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p r e s s o   g l i   E t r u s c h i , ec. 233

tolino. Il vedere due figure muliebri su un cocchio non parrà strano a chi sa esser la Venere omerica posta su un cocchio presso ad Iride che ne tien le redini, e a chi ha letto in Callimaco1, che Pallade solea prendere nel suo cocchio Caricle, la quale fu poscia madre di Tiresia. E’ noto altresì, che Cinisca figlia d’Archidamo re di Sparta ottenne la palma alla corsa de’ cocchi ne’ giuochi olimpici2.

§. 41. I cocchi sono intagliati, siