinato, non altro rimanendoci che due mutilate teste del medesimo, le pretese statue d’Agrippina sua madre, e un busto di Poppea sua moglie. Le teste dette di Seneca rappresentano tutt’altri che lui.

§. 2. Manca la testa di Nerone nella magnifica collezione delle figure imperiali della villa Albani, dal che se ne può argomentare la rarità. Nella testa di esso esistente nel museo Capitolino5 non v’è d’antico che la parte superiore del volto e un solo degli occhi6. Che diremo della testa di bronzo nella villa Mattei? Essa è un nuovo e assai mediocre lavoro; e tal è un’altra testa ancor più recente nel palazzo Barberini. Nel mentovato museo Capitolino è stata dai poco versati Custodi riputata antica un’altra affatto moderna testa7, ed una specie di medaglione pur nuovo, rappresentanti il medesimo imperatore; e deggio qui avvertire il mio leggitore che moderno lavoro generalmente sono tutte le teste imperiali così formate a rilievo su i medaglioni.

§. 3. Tre statue abbiamo sotto il nome d’Agrippina. La più bella è nella Farnesina8, l’altra nella villa Albani, e la terza nel museo Capitolino9. Ivi è pure il bel busto di Poppea, che ha una particolare singolarità; poichè in un [p. 351 modifica]pezzo solo di marmo vi sono due colori diversi, bianca essendone la testa e ’l collo, e paonazzo con delle vene o strisce violacee il panneggiamento del petto10.

Pretese teste e statue di Seneca... §. 4. Ancor più pregevoli che le teste di Nerone sono, riguardo al lavoro, quelle che portano il nome di Seneca, la più bella delle quali in bronzo si vede nel museo Ercolanense11. In marmo, oltre quelle che sono nelle ville Medici e Albani12, ne possiede una il sig. Giovanni Dyck console Inglese a Livorno, che comprolla dai signori Doni a Firenze per 130. zecchini. Simile a quelle teste v’era altre volte in Roma un busto in forma d’Erme, il quale comprato fu dal signor marchese Gusman vicerè di Napoli13, e mandato in Ispagna con altri antichi monumenti, coi quali perì in un naufragio.

§. 5. Tali teste vengono generalmente prese per l’effigie di Seneca sull’asserzione del Fabri, il quale, spiegando le immagini degli uomini illustri raccolte da Fulvio Orsini, dice che una testa somiglievole si trova fu una bellissima moneta contornata col nome di Seneca14. Tal moneta però nè egli nè altri ha mai veduta. E’ dunque molto dubbioso che di Seneca sieno quelle teste, e ’l mio dubbio si farà maggiore se chiederemo come mai tante volte e in bronzo e in marmo sia stato fatto il ritratto ad un soggetto ch’era nella maggior disistima, mentre non v’è nessun grand’uomo dell’antichità di cui pervenute ci siano altrettante immagini. Il busto d’Ercolano dovrebb’essere stato fatto lui vivente, e le teste in marmo sono certamente opere d’un tempo, in cui l’arte fioriva. E’ altresì improbabile che Adriano abbia voluta collocare l’effigie di quel filosofo ipocrita nella sua villa, ove pur s’è trovato un pezzo di simile testa assai ben [p. 352 modifica]lavorata, esistente ora presso il signor Cavaceppi. A me pertanto sembra più verosimile che ravvisarsi debba in quelle teste l’effigie di qualche uomo più antico, più celebre, e più rispettabile di Seneca15.

§. 6. Non solo alle teste, ma ad una intera statua, che vedesi nella villa Borghese, è stato dato il nome di Seneca, sebbene a torto, come ho dimostrato ne’ miei Monumenti16. Tale statua ignuda di marmo nero ha sì nell’atteggiamento che nel volto una piena somiglianza con una egualmente ignuda statua di grandezza naturale, ma di marmo bianco, nella villa Panfili17, e quella altresì è simile ad una statuina della villa Altieri, a cui però manca il capo. Queste due ultime portano nella sinistra una specie di canestro o sporta18, come le due piccole figure vestite da servi nella villa Albani. Ora poichè a piè d’una di quelle figure vedesi una maschera comica, da cui s’inferisce che ivi rappresentisi un servo della commedia, mandato, come per esempio il Sosia nell’ Andria di Terenzio, a fare sul mercato qualche provisione19; non è egli pur verosimile che lo stesso significato abbiano le statue Borghese e Panfili, e la statuina della villa Altieri? Altronde qual v’è argomento d’attribuire a Seneca le mentovate statue? Calva n’è la sommità del capo, laddove hanno i loro capelli le teste alle quali vien dato il nome dello stesso filosofo. Ciò che può indicar Seneca è quella specie di tino, fatto di marmo africano, entro cui sta parte della figura; ma quello è moderno, e fu adattato alla statua, perchè le mancavano le gambe, volendosi [p. 353 modifica]figurar con esso il bagno in cui Seneca aprendosi le vene finì di vivere20.

...e di Persio. §. 7. Non men bella delle pretese teste di Seneca è una testa a basso-rilievo in profilo, posseduta altre volte dal celebre cardinal Sadoleto, che teneala per una testa di Persio, e che vedesi ora nella villa Albani. Essa è scolpita su un quadro di marmo bianco detto palombino, largo una buona, spanna per ogni verso. Sadoleto fondò la sua denominazione sulla corona d’ellera, ond’ha cinto il capo, e su una certa modestia, che gli parea scorgergli in volto, accennata da Cornuto nella di lui vita. Argomentar si può dall’ellera che ivi rappresentisi diffatti un poeta; ma non è questi certamente Persio, il quale morì sotto Nerone in età di ventisette a ventott’anni21, mentre la testa di cui si tratta mostra un uomo tra i quaranta e i cinquanta (nel rame però è fatto molto più giovane), ed ha una barba che non conviene punto alle persone di ventott’anni ai tempi di Nerone. Dobbiamo per tanto annoverar questa fra le molte teste, alle quali è stato dato senza fondamento il nome di qualche uomo celebre. Questa ciò non ostante suole premettersi alle satire del mentovato poeta.

Decadenza della statuaria. §. 8. Dovendo giudicare del decadimento delle arti sotto Nerone, potrebbe inferirsi da un racconto di Plinio22, che a que’ tempi più non si sapesse gettare in bronzo; il che egli argomenta da una statua colossale di Nerone in tal metallo fatta da Zenodoro celebre statuario, il cui getto non potè riuscire23. Da questo racconto, e dai pezzi [p. 354 modifica]commessi e attaccati con chiodi ai cavalli porti sul portale della chiesa di s. Marco a Venezia, si è voluto inferire che siane andato a male il getto24, e che forse sian essi pure opere dei tempi di Nerone.


[p. 355 modifica] Statue tolte alla Grecia. §. 9. La Grecia trovavasi allora in circostanze sommamente infelici per le arti, poichè sebben Nerone lasciasse, quanto era possibile, godere ai Greci la libertà antica25, pure una volta s’infuriò contro le statue degli atleti coronati ne’ gran giuochi, facendole tutte rovesciare e gettare in luoghi immondi26; e fatto altresì insaziabile per gli altri monumenti dell’arte, ne fece spogliare la Grecia nel tempo che sembrava concederle una libertà tranquilla, avendo a tal oggetto colà spedito Aerato suo iniquo liberto, e certo mezzo saccente per nome Secondo Carinate, i quali tutto ciò che loro piacea trasportavano a Roma27.

§. 10. Nel solo tempio d’Apollo a Delfo furono allora prese cinquecento statue28. Or se si rifletta che questo tempio era già stato dieci volte saccheggiato, e principalmente dai Focesi che nella guerra sacra molte statue vi depredarono29, se ne argomenterà l’innumerevole quantità; anzi molte ancor ve n’erano ai tempi d’Adriano, alcune delle quali vengono rammentate da Pausania. Servirono quelle in gran parte ad ornare la così detta casa aurea di Nerone30.

§. 11. E’ probabile che tra tali statue vi fosse l’Apollo di Belvedere, e ’l supposto Gladiatore della villa Borghese, opera d’Agasia efesino, essendo siate amendue trovate in Anzio31, luogo in cui nato era Nerone32, e per ornare [p. 356 modifica]il quale moltissimo spese, come può tuttora inferirsi dalle grandi ruine che sen veggono lungo il mare33. V’era, fra le altre opere, un portico in cui un suo liberto dipinte avea le figure de’ gladiatori in tutte le positure immaginabili34.

Apollo di Belvedere.

§. 12. La statua dell’Apollo di Belvedere è la più sublime fra tutte le opere antiche, che sino a noi si sono conservate35. Direbbesi che l’artista ha qui formata una statua puramente ideale, prendendo dalla materia quel solo che era necessario per esprimere il suo intento, e renderlo visibile. Questa mirabile statua tanto supera tutti gli altri simulacri di quel dio, quanto l’Apollo d’Omero è più grande degli altri descritti da’ susseguenti poeti. Il complesso delle sue forme sollevasi sovra l’umana natura, e ’l suo atteggiamento mostra la grandezza divina che lo investe. Una [p. 357 modifica]primavera eterna, qual regna ne’ beati Elisj, spande sulle virili forme d’un’età perfetta i tratti della piacevole gioventù, e sembra che una tenera morbidezza scherzi sull’altera struttura delle sue membra. Vola, o tu che ami i monumenti dell’arte, vola col tuo spirito fino alla regione delle bellezze incorporee, e diventa un creatore di una natura celeste per riempiere l’alma tua coll’idea d’un bello sovrumano, poichè in quella figura nulla v’è di mortale, nessun indizio si scorge dei bisogni dell’umanità! Non vi sono nè tendini nè vene, che quel corpo muovano o riscaldino, ma par che uno spirito celeste, simile a fiume placidissimo, tutti abbiane formati gli ondeggianti contorni. Egli ha inseguito il serpente Pitone, contro di cui ha per la prima volta piegato l’arco, e col possente suo passo lo ha raggiunto e trafitto. Ben consapevole di sua possanza porta il sublime suo sguardo quasi all’infinito ben al di là della sua vittoria. Siede nelle sue labbra il disprezzo, e lo sdegno che in sè rinchiude gli dilata alquanto le narici36, e sin all’altera sua fronte si estende; ma la pace e la tranquillità dell’anima rimaner sembrano sulla stessa fronte inalterabili, e gli occhi suoi pieni son di quella dolcezza, che mostrar suole allorchè lo circondan le Muse e lo accarezzano. Fra tutt’i rimastici simulacri del padre degli dei, nessuno ve n’ha che s’avvicini a quella sublimità in cui egli manifestossi alla mente d’Omero; ma nel volto del figlio tutte si veggono riunite le bellezze delle altre deità, come presso la Pandora. Egli ha di Giove la fronte gravida della dea della sapienza, e le sovracciglia che il voler supremo manifestan co’ cenni37; ha gli occhi della regina delle dee in maniera grandioso arcuati; è la sua bocca un’immagine di quella dell’amato [p. 358 modifica]Branco38, in cui respirava la voluttà; la sua morbida chioma coll’olio degli dei pare unta39, e simile a’ teneri viticci, scherza quali agitata da una dolce auretta intorno al divin suo capo, in cima a cui sembra con bella pompa dalle Grazie annodata. Mirando questo prodigio dell’arte, tutte le altre opere ne obblío, e sovra di me stesso mi sollevo per degnamente contemplarlo, Pieno di venerazione parmi che il petto mi si dilati, e s’innalzi come quello de’ vati del profetico spirito ripieni, e già mi sento trasportato in Delo e nelle Licie selve, che Apollo onorò di sua presenza40: parmi già che quella mia immagine vita acquisti e moto, come la bella opera di Pigmalione. Ma come potrò io ben dipingerla e descriverla! Avrei bisogno dell’arte medesima che mi desse consiglio, e guidasse la mia mano a perfezionar col tempo quelle prime linee che n’ho abbozzate. Depongo per tanto appiè di questa statua l’idea che ne ho data, imitando cosi coloro che posavano appiè de’ simulacri degli dei le corone che non giugneano a metter loro sul capo41.

§. 13. Da quella descrizione e dall’espressione che vedesi sul volto della statua appare che non possa ivi ravvisarsi con Spence Apollo cacciatore42. Se taluno però non trovasse sublime abbastanza l’immaginar qui ucciso dal dio il [p. 359 modifica]serpente Pitone, si figuri di vederlo in atteggiamento d’aver ucciso il gigante Tizio, atterrato da lui giovanetto ancora, quando tentò di far violenza a Latona sua madre43.


[p. 360 modifica] Gladiatore della villa Borghese. §. 14. Il così detto Gladiatore della villa Borghese, che fu trovato, come dicemmo, nello stesso luogo coll’Apollo, se vogliamo giudicarne dalla forma delle lettere, sembra essere la più antica statua di Roma, che abbia il nome dell’artefice. Non troviamo presso gli storici alcuna notizia di Agasia figlio di Dositeo che la scolpì, ma basita questo suo lavoro a farne conoscere l’abilità44. Come nell’Apollo e [p. 361 modifica]nel Torso d’Ercole vedesi un puro ideale sublime, e nel Laocoonte scorgesi la natura abbellita e sublimata coll’ideale e coll’espressione; così nel Gladiatore si ravvisa un composto di bellezze naturali in un’età perfetta, senza che nulla v’abbia aggiunto del suo l’immaginazione. Quelle figure sono simili ad un poema epico, in cui dal verosimile si passa oltre il vero e si va al maraviglioso; ma quella è simile ad una storia, in cui la verità si espone coi più fcelti concetti ed espressioni45. Vedesi qui ad evidenza che le sembianze ne sono state prese dal naturale, rappresentandovisi un uomo non più nel fiore di giovinezza, ma nell’età virile, in cui scorgonsi le tracce d’una vita sempre laboriosa, e d’un corpo indurato alla fatica.

§. 15. Alcuni hanno ravvisato in questa statua un Discobolo, cioè un di coloro che esercitavansi a gettare un disco di metallo; e tale è in una lettera a me diretta il sentimento del celebre signor di Stosch; ma egli non avea ben considerata la positura in cui avrebbe dovuto rappresentarsi una simile figura. Colui che gettar vuole un corpo, dee portar la vita indietro46; e nell’atto che ’l getta, tutta la forza si fa sulla coscia destra, restando inoperosa la gamba sinistra. Ma avviene qui l’opposto: tutto il corpo si porta avanti ed appoggiasi sulla coscia sinistra, stendendo quant’è possibile indietro la destra47. Il braccio destro è [p. 362 modifica]moderno, e gli è stato posto in mano come un pezzo di lancia: al braccio sinistro vedesi tuttora la coreggia con cui imbracciava lo scudo che ivi esser dovea. Se osservisi che la testa e gli occhi guardano in alto, e che la figura sembra volersi difendere collo scudo da qualche cosa, che dall’alto gli si scaglia, si potrà con più ragione ravvisare in questa statua un guerriere, che meritata se l’abbia per qualche tratto di valore in un’occasione perigliosa48. Probabilmente non fu [p. 363 modifica]mai presso i Greci accordato l’onor d’una statua ai gladiatori; e forse questi nemmen erano noti in Grecia ai tempi d’Agasia49.

Sotto Galba, Ottone, e Vitellio. §. 16. De’ tempi dei primi successori di Nerone, cioè di Galba, Ottone, e Vitellio non altro v’è a dire se non che rarissime ne sono le teste. La più bella, tra quelle di Galba, vedesi nella villa Albani: ivi e nel museo Capitolino50 veggonsi le teste d’Ottone; quelle di Vitellio per lo più son moderne, e tale è quella del palazzo Giustiniani, comechè molti la diano per antica.

Sotto Vespasiano. §. 17. A questi mostri, che occupato aveano il trono, succedè Vespasiano, il cui regno, malgrado la sua economia, fu molto più giovevole alle arti, che l’insensata prodigalità de’ suoi antecessori. Egli non solo fu il primo che assegnò de’ fondi considerevoli ai maestri della latina e greca eloquenza, ma colle ricompense invitò a sè i poeti e gli artisti51. Abbiam di già osservato52 con Plinio, che Cornelio Pino ed Accio Prisco si resero celebri sotto il di lui regno, e dipinsero per suo comando il tempio della Virtù e dell’Onore ch’egli avea restaurato. Nel tempio della Pace da lui edificato53 fece collocare molte delle statue trasportate dalla Grecia in Roma ai tempi di Nerone54; e vi si [p. 364 modifica]vedeano principalmente raccolte le tavole de’ più famosi dipintori, onde quel luogo era divenuto, a così dire, una magnifica pubblica galleria di pitture. Sembra però che queste, anzichè nel tempio, fossero in alcune sale sovra di esso, alle quali andavansi per una scala fatta a chiocciola, che tuttora sussiste55. V’erano eziandio in Grecia de’ tempj, che chiamavansi pinacoteche, ossia gallerie di pitture56.

§. 18. Sotto questo cesare erano gli Orti Sallustiani, il più visitato sito di Roma, ov’egli soleva abitare, e dar pubblica udienza57; ond’è probabile che ornati gli abbia coi più bei monumenti dell’arte. Ciò possiamo pur argomentare dall’esservisi sempre trovato, qualunque volta vi si sono fatti scavi, gran numero di statue e di busti; ed anche nell’autunno del 1765., essendovi flato aperto un nuovo scavo, se ne disotterrarono due figure ben conservate, se non che loro mancava la testa che non si è mai potuta trovare. Queste rappresentano due fanciulle in una leggiera sottoveste, che dalla spalla destra scende loro sino alla metà della parte superiore del braccio. Amendue giacciono stese su un lungo zoccolo, ma tengono sollevata la vita, sostenendosi sul braccio manco, e sta sotto di esse un arco rallentato. Similissime sono queste figure a quella d’una fanciulla che giuoca agli astragali, altre volte nel museo del cardinal di Polignac58, e come questa hanno la destra libera ed aperta, portandola avanti quasi in atto di aver gettati gli astragali, sebbene di essi non veggavisi nessun vestigio59. [p. 365 modifica]Queste figure furono comprate dal signor generale Walmoden, che loro ha fatta rimettere una nuova testa60.

Tito... §. 19. Tito figliuolo e successore di Vespasiano fu in due anni molto più giovevole alle arti, che non l’era stato Tiberio nel lungo suo regno. Narra Suetonio61 che Tito avea fatto ergere a Britannico62 fratello di Nerone, con cui era stato educato, una statua equestre d’avorio, la quale ogni anno portavasi in giro con solenne pompa nel Circo. Un artista di que’ tempi fu Evodo, incisore della bella testa di Giulia figliuola di Tito, in un gran berillo, che serbasi nel tesoro dell’abazia di s. Dionisio a Parigi63. Una ancor più bella testa colossale di Tito vedesi nella villa Albani.

....e Domiziano. §. 20. Domiziano, al dir di Plutarco64, volendo edificare un tempio a Giove Olimpico, ne fece abbozzare in Atene le colonne di marmo pentelico, le quali, essendo siate trasportate a Roma e ivi finite, perderono la bella ed elegante loro forma. Da ciò si potrebbe argomentare che fosse allora qui decaduto il buon gusto; ma i monumenti di [p. 366 modifica]que’ tempi, che tuttora ci rimangono, e principalmente l’arco che il Senato fece ergere all’imperator Tito65, e le figure rilevate nel fregio del tempio di Pallade edificato da Domiziano nel Foro Palladio66, ci dimostrano il contrario. E’ vero però che la figura della dea lavorata a rilievo di grandezza naturale, polla nell’intavolato in mezzo delle colonne di questo tempio, perde per la troppa vicinanza in cui ora si vede, essendo il pavimento alzato sino a mezza colonna; e se si paragoni ai molti ornati della soffitta, sembra un semplice abbozzo.

Supposti Trofei di Mario.

§ 21. Un più rinomato lavoro di quelli tempi sono que’ due trofei collocati m Campidoglio, che vengono erroneamente detti Trofei di Mario, quando pur non vogliamo mettere in dubbio la genuinità d’un’iscrizione, che sotto di essi stava prima che fossero smossi dall’antico loro sito, nella quale indicavasi essere stati que’ monumenti eretti a Domiziano da un liberto, il cui nome era tronco67. Possono questi per tanto considerarsi come trofei della guerra contro i Daci; poichè sebbene Domiziano per mezzo de’ suoi capitani avesse in questa guerra contro Decebalo riportati ben pochi vantaggi, ciò non ostante grandissime dimostrazioni d’onore gli furon fatte, e per tutto l’impero vidersi statue e simulacri d’argento e d’oro a di lui gloria eretti68. Altri crederono che questi fossero stati innalzati in onore d’Augusto, e l’argomentarono dal sito ov’erano anticamente collocati, il quale è un castello, ossia emissario d’un acquedotto dell’acqua Giulia fatta venire a Roma da M. Agrippa, ove l’acqua in più rami divideasi; e ciò era tanto più probabile, quanto che sapeasi aver Agrippa fatti ornare di [p. 367 modifica]statue e di altre opere dell’arte simili cartelli del suo acquedotto69. Ma se diciamo che questo fu restaurato ai tempi di Domiziano (il che non è improbabile malgrado il silenzio di Frontino), l’opinion mia ritiene tutta la sua probabilità; e fondasi maggiormente se si paragonino questi70 con de’ pezzi d’altri trofei, che trovati si sono e quindi commessi ne’ muri nella villa Barberini a Castel Gandolfo, luogo ov’era anticamente la celebre villa di quest’imperatore. Tali opere perfettamente somigliansi pel lavoro e per lo stile.

Statue di Domiziano.

§. 22. Assai rare sono le immagini di Domiziano, poichè dopo la sua morte ordinò il Senato che tutte fossero atterrate e guaste71. Per tanto in Roma, oltre la bella sua testa nel museo Capitolino72, non v’è che una statua sola nel palazzo Giustiniani che per immagine di lui sia stata riconosciuta. Errano però coloro i quali pretendono esser quella la statua che, al dir di Procopio73, Domizia sua moglie erger gli fece dopo morte di consenso del Senato, giacchè tutte n’erano state distrutte le dianzi esistenti. Quella statua era di bronzo, e vedeasi ancora ai tempi del mentovato scrittore, laddove questa è di marmo. E’ falso altresì, come alcuni hanno scritto, che tale statua non abbia punto sofferto, poichè il petto n’è stato spezzato in due, le braccia sono recenti, ed è pur dubbio se la testa sia la sua propria ed originale. Ho detto che non s’attribuiva a Domiziano altra statua fuor che quella ch’è armata, poichè non s’era fatta attenzione ad un’altra sua statua ignuda ed eroica nella villa Aldobrandini.

§. 23. Nella primavera del 1758. fu trovata un’altra statua eroica indubitabilmente di Domiziano, nel luogo che dicesi alla Colonna fra Palestrina e Frascati, ove nel secolo [p. 368 modifica]scorso erano state scoperte iscrizioni, da cui appare che quel luogo appartenesse ad un liberto del medesimo imperatore. Il tronco della statua sino alle ginocchia, compresavi una mano attaccata alla coscia (vi mancano le gambe e le braccia), non era molto sotterrata, e perciò è assai corrosa in tutta la superficie. Oltre di ciò vi si scorgono eziandio de’ manifesti indizj d’essere stata maltrattata, come de’ tagli e de’ colpi profondi, fattile certamente allora che tutte le statue di quell’imperatore, per distruggerne ogni memoria, dai Romani rovesciate furono e guaste. La testa staccatane era più al di sotto, e per conseguenza ha provato meno le ingiurie del tempo. Il signor cardinal Alessandro Albani ha fatta rappezzare questa, che vedesi ora colle altre statue imperatorie nella sua villa sotto il gran portico del palazzo.

§. 24. Pare che sotto Domiziano i Greci siano stati trattati meno male che sotto Vespasiano e Tito, poichè laddove di questi non abbiamo nessuna moneta coniata a Corinto, moltissime ne abbiamo di quello, e della maggior grandezza74.

Sotto Nerva. §. 25. Dei tempi di Nerva non altro ci rimane che una parte del suo Foro, le tre bellissime colonne corintie d’un portico colla sua soffitta, e qualche sua testa75. Osservo a proposito di questa soffitta, ornata con meandri, che trovasi così la ragione, perchè Esichio spieghi la voce μαίανδρος con dire κόσμος τὶς ὀροφικός, cioè un ornato della soffitta; onde inopportuna è la correzione di certo moderno scrittore che in vece di ὀροφικός crede doversi leggere γραφικός, per estendere tal nome a tutto ciò che è dipinto. E’ vero però che di frequente incontrasi il meandro sulle antiche pitture e su i vasi, e assai di raro sulle soffitte degli antichi [p. 369 modifica]edifizj. In Roma diffatti non ve n’è altro esempio che nel mentovato portico, e fuor di Roma non vedesi, che io sappia, fuorchè in una volta delle ruine di Palmira76.

§. 26. Una bellissima e rarissima testa di Nerva si vede nel museo Capitolino, pubblicata senza ragione come un moderno lavoro dell’Algardi77, il quale non altro v’ha fatto che rimettervi la punta del naso, e un pò d’orecchia, e vi lavorò con tanta circospezione, che non volle neppur levarne la terra frappostavisi ne’ capelli. Il cardinal Albani ebbe quella testa dal principe Panfili, e da lui passò al museo Capitolino78. Il marchese Rondanini possiede un antico ben conservato busto col suo zoccolo, che probabilmente è un ritratto dell’imperatore medesimo, e deve annoverarsi fra le pochissime teste, alle quali si è conservato il naso.

§. 27. Secondo Fulvio Orsini dee riferirsi ai tempi di Nerva una statua che ha la metà della grandezza naturale, esistente nel cortile del palazzo Altieri, eretta, come appare dall’iscrizione sullo zoccolo, a certo M. Mezio Epafrodito da un suo fratello79; poichè, secondo lui, ivi rappresentasi quell’Epafrodito di Cheronea che, al dire di Suida, fiorì ai tempi di Nerone e di Nerva.

... e Trajano. §. 23. Roma e tutto il romano impero cominciarono a respirare sotto Trajano80, per cui una nuova vita ebbero le arti. Egli intraprendendo grandi opere, risvegliò lo spirito degli artisti abbattuti e avviliti per le tirannie e le turbolenze de’ regni precedenti. Apportò un vantaggio sommo [p. 370 modifica]alla scultura, non riserbando a sè solo l’onor delle statue, ma dividendolo coi più meritevoli cittadini81; cosicchè alcune erette ne furono dopo morte eziandio ad alcuni giovanetti di molta aspettazione82. Sembra essere di questi tempi una statua senatoria sedente nella villa Lodovisi, lavoro di Monumenti de’ suoi tempi. Zenone figliuolo di Atti afrodisiaco, il cui nome così inciso sull’orlo del panneggiamento83 da nessuno era dianzi stato osservato84:

Ζ Η Ν Ω Ν
Α Τ Τ Ι Ν
Α Φ Ρ Ο Δ Ι
Σ Ι Ε Υ Σ
Ε Π Ο Ι Ε Ι

Nè più tardi, a mio parere, vivea un altro Zenone di Stasi in Asia, che scolpì l’immagine del suo figliuolo, pur chiamato Zenone, in figura d’un Erme mezzo vestito, e posela sul di lui sepolcro con un epitaffio di diciannove linee in versi85. [p. 371 modifica]Dell’età però non si dee giudicare dalla testa che non è più la sua. Vedesi questo monumento nella villa Ncgroni. A qual tempo riportar si debba certo Antioco ateniese, di cui abbiamo nella villa Lodovisi una statua di Pallade gigantesca, io noi saprei determinare: la statua è volgare, e grossolano n’è il lavoro; ma all’iscrizione dee giudicarsi molto anteriore a questi tempi86.

Sua colonna. §. 29. Fra le grandi opere del tempo di Trajano è da rammentarsi in primo luogo la celebre colonna che ne porta il nome87, e che stava in mezzo al Foro fatto da lui edificare sotto la direzione d’Apollodoro ateniese, in memoria del quale edifizio è stata allora coniata una rara medaglia [p. 372 modifica]d’oro, nel cui rovescio questo si vede espresso. Chi avrà occasione d’esaminare in gesso le figure, delle quali ornata è la colonna, farà certamente sorpreso al vedere l’infinita varietà in alcune migliaja di teste. Scrive il Ciacconio, che a’ suoi tempi, cioè nel secolo decimo sesto, vedeasi tuttavia88 la testa della statua colossale di Trajano che era srata posta in cima alla colonna89; ma dopo di lui non ne troviamo più fatta menzione. Di qual magnificenza fossero le fabbriche di quel Foro che la colonna circondavano, e le volte delle quali erano coperte di bronzo90, possiamo argomentarlo da una colonna bellissima di granito bianco e nero ivi scoperta nell’Agosto del 1765., la quale ha otto palmi e mezzo di diametro. Si trovò quella nello scavare i fondamenti per fare un nuovo ingresso al palazzo Imperiali, e con essa un pezzo della cornice dell’architrave di marmo bianco, portato dalla stessa colonna, ed alto più di sei palmi; e siccome la cornice è un terzo dell’intavolato e talora meno, quindi argomentasi che questo fosse alto più di diciotto palmi. Il signor cardinal Albani ha fatto trasportare questo pezzo nella sua villa, apponendovi un’iscrizione che indica il luogo donde fu scavato. Vedeansi nel luogo stesso cinque altre simili colonne che vi sono rimaste, servendo a sostenere il fondamento della nuova fabbrica91, poichè nesuno ha voluto fare la spesa dello scavo92. Dopo la Colonna Trajana il più illustre monumento di quell’imperatore è la sua testa colossale esistente nella stessa villa Albani, alta cinque palmi romani dal collo sino alla sommità93.

[p. 373 modifica]§. 30. Per ciò che riguarda l’architettura di que’ tempi merita d’esser qui rammentato l’arco di Trajano in Ancona; poichè non v’è nessun altr’antica fabbrica, che offra i massi ... e suo arco in Ancona. enormi che in questa si veggono. Il basamento dell’arco sino al piede delle colonne è d’un pezzo solo, lungo piedi romani 26. e un terzo, largo 17. e mezzo, alto 13. Stava sull’arco una sua statua equestre, di cui non altro più abbiamo che un’ugna del cavallo nel palazzo del Pubblico di quella città94. I pilastri del ponte, ch’egli avea fatto gettare sul Danubio, serviano, dice Dione95, anche dopo la ruina del ponte, a far conoscere sin dove giugner possa la forza dell’uomo96.

[p. 374 modifica]§. 31. Nelle grandi opere però, ch’eseguir fece quest’imperatore, par che non abbia avuta nessuna parte la Grecia, nè ivi aveano i greci artisti alcuna occasione d’esercitarsi, poichè probabilmente in niuna greca città furono erette altre statue fuorchè quelle de’ cesari97. Che se pur talora volean onorare alcuno colla statua, ricorreano a quelle de’ celebri uomini dell’antichità, e contentavansi di cangiarne l’iscrizione; per la qual cosa sotto una statua rappresentante un eroe greco, a dispetto della dissomiglianza, incideano il nome d’un romano pretore, o di altra persona qualunque. Tale incongruenza ebbe a rinfacciare ai Rodj Dione Grisostomo che viveva a que’ tempi98.



Note

    mezzo più facile di fare delle irruzioni nelle terre soggette all’impero, come narra lo stesso Dione. Apollodoro, di cui si e parlato qui avanti, ne fu l’architetto. Tzetze Chil. 2. hist. 34. v. 82. segg. Aggiugne questo poeta vers. 94. segg., che vi erano scrittori, i quali dicevano, che Trajano avesse le orecchie da caprone. Egli crede però, che tal racconto dovesse intendersi allegoricamente, o perchè quest’imperatore fosse petulante come un caprone, o perchè andasse una volta per luoghi dirupati, e scoscesi ad assaltare i nemici sul solo fondamento di aver inteso dire in Roma che vi fossero. Infatti nelle teste di Trajano non v’è alcun indizio di un simil difetto.

  1. Plin. lib. 34. cap. 8. sect. 19. §. 6.
  2. Sat. 1. vers. 93. 95.
  3. Epist. 88.
  4. Tra le molte stravaganze di Nerone, Plinio lib. 35. cap. 7. sect. 32.. novera quella d’essersi fatto dipingere in figura colossale alta centoventi piedi su di una tela: cosa non più usata avanti di lui, come ivi soggiugne lo storico. Non è però ben chiaro se quest’ultime parole di Plinio riferir su debbano allo strano capriccio di quell’imperatore di farsi il primo ritrarre in figura colossale sulla tela, oppure semplicemente all’arte di dipingere sulla tela, e se sia stata quella una cosa ignota avanti Nerone. Di statue colossali sì in bronzo che in marmo moltissime sappiamo esservene state prima di lui; ma in tela non ve n’ha indizio alcuno, siccome non leggesi, ch’io sappia, in nessuno scrittore, che fosse allora adoperata la tela per ritraevi figure. Fino però dai tempi d’Alessandro Magno riferisce il citato autore lib. 9. c. 1. sect. 5. essersi tentato di tingere il lino, e di lino tinto essersi fatte non solamente delle vesti, ma delle vele ancora per navi, e delle tele per difender dal sole i teatri, le strade e le piazze. Lo stesso Nerone ne fece stendere su i suoi anfiteatri di quelle tinte in azzurro, e sparse di stelle. Molte altre notizie relative all’arte di tingere le tele presso gli antichi ha raccolte il signor Delaval An exper. inquiry. &c., la cui Opera tradotta dall’inglese dal ch. signor canonico Fromond è stata impressa in Milano in s. Ambr. magg. 1779. in 8.° Se ci mancano esempj anteriori al nominato principe di figure dipinte in tela, ne abbiamo nondimeno di figure rappresentate su pergamene. Uno sterminato drago dipinto fu di una lunghissima membrana fu esposto fopra il tetto della casa, ove alloggiava Lepido, uno de’ triumviri, per far tacere gli uccelli che col loro importuno garrire turbavangli il sonno. Plin. lib. 35. cap. 11 sect. 16.
  5. Bottari Museo Capitol. Tom. iI. Tavola 16.
  6. È d’una straordinaria bellezza la di lui testa intiera maggiore della grandezza naturale in figura d’Apollo, e coronata di alloro, conservata ora nel Museo Pio-Clementino, ove è parimente una di lui statua in forma d’Apollo citaredo, e di lavoro non ordinario, che è stata trovata negli scavi di villa Negroni, simile a quello dato dal de la Chausse Mus. rom. Tom. I. sect. 1. Tab. 58.
  7. Bottari loc. cit. Tav. 17.
  8. Ora passata nel museo reale a Napoli.
  9. Bottari Tom. iiI. Tav. 53. la dice Agrippina moglie di Germanico.
  10. Bottari Tom. iiI. Tav. 18.
  11. Bronzi d’Ercol. Tomo I. Tav. 35. 36.
  12. E una molto bella alla Farnesina.
  13. Gronov. Thes. Ant. græc. T. iiI. yyy.
  14. num. 131. pag. 74. Dice che esisteva una volta presso il card. Bernardino Maffei.
  15. Ma questi non è poi tanto disprezzabile, come ce lo vuol dipingere il nostro Autore; e i suoi meriti possono vedersi rilevati principalmente da Lipsio Manuductio ad Stoic. philos. lib. 1. c. 18. op. Tom. IV. pag. 454. È certamente più celebre di tanti altri filosofi greci, de’ quali pur si hanno le teste.
  16. Par. IV. cap. 9. §. 2. pag. 256.
  17. Ora nel Museo Pio-Clementino. Ne abbiamo fatto cenno nel Tomo I. pag. 140, col. 1.; dicendo che possa rappresentare un servo de’ bagni; e all’aria della testa parrebbe un africano, o un moro.
  18. Pare piuttosto un vaso o secchio di metallo.
  19. In questo supposto dovrebbe credersi appartenente a qualche gruppo; giacchè solo poco avrebbe interessato.
  20. Il di dentro del vaso è stato fatto di porfido per imitare il colore del sangue.
  21. Fabric. Biblioth. lat. lib. 2. c. 12.
  22. lib. 34. cap. 7. sect. 18.
  23. Che la statua colossale di Nerone, alta cento dieci piedi, eseguita da Zenodoro anzichè di bronzo fosse di marmo [come nella prima edizione a quello luogo aveva notato il nostro Autore, che credevano Donati, e Nardini Roma antica lib. 3. cap. 12. pag. 115.], che quella non sia rimasta imperfetta, come scrive il nostro Autore, si può ragionevolmente inferire da Plinio. Afferma egli che questa statua, di cui avea nella stessa officina di Zenodoro ammirato l’insigne modello in creta, dopo la morte di Nerone fu consecrata al sole. Dall’uso dunque che ne fecero i Romani, si può argomentare che sia stata la medesima dal suo autore ridotta a perfezione. Aggiugne lo storico che „ la statua suddetta era un indizio d’essere mancata la scienza di fondere il bronzo, avvegnachè e Nerone fosse disposto a spendere qualunque gran somma di denaro, e Zenodoro non la cedesse a veruno degli antichi nella scienza di fondere e di ciselare„. Se quel colosso fosse stato di bronzo, come avrebbe Plinio potuto proporlo per argomento d’essere mancata la scienza di fondere il bronzo? Nerone l’avrebbe bensì a qualunque costo voluto di tal metallo, e Zenodoro tra tutti gli artisti de’ tempi suoi sarebbe stato più al caso di tentar l’opera; ma conoscendone egli forse la difficoltà, non ha stimato spediente di metterli al cimento.
    Si vuole nondimeno da un celebre moderno scrittore, Tiraboschi Storia della Letteratura italiana, Tom. iI. lib. I. c. XI. §. V., che il contesto di Plinio contraddica a ciò apertamente; poichè, per suo avviso, ivi non parla che di lavori di bronzo, di marmi ragionando altrove. Nè è credibile, soggiugne lo stesso, che Zenodoro temesse di non riuscirvi, egli che ne avea fuso altre volte, e specialmente una statua di Mercurio di gran pregio. Queste ragioni però, che hanno indotto l’eruditissimo autore a ravvisare nell’oscuro passo di Plinio un colosso di bronzo piuttosto che di marmo, non sembranmi sì convincenti che non si possa andar loro incontro. Per quanto spetta alla prima, sebbene in quel capo ragioni Plinio più specialmente de’ lavori di bronzo, ciò non ostante ci vi tratta eziandio delle statue di legno, di marmo, di terra, e per sino delle statue che solevansi di panni rivestire. Ma diasi che Plinio abbia ivi parlato di soli lavori in bronzo: avrebbe egli potuto fra quelli noverare anche l’opera di Zenodoro, la quale benchè non sia stata di bronzo, avrebbe però dovuto esserlo, se l’artista vi si fosse determinato. Nè osta ciò che avvertesi in fecondo luogo della grande abilità di Zenodoro nel fondere il bronzo. Siccome nella pittura ed architettura, così pure nella statuaria il bisogno dell’abilità va crescendo in proporzione della grandezza ed estension dell’opera. Non è quindi maraviglia che Zenodoro abbia potuto produrre altre opere eccellenti in bronzo di minor mole, qual fu il Mercurio, opera di dieci anni, e che non abbia poi voluto arrischiarsi a fondere in quel metallo la statua colossale di Nerone. [ Il luogo citato del ch. Tiraboschi ha eccitati quattro bravi ingegni a far delle ricerche sul contrastato passo di Plinio; e i loro sentimenti furono riportati dal lodato scrittore nel Tomo di appendici alla sua opera, e quindi poste a suo luogo nell’edizione romana dalla pag. 232. fino alla pag. 242. A chi avrà la curiosità di vederle non dispiacerà l’erudizione, che vi è sparsa, e la confutazione, che vi si fa dell’opinione adottata senza verun giusto fondamento dagli Editori Milanesi in quella nota. Io per me credo, che in poche parole si possa spiegare il sentimento di Plinio non tanto oscuro e difficile come si vuole. Egli in sostanza scrive, che ai tempi di Nerone più non si sapeva fare quella bella qualità di bronzo con lega d’oro, e d’argento, come si faceva in altri tempi. Ciò si conobbe apertamente in occasione, che quell’imperatore volle farsi innalzare una statua colossale in quel metallo per mezzo di Zenodoro artisti altronde famoso nel gettare in bronzo. Questi non potè riuscire a farla con tal qualità di bronzo, quantunque Nerone fosse pronto a somministrargli quanto mai bisognava d’oro, e d’argento per comporlo.
    Niente di più credo che abbia voluto dir Plinio. Egli a riguardo dell’ignoranza degli artisti per quella lega già si era spiegato chiaramente nel cap. 2. sect. 3., dicendo che si era perduta l’arte di fondere il metallo prezioso, cioè quello, in cui entrava oro, e argento. Se però possiamo predar fede a Giovanni Antiocheno, cognominato Malala, Hist. chron. lib. 10. pag. 101. B., non era ancora dimenticata verso i tempi di Tiberio; poichè l’Emorroissa celebre nell’Evangelio, creduta da quello scrittore la stessa che Veronica, fece ergere nella città di Paneade al Salvatore una statua di bronzo misto d’oro, e d’argento, distrutta poi da Giuliano l’apostata. Glica Annal. par. 4. pag. 253. C., e l’autore delle Enarrat. cronogr. presso Bandurio Imper. orierit. sive Antiq. Constantinop. par. 3, lib. 5. pag. 96. Tom. I.
  24. Vedi qui avanti pag. 34.
  25. Plutarco in Tito Quint. Flamin. oper. Tom. I. pag. 376. D.
  26. Suet. in Neron. cap. 24.
  27. Tacito Annal. lib. 15. cap. 45., l. 16, cap. 23.
  28. Pausan. lib. 10. cap. 7. pag. 813. l. 14.
  29. Strab. lib. 9. pag. 644. princ. [ Ateneo lib. 6. cap. 4. pag. 231. E., Vallois Des richess. du temple de Delphes, Acad. des Inscript. Tom. iiI. Hist. pag. 78.
  30. Nel Trattato prelim. c. IV. pag. XCII. aggiugne Winkelmann, che in quella occasione fosse portata a Roma la Pallade di Endeo, di cui si è parlato qui avanti pag. 166., e cita Pausania lib. 8. cap. 46. pag. 694.; ma questi scrive, che fu Augusto, che ve la portò, e la pose nell’ingresso del suo Foro. Così crede vi fosse portato l’Ercole di Lisippo, e cita Strabone lib. 10.pag. 705. C.; ma egli non dice da chi fosse fatto portare; e non poteva intender di Nerone, perchè scrisse prima di lui, e a’ tempi di Augusto, come dicemmo nel Tom.I. pag. 237. n. 1. col. 2.
  31. Mercati Metalloth. Arm. X. pag. 361., Bottari Museo Capital. Tom. iiI. Tav. 67. pag. 136.
  32. Tacito Annal. lib. 15. cap. 2., e talvolta vi soggiornava, cap. 39., e lib. 14. cap. 4.
  33. Vi fece fabbricare il porto, che gli costò spese grandissime. Suetonio nella di lui vita, cap. 9.
  34. Vedasi qui avanti pag. 72. princ. In Anzio era il luogo principale di delizie degli imperatori, e Augusto fu il primo a goderne, come abbiamo da Suetonio nella di lui vita, cap. 58. Amante ch’egli era tanto delle belle arti, chi sa che non l’abbia ornato di statue, e fra le altre anche di queste due, come aveva ornata Roma di tante altre, e la sua regia sul Palatino, al dire dello stesso Suetonio cap. 57.? Narra esso che vi andava Tiberio (nella di lui vita cap. 38.), ma di rado, e per pochi giorni. Di Caligola scrive parimente nella di lui vita, c. 8., che vi nascesse, e non solamente lo preferisse a qualunque altro luogo, ma che avesse destinato di fissarvi la sede, e il domicilio imperiale. Essendo questi stato anteriore a Nerone, e avendo fatte trasportate dalla Grecia le più belle statue, come ha notato il nostro Autore qui avanti alla pag. 339., è probabile che ne abbia avute anche queste due, che sono nel loro genere le più belle che abbiamo, e le abbia poi collocate nell’ideata sua nuova capitale. All’imperatore Adriano, cui ne piaceva il soggiorno sopra tutte le altre deliziose ville, che avesse in Italia, al dir di Filostrato Vita Apollon. lib. 8. cap. 20. pag. 364., poichè egli non fece trasportare statue dalla Grecia, non si potrebbe facilmente dare il merito di aver collocate queste due in Anzio, se non se nel caso, che fossero lavorate in marmo di Luna, ora Carrara, come ve le ha credute lavorate il sig. Mengs nelle due lettere a monsignor Fabroni, delle quali abbiamo parlato qui avanti pag. 199.; ma questo fondamento è flato escluso dal signor abateVisconti Museo Pio-Clement. Tom. I. Tavola 14. nella spiegazione dell’Apollo. La tradizione, che vantano i cittadini di Girgenti, riferita dal signor Bridon nei Viaggi della Sicilia, per cui si pretende, che quella statua stesse anticamente in un tempio d’Esculapio di quella città, da dove fosse tolta dai Cartaginesi, e portata in Cartagine, e di là a Roma da Scipione Africano secondo, è probabilmente un equivoco nato dal racconto di Cicerone, il quale in Verr. act. 2. lib. 4. cap. 43. narra, che ciò avvenisse dell’Apollo di Mirone, del quale si è parlato qui avanti pag. 209.; ma però dice, che Scipione lo riportò allo stesso tempio, come scrive nel cap. 33. e segg. che restituì a suo luogo tutte le altre statue, che erano state tolte dai Cartaginesi a varie altre città della Sicilia; onde non è credibile che ne avesse eccettuato l’Apollo di Belvedere, che è diverso dal detto di Mirone.
  35. La mano sinistra è restaurata da fra Giovannangelo Montorsoli, come già notammo qui avanti alla pag. 245. col. 2. Il braccio destro, e le gambe, che sono antiche, non sono state riattaccate troppo bene, onde compariscono difettose, come in parte ha fatto osservare il nostro Autore nel Tomo I. pag. 392.
  36. Clemente Alessandrino Pædag. lib. 3. cap. 4. Tom. I. pag. 270. in fine: In naso bilem veluti inhabitantem habeant.
  37. Ved. Tom. I. pag. 332.
  38. Conone Narrat. num. 33. pag. 273.
  39. Callimaco Hymn. in Apoll. vers. 39.
  40. Pare che Stazio Achill. lib. 1. v. 159. segg., nel descrivere che fa Achille giovane in paragone d’Apollo, nell’atto appunto, che ritornava dalla Licia, descriva in qualche modo questa di lui statua:

    Ille aderat multo sudore & pulvere maior:
    Attamen arma inter, festinatosque labores,
    Dulcis adhuc visu niveo natat ignis in ore
    Purpureus, fulvoque nitet coma gratior auro.
    Necdum prima nova lanugine vertitur ætas,
    Tranquillaeque faces oculis et plurima vultu
    Mater inest. Qualis Lycia venator Apollo
    Cum redit, & sævis permutat plectra pharetris.

    E Apollonio Argonaut. lib. 1. v. 676. segg.:

    Cæterum illis Latonæ filius e Lycia rediens
    Procul ad latas hyperboreorum hominum nationes,
    Piane apparuit. Aurei ab utraque gena
    Intorti cincinni assultabant eunti:
    Læva argenteum versabat arcum: in tergo
    Pharetra pendebat ab humeris; ac pedum nisu
    Tota intremiscebat infula, ut mare exundaret in siccum.

  41. Properzio lib. 2. eleg. 10. v. 21. 22.
  42. Polymet. Dial. 8. pag. 87.
  43. Apollon. Argon. lib. 1. vers. 759. [ e Apollodoro Biblioth. lib. 1. cap. 4. §. 1. Si sono tanto impegnati gli eruditi per sapere il soggetto di questa statua, che per trovarne uno vi si fono ideate quali tutte le imprese d’Apollo. Oltre quelle, che nomina Winkelmann, altri hanno creduto ravvisarvi quel nume dopo avere scagliati i suoi dardi contro gli Achei, altri dopo la strage, che ci fece degli orgogliosi giganti, o di Niobe, e suoi figli, o dell’infedele Coronide, altri finalmente vi credono rappresentato Apollo come autor della medicina, o come averrunco, ossia slontanator de’ mali. A questa opinione, più che alle altre, anche da lui riferite, inclina il signor abate Visconti nella dotta, e bella spiegazione, che dà di quella statua nel Mus. Pio-Clem. Tom. I. Tav. 14., e crede potersi con probabilità sostenere, che sia della quella medesima opera di Calamide, menzionata da Pausania. lib. 1. cap. 3. pag. 9., che gli Ateniesi eressero ad Apollo dopo la cessazione d’un male epidemico ai tempi della guerra peloponnesiaca, come già notammo qui avanti alla pag. 214. n. a.
    A quale di tante opinioni dovremo noi attenerci? Nella vendetta contro gli Achei Apollo dovea rappresentarsi sedente, come lo rappresenta Omero Iliad. lib. i. vers. 48., o almeno fermo, e in atto di vibrar dardi, non di averli vibrati. Il serpe non avrebbe relazione a quello fatto; e troppo debole ragione farebbe il dire, che vi sta come un simbolo del nume. Forse che Apollo avea bisogno di un tal simbolo perpetuamente per essere riconosciuto? Cosi non conviene all’idea di Spence, nè alla morte dell’infedele Coronide, o alla vittoria contro il gigante Tizio, ed altri, o all’eccidio della famiglia di Niobe, per cui oltracciò sarebbesi richiesto un gruppo di molte statue, non una sola. I simboli, coi quali soleano rappresentarsi le figure di Apollo medico, e alessicaco, averrunco, ossia slontanator de’ mali, erano la figura delle Grazie nella mano destra, e le saette coll’arco nella sinistra, come attssta Macrobio Saturn. lib. 1. cap. 17., e quelli non veggonsi alla di lui statua in questione. Non sappiamo se li avesse quella di Calamide, ma anche senza questo argomento non ci permetterebbero giammai di riconoscere il di lui scarpello sul capo d’opera della morbidezza e della grazia, l’epoca, nella quale ci visse, cioè i tempi di Fidia, come si è fatto osservare alla detta p. 214. n. a., e la durezza dei di lui stile notata da Cicerone De clar. orat. cap. 1 8. num. 70., e da Quintiliano Inst. orat. lib. 12. cap. 10. Giunio dovea darci qualche prova della sua asserzione quando scrisse Catal. archit. ec. p. 42., che la detta statua di Calamide fosse la stessa, che quella trasportata in Roma, e posta negli Orti Serviliani, al dir di Plinio lib. 36. cap 42. sect. 4. §. 10. Pausania, che scrisse dopo di Plinio, al luogo citato la dice esistente ancora a’ suoi tempi in Atene, e non può sospettarsi col lodato signor abate Visconti, ch’ei parli d’una copia, anzichè dell’originale; poichè l’uso costante di quello storico è di avvertire se le statue erano copie, e di più moderna mano, oppure gli originali medesimi degli artisti; come lib. 9. cap. 27. pag. 762. scrive del famoso Cupido di Prassitele che non ne fosse rimasta in Tespi se non la copia fatta da Menodoro ateniese prima che l’originale venisse in Roma, come ho avvertito qui avanti pag. 339. n. e.; e così avea scritto l. 1. c. 22. pag. 51. di altre statue, che non erano le antiche, ma altre più moderne, e lib. 2. c. 19. pag. 152. di altre. Resta che parliamo della vittoria contro Pitone. La morte d’un rettile, che la natura destinò a strisciar per terra, non pare a molti soggetto abbastanza celebre, rispettabile, e degno d’esser immortalato con una statua, e molto meno con una statua di tanto merito. Ma se su un soggetto, che meritò l’ira d’Apollo, il quale da lui prese anche il cognome di Pitio, perchè non poteva esser degno di venir rappresentato in una statua? Il voler ciò negare, e il dire che non fosse troppo celebre la ricordanza d’un tal fatto, è un voler mostrarsi troppo addietro nella cognizione della mitologia, e dell’antica storia, onde rileviamo tutto l’opposto. La citta di Delfo per la morte di quello serpente a principio fu detta Pitone dal di lui nome, come narran Pausania lib. 10. cap. 6. pag. 812. princ., Eustazio Comment. in Iliad. lib. 2. §. 23. pag. 560. Tom. iI. Ivi fu quindi stabilito l’oracolo di Apollo Pitio, il più consultato, e il più famoso di tutta l’antichità, Strabone lib. 9. pag. 641. B, Livio lib. 1. cap. 21. num. 56., Imerio presso Fozio Biblioth. cod. CCXLIII. p. 1137., Hardion Prém. dissert. sur l’oracle de Delphes, Acad. des Inscr. Tom. iiI. Mém. pag. 138. Il tempio era il più ricco di quanti altri mai, e conteneva anche un numero sterminato di statue, principalmente di bronzo, come si è già osservato qui avanti pag. 355. §. 10., e può vedersi Strabone loc. cit., Filostrato Vita Apollon. l. 6. c. 2. v. 247., Vallois Des richess. du tempie de Delphes, Acad. des Infcr. Tom. cit. Hist. pag. 78. segg., ed altri tempj furono innaliati in altri luoghi, tra i quali era quello fra Pellene ed Egira, di cui scrive Pausania lib. 8. cap. 15. pag. 631., e quello in Asia, di cui Ateneo lib. 8. cap. 16. pag. 361. E. Per render memorabile sempre più quella vittoria, lo stesso Apollo istituì in Delfo i giuochi pitici, Ovidio Metam. lib. 1. vers. 445. segg., Igino Fab. 140., Tolomeo Efestione presso del citato Fozio cod. CXC. pag. 490. infine, Clemente Alessandrino Cohort. ad Gent. num. 2. pag. 29., i quali facevansi di tre in tre anni, e dopo i giuochi olimpici erano i più famosi, e nobili della Grecia. Vedasi il P. Corsini Dissert. agon. diss. iI. Pythia, pag. 29. segg. Vi si celebrava anche ogni nove anni un’altra festa di grandissimo concorso per solennizzar più distintamente la vittoria di quel nume, e la sua fuga a Tempe dopo la morte di Pitone, ad oggetto di purificarsi della contrattane immondezza: Septerium imitationem habet pugni Apollinis cum Pythone, & a pugna fugæ dei ad Tempe, Plutarco Quæst. græcæ, oper. Tom. II. pag. 293. B., Eliano Variar. hist. l. 3. c. 1., Eusebio De præpar. evang. lib. 10. cap. 8. pag. 482. C.
    Le statue, che furono erette ad Apollo come Pitio, doveano esser frequenti. Oltre quella d’oro, che stava nel detto suo tempio a Delfo, menzionata da Pausania l. 10. c. 24. pag. 857., questo fcrittore lib. 1. cap. 19. p. 44. princ. ne nomina una erettagli in Atene presso il tempio di Giove Olimpico, e l. 1. cap. 42. pag. 102. princ. un’altra a Megara di stile antichissimo simile all’egiziano. A lui era dedicata quella eziandio, della quale si è parlato nel Tom. I. pag. 121., fatta da Telecle, e Teodoto artisti di Samo antichissimi, Diodoro Biblioth. lib. 1. in fine, pag. 110.; e tale io credo quella fatta da Pittagora in bronzo, di cui ho parlato qui avanti p. 203. n. a., nominata da Plinio lib. 34. c. 8. sect. 19. §. 4., e per equivoco del dotto P. Paoli Della relig. de’ Gent. ec. par. iiI. §. LXVI. p. 177. confusa coll’altra statua d’Apollo Citaredo, detto Diceo, opera dello stesso artista, di cui Plinio parla dopo. Una in marmo bianco se ne ha nella villa Albani, data in rame, ed illustrata dal signor abate Raffei, ed altre adornano altri musei. Sulle monete poi quanto spesso non vedesi rappresentato l’Apollo Pitio?
    Ciò supposto, si renderà ben più probabile, che la statua del Vaticano appartenga al soggetto medesimo; e se si consideri l’atteggiamento di essa, in cui si vede chiaro l’atto di aver vibrato l’arco, e quello di partire per andare altrove, potrà non senza fondamento arguirsi, che vi si rappresenti Apollo nel momento di aver conseguita la vittoria, e d’incamminarsi a Tempe. Il serpe che si vede rampicato al tronco, e mezzo nascosto, sarà l’immagine di Pitone ivi maestrevolmente allogata dall’artista per non fare un gruppo rappresentandolo altrimenti; come fa la stessa figura quello, che tiene impugnato nella sinistra la citata statua della villa Albani, e quello, che vedesi in altre statue, e nelle monete: o se si volesse spiegare per simbolo della medicina, sarebbe riferibile al benefizio, che fece Apollo colla morte di quel serpente, il quale empieva di terrore il mondo, al dir di Ovidio loc. cit. vers. 438. segg.:

    .. Sed te quoque maxime Python
    Tum genuit (terra); populisque novis, incognite serpens,
    Terror eras, tantum spatii de monte tenebas;

    o finalmente secondo l’interpretazione di Macrobio loc. cit. alluderebbe alla dissipazionc operata dal sole de’ vapori maligni esalati dalla terra dopo il diluvio, simboleggiati dai poeti colla favola del serpente Pitone.

  44. Di un altro Agasia figlio di Menofilo parimente di Efefo si fa menzione in una iscrizione greca posta su una base portata dall’Asia in Amsterdam, e riferita dallo Sponio Miscell. erud. ant. sect. 4. p. 121. Vi si dice, ch’ei fece la statua eretta su quella base in Delo ad onore di Cajo Billieno figlio di Cajo, legato de’ Romani, da quei, che lavoravano in quell’isola. Da ciò si può argomentare che Agasia figlio di Dositeo abbia vivuto circa lo stesso tempo, o vogliam dire dopo i tempi, che i Romani cominciarono a introdursi in Grecia, come si è veduto qui avanti pag. 281., nei quali Winkelmann pag. 282. segg. fissa l’Ercole di Farnese, e il Torso di Belvedere. A questi si accorderebbe nello stile, essendo la di lui opera la più bella, che si abbia nel vero; e non potrà mai credersi lo stesso che Egesia, i di cui lavori erano duri, e simili allo stile etrusco. Vedasi qui avanti pag. 184., e Tom. I. pag. 184. e Tom. I. pag. 238. n. a.
  45. Eppure si si era voluto trovare un difetto non piccolo, cioè, che la spina dorsale vi girasse al contrario della parte anteriore del petto, per un errore, o capriccio dell’autore di essa, non perchè fosse possibile in natura una tal mossa. Si è veduto però in appresso coll'esperimento sul nudo, che essa e possibile, e naturale, benchè ricercata, e difficile: con che Agasia avrà forse voluto distinguere questo suo lavoro, come Mirone per altra ragione il suo Discobolo. Vedi qui avanti pag. 212. e segg.
  46. Κατωμάδιος δίσκος V. Eusth. in Hom. Iliad. lib. 22. pag. 1306. lin. 37.
  47. L’Autore ciò scrivendo non avea presente nè agli occhi nè al pensiere questa statua, la quale effettivamente porta avanti la coscia destra, e su di essa fa tutta la forza, stendendo indietro la gamba sinistra che resta inoperosa, e non serve che a far contrappeso alle parti che portanti avanti. Ciò non per tanto è evidente essere tale statua in attitudine di chi si difende da un colpo che gli vien dall’alto, anzichè d’uno il quale getti un disco o altro corpo. [ Ora molto più fondatamente possiamo credere che non rappresenti un Discobolo, avendo delle figure di questi in atto di scagliare il disco; quale è la gemma posseduta dal signor Byres in Roma, di cui parlammo nel Tom. 1. pag. 189. not. a., data in rame dal signor ab. Visconti Mus. Pio-Clem. Tom. I. Tav. a. n. 6.; e la copia del Discobolo di Mirone, di cui parlammo qui avanti pag. 211. segg., e ne diamo la figura in fine di quello Tomo, Tav. iI. Prima però se ne avea un’immagine in un fanciullo, che si addestra a quel giuoco, su un sarcofago già degli orti del cardinal Carpi in Roma, dato in rame dallo Sponio Miscell. erud. antiq. sect. 6. p. 228.; ed è precisamente nell’atteggiamento di quello di Mirone, eccettuato il piede sinistro, che non si vede piegato indietro, non so se per difetto del rame, o perchè fosse una positura troppo forzata per un fanciullo.
  48. Aggiugne l’Autore nel Trattato prelim. Capo IV. pag. XCIV., che ciò gli sia avvenuto nell’assedio di qualche città, ov’egli esponesse la vita contro gli assediati. Io non lo posso credere, perchè l’atteggiamento non è da guardare così in alto, e da riparare un colpo, che gli venga dalle mura. Vedasi la figura, che ne diamo in fine di questo Tomo Tav. X. Egli fa un gran passo, e si abbassa col corpo stendendo quanto è possibile il braccio sinistro per arrivare a difendersi collo scudo da uno, che sollevandosi col braccio in alto per iscagliargli un colpo, forse giusta l’uso de’ Greci di ferir di taglio piuttosto che di punta, all’opposto dei Romani, come nota Vegezio De re milit. lib. 1. cap. 12., resta naturalmente in posizione più alta di lui. Plutarco scrive Sympof. l. 2. quæst. 5. op. Tom. iI. p. 639. F., che la prima prova, che fa un guerriere in battaglia, è quella di ferire l’avversario, e poi ripararsi dai di lui colpi. Tale si può dire l’atteggiamento della statua. Ma siccome questo non farebbe per sè un atteggiamento straordinario, che meritasse di esser celebrato con una statua, converrà dire, che il guerriere se la meritasse per la circostanza, in cui si trovò; come per esempio le avesse in tal guisa riparato e salvato qualche gran capitano, come abbiam detto alla p. 208. col. 2., che Ajace salvò Teucro riparandolo così collo scudo; oppure se avesse retto all’impeto d’una moltitudine, o d’un esercito di nemici per salvare i suoi. L’opinione del signor Lessing, e di altri, che vi credono rappresentato Cabria, non pare giusta; essendo stato tutto diverso l’atteggiamento, in cui si segnalò quel capitano, e in cui si fece rappresentare nella statua erettagli dagli Ateniesi. Teneva lo scudo appoggiato al ginocchio sinistro, e portava l’asta avanti colla mano destra, in atto di aspettar fermo i nemici, e così meglio sostenerne l’impeto: obnixo genu ssuto, projectaque hasta, impetum excipere hostium docuit, come scrive Cornelio Nepote nella di lui vita, e Polieno Strateg. lib. 2. cap. 1. n. 2.: Chabrias Atheniensibus, Gorgidas Thebanis mandat, ne procurrant, sed maneant quieti, & lanceas rectas protendant, scuta vero ad genua affigant. È però da notarsi ciò che aggiugne Cornelio Nepote dell’uso introdottosi dall’esempio di questa statua, che gli atleti, e gli altri professori di qualche spettacolo si facessero effigiare nelle statue, che si ergevano, in quell’atteggiamento, in cui aveano conseguita la vittoria. Cosi farà stato anche dei bravi guerrieri; e perciò la nostra statua, anche per questa ragione, non dovrebbe essere anteriore all’olimpiade c., in cui Cabria si meritò quell’onore. Più simile all’atteggiamento di lui, quantunque forse non possa convenirgli l’armatura, e il vestimento, è quello d’una statua in marmo armata nella galleria Granducale a Firenze, che piegato a terra un ginocchio, tien eretto il viso, e il braccio destro in atto di chi combatte; ma la circostanza di aver una coscia traforata da un telo da banda a banda, notata dal signor Lanzi cap. 6. pag. 43., mostra che abbia maggior simiglianza col fatto di Filopemene, uno degli ultimi eroi della Grecia, come si è detto qui avanti pag. 272., al quale fu passato un dardo a traverso d’ambe le coscie, per cui impedito di poter camminare dovette inginocchiarsi per terra, finchè il dardo fosse tagliato nel mezzo, come narra Plutarco nella di lui vita, pag. 358. B. oper. Tom. I., e Pausania l. 8. c. 49. p. 700.; e forse la statua in bronzo, nominata dallo stesso Pausania p. 698., gli fu eretta in quell’atteggiamento.
  49. Vedi qui avanti pag. 204. not. c.
  50. Bottari Mus. Capit. Tom. iI. Tav. 20.
  51. Suet. in Vespas. cap. 18.
  52. Sopra pag. 72.
  53. Suet. loc. cit. cap. 9. È un avanzo di questo tempio la grande e bella colonna scanalata in marmo bianco trasportata, ed eretta da Papa Paolo V. avanti la chiesa di s. Maria Maggiore.
  54. Non ostanti li tanti spogli, che furono fatti in Grecia dai Romani sino al tempo di Vespasiano, de’ quali li è parlato avanti, Plinio, il quale vivea contemporaneamente, ci narra lib. 4.. cap. 7. sect. 17., che in Rodi vi erano ancora rimaste tre mila statue di bronzo, e non molto minor numero in Atene, in Olimpia, e a Delfo. Pausania difatti ne numera moltissime.
  55. Al principio del regno di Vespasiano si riferisce ora con sicurezza l’ara in marmo bianco greco del Museo Pio-Clementino, alta cinque palmi in circa, larga poco meno di due, ornata a basso rilievo con alcuni fatti mitologici, della storia eroica, e della romana. Fu pubblicata in patte dal P. Montfaucon Supplém. Tom. I. pl. 70. 71., e più correttamente dall’Orlandi, che l’ha insieme illustrata con un lungo, e dotto ragionamento. Il lavoro non è troppo bello, ed in parte è corroso dal tempo.
  56. Strab. lib. 14. pag. 944. B.
  57. Sifilino in Vespas. pag. 219. B. C.
  58. Ora nel museo reale di Prussia, e se ne ha il gesso nell’Accademia di Francia.
  59. Erano una specie di dadi, con cui giuocavano per lo più i fanciulli. Eliano Var. hist. lib. 7. cap. 12., Polluce Onom. lib. 9. cap. 7. segm. 98. segg., Calcagnino De talorum, tesser. & calcul. lud. c. 1. in Thes. Antiq. græc. Gronov. Tom. VII. col. 1218. segg. Si facevano dell’ossicello del calcagno degli animali, detti perciò tali dai Latini. I più stimati erano quelli della capra salvatica. Vedansi i Caratteri di Teofrasto cap. 5., e ivi il traduttor fiorentino not. 19. Tom. iI. p. 22.
  60. Ivi al tempo stesso fu scoperto un gran candelabro di marmo, ornato a fogliami, e a figure con altri fregi. Della base triangolare non se ne sono serbati che due lati; in uno v’è un Giove colla barba aguzza alla maniera etrusca; ma, siccome il resto del lavoro indica lo stile greco de’ migliori tempi, dobbiamo conghietturare che a Giove sia stata data al forma per imitare gli antichi simulacri. Nell’altro lato v’è un giovane Ercole che toglie il tripode ad Apollo, qual vedesi rappresentato in molti bassi rilievi e gemme. Questo marmo fu comprato dal signor cardinal de Zelada allora prelato. V. Anmerkungen uber die Geschickte &c. p. 117. [ Egli poi ne fece un dono alla S. M. di Clemente XIV., che insieme agli altri due già di Barberini lo collocò nel Museo da lui incominciato, perfezionato poi dal successore felicemente regnante Pio VI. In quella occasione furono illustrati tutti con una dotta dissertazione dal signor abate Marini, di cui ho parlato nel Tomo I. pag. 177. not. h., e pag. 298. n. a. I lati a quello si sono serbati tutti e tre. Nel terzo, supposto guasto, vi è Apollo in atto d’inseguire Ercole, che gli ha rubato il tripode. Il creduto Giove, come avvisa il lodato scrittore pag. 181., è forse il sacerdote custode, o edituo del tempio di Delfo, ove succedette il fatto, accorso al romore, e rimasto attonito per il sacrilegio attentato d’Ercole, oppure in atto di chiedere ajuto al cielo.
  61. in Tito, cap. 2.
  62. L’unico monumento sicuro di questo infelice principe è la medaglia in bronzo posseduta in Roma dal signor abate Visconti, della quale daremo la stampa nel Tomo iiI.
  63. Vedi qui avanti pag. 29. §. 40.
  64. in Poplic. pag. 105. oper. Tom. I.
  65. Ho aggiunto quello membro, perchè si legge nel Tratt. prelim. Cap. IV. p. XCIV. nella serie di questo stesso discorso, ed è giusto. Le figure le dà il Montfaucon T. IV. pl. 99. segg. e Bartoli Admir. Tav. 1-9.
  66. Questo fregio è stato disegnato e inciso da Sante Bartoli.
  67. Grutero Inscript. Tom. iI. pag. 1084. n. 5., Fabretti De Col. Traj. c. 4. pag. 108.
  68. Xiphil. in Domit. pag. 232. D.
  69. Plin. lib. 6. cap. 15. sect. 24. §. 9.
  70. Ne dà la figura il Montfaucon loc. cit. pl. 93. 94..
  71. Come fu fatto anche delle medaglie.
  72. Bottari Mus. Capit. Tom. iI. Tav. 25.
  73. Hist. arc. cap. 8.
  74. Vaillant Numism. ærea Imper. ec. in Colon. ec. par. 1. pag. 199.
  75. Nel Museo Pio-Clementino vi è la statua sedente coronata d’alloro, e nuda all’eroica nella parte, che vi è dell’antica.
  76. Wood Ruin. de Palmyr. pl. 19. [ Si trova però sovente nei cornicioni delle fabbriche, come nelle stesse ruine di Palmira pl 6. e 11., e in quelle di Balbec date dallo stesso autore pl. 22. 27. 34., nei bagni di Nimes presso Clerisseau Antiq. de France, prém. part. pl. 36., nelle rovine del palazzo di Diocleziano a Spalatro, e in tanti altri monumenti, come nel tempio del dio Redicolo alla Caffarella, nell’urna di Cecilia Metella del palazzo farnese, ec.
  77. Bottari Tom. iI. Tav. 27. pag. 31. [ Dice soltanto, che rassomiglia nel lavoro alla maniera dell’Algardi: il che rileva come una cosa particolare in quello busto, che del resto sostiene per antico.
  78. Un’altra, anche molto bella, egli poi la collocò nella sua villa.
  79. Fulv. Urf. Imag. illustr. num. 91.
  80. Flor. Proœm. lib. 1.
  81. Plin. in Panegyr.
  82. idem lib. 2. epif. 7.
  83. Secondo l’uso degli antichi, i quali portavano delle lettere intessute sull’orlo degli abiti. V. Rubenio De re vest. lib. 1. c. 10., Ciampini Vet. mon. Tom. I. cap. 13.
  84. Nella prima edizione aggiungeva l’Autore: „ Sembra che in questo tempo sia stata una scuola d’artisti in questa città d’Afrodisio nella Caria, attesi i nomi di differenti artisti di essa, che si sono conservati. V. Inscript. Syrac. in Grævii Thes. Sicil. Tom. VI. Sotto la statua antica d’una Musa nella galleria Granducale a Firenze si legge: Opus Attiliani Afrodisienis, che come nota Buonarruoti Osserv. sopra alc. framm. di vetri, prefaz. pag. XXI., dovrebbe dire Afrodisiensis.
  85. Eccone una parte.

    Π Α Τ Ρ Ι С   Є Μ Ο Ι   Ζ Η Ν ω
    Ν Ι   Μ Α Κ Α Ρ Τ Α Τ Η   С Τ Α Φ Ι С   Α
    С Ι Α С   Π Ο Λ Δ Α Δ Є ....
    Є Μ Α Ι С Ι   Τ Ε Χ Ν Α Ι С Ι   Δ Ι Є Λ ʘ . . .
    Κ Α Ι   Τ Є Υ Ξ Α С   Ζ Η Ν ω Ν Ι   Μ Є
    Π Ρ Ο Τ Є ʘ Ν Η Κ Ο Τ Ι   Π Α Ι Δ Ι
    Τ Υ Μ Β Ο Ν   Κ Α Ι   С Τ Η Λ Ν Η
    Є Ι Κ Ο Ν Α   С Α Υ Τ Ο С   Є Γ Λ Υ Ψ Α
    Α Ι С Ι Ν   Є Μ Α Ι С   Π Α Λ Α Μ Α Ι С Ι
    Τ Є Χ Ν Α С   Ζ Α Μ Є Ν Ο С   Κ Λ Υ Τ Ο Ν
    Є Ρ Γ Ο Ν . . . . . . . .


    Gli ultimi versi non si possono ben leggere, e nessuno sinora ha potuto scifrarli. Essa però, oltre la notizia che ci dà d’un artista, indica il nome della città di Stasi in Asia, di cui non trovasi fatta menzione presso nessuno scrittore, e ci somministra la spiegazione delle lettere ΣΤΑ, che leggonsi su una moneta del re Epifane, intorno alla quale fatte si sono molte conghietture. Beger. Thes. Brand. Tom. 1. pag. 259., Wise Numm. ant. Bodlej. pag. 116. V. Cup. De eleph. exercit. 1. cap. 7. in Suppl. Ant. Rom. Sallen. Tom. iiI. p. 74. È pertanto probabile che sia questo il nome abbreviato di quella città, poichè le voci σταφελίτης e σταθμεδότης sono interpretazioni troppo stiracchiate. I falli di prosodia non indurranno in errore, io m’immagino, coloro che conoscoro quanta fosse la negligenza de’ poeti a que’ tempi e ne’ seguenti, principalmente nelle iscrizioni.

    Pubblicherò a questo proposito un’altra iscrizione che sta sulla base d’una statua di Bacco in Grecia. Io non so ben indicar in qual luogo, ma forse è nell’isola di Scio, da dove ebbi questa con altre greche iscrizioni:

    ΛΙΣΑΝΙΑΣ ΔΙΟΝΥΣΟΥ
    ΤΟΝ ΔΙΟΝΥΣΟΝ ΚΑΤΕΣΚΕΥΑΣΕ

    La voce κατεσκεύασε rende dubbioso se Lisania fosse l’artista, o colui che ha fatta erigere la statua.

  86. L’iscrizione fu mandata da Roma a Carlo Dati a Firenze, copiata in questo modo, e da lui data nelle Vite de’ pittori p. 118. .... ΤΙΟΧΟΣ ΙΛΑΙΟΣ ΠΟΙΕΙ . Maffei Mus. Ver. Inscr. var. p. CCCXVIII. n. 4. la pubblicò completa qual doveebb’essere, senz’avvisare che dianzi era mutilata. Eccola qual siì trova sulla mentovata base:


    . . . . Τ Ι Ο Χ Ο Σ
    . . . . Ι Ν Α Ι Ο Σ
    . . . . Π Ο Ι Ε Ι

    Il nome d’Antioco trovasi eziandio su due gemme incise, presso Gori Inscript. Tom. I Gemmæ, Tab. 1. num. 4., e Quirini Epist. ad Freret. pag. 29.

  87. Fattagli alzare dal Senato dopo la vittoria contro i Daci, come si lecgc nella iscrizione postavi alla base, e riportata anche dal P. Montfaucon Diar. ital. cap. 19. pag. 260., da monsignor Braschi De trib. stat. c. 10. §. 9. pag. 94., e nelle note a Gellio Noct. att. l. 13. cap. 23. Dione Cassio lib. 68. c. 16. Tom. iI. pac. 1133. la vuole innalzata dallo stesso Trijano senza darne ragione.
  88. Nel palazzo già del card. della Valle.
  89. Hist. utr. belli dacici in col. traj. n. 12.
  90. Paus. lib. 5. cap. 12. pag. 406.
  91. V. Orlandi al Nardini l. 5. c. 9. p. 235.
  92. Annessa al foro era la Basilica Ulpia, cosi detta da Trajano, che chiamavasi Ulpio, e se ne ha la figura in tante medaglie. Ivi era parimente la celebre Biblioteca, menzionata da Gellio lib. 11. cap. 17., da Vopisco nella vita di Probo, da Sidonio Apollinare lib. 9. epist. 16. v. 26. segg. p. 284. che poi Diocleziano trasportò alle sue terme, come scrive lo stesso Vopisco.
  93. Nelle sue Annotazioni alla Storia dell'arte l’Autore annovera fra i monumenti di quest’età una Venere ignuda, il cui manto è gettato su un lungo vaso in piedi che le sta vicino, e la cui testa, che è ancora la prima, somiglia a Marciana sorella di Trajano. Trovasi questa nel giardino dietro al palazzo Farnese, ov’è un’altra simil Venere, se non che diverso n’è il vaso, ed ha in volto l’usata beltà di quella dea, sebbene siane simile alla prima l’acconciatura de’ capelli, qual si vede altresì sulle monete di Marciana, di cui abbiamo nella villa Negroni una veramente bella figura vestita. [Si veda qui avanti p. 135. not. b. ] Annovera eziandio certi bassi-rilievi che rappresentano de’ guerrieri coi loro vessilli, e le figure ne fono alte undici palmi: fra esse distinguesi quella del capitano, ma non si può dire chi sia, poichè gli manca la testa. In uno però degli scudi rotondi posti sui vessilli chiaramente ravvisasi il busto di Trajano.
  94. Le statue doveano essere tre, cioè quella di Trajano in mezzo, a destra di lui quella di Plotina sua moglie, ed a sinistra quella di Marciana sua sorella; perchè a tali luoghi vi è l’iscrizione rispettiva di loro, e tre statue si vedono accennate sulla medaglia battuta in quella occasione ad onor di quel principe. L’illustre prelato monsignor Borgia ha pubblicata nel 1771. una stampa in rame dell’arco, e sue parti in grande esattissima nel disegno, e nelle misure, e vi ha annessa la medaglia suddetta. Non potranno però a norma di tali misure credersi inesatte quelle, che ha date il nostro Autore del pezzo solo, ond’è comporto il basamento; dovendosi riflettere, che esso e rivestito tutto intorno di altri pezzi di marmo, i quali per conseguenza ingrandiscono le misure nella stampa. Io credo di fare un pregio a questo luogo della storia, riportando l’iscrizione di mezzo come la riporta il lodato prelato; giacchè è scorretta come la dà il Fabretti, e tanti altri.

    IMP. CAESARI. DIVI. TRAIANO. OPTIMO
    NERVAE. F. NERVAE. AVG. GERMANIC
    DACICO. PONT. MAX. TP. POT. XVIIII. IMP. IX
    COS. IV. P. R PROVIDENTISSIMO. PRINCIPI
    SENATVS. P. Q. R. QVOD. ACCESSVM

    ITALIAE. HOC. ETIAM. ADDITO. EX. PECVNIA. SVA
    PORTV. TVTIOREM. NAVIGANTIBVS. REDDIDERIT

  95. Hist. rom. lib. 68. cap. 13. Tom. iI. pag. 1130.
  96. Fu Adriano che lo fece distruggere per timore che i barbari non avessero quindi un
  97. A Trajano furono erette delle statue in marmo pario da tutte le città della Grecia. Pausania loc. cit.
  98. Orat. 31.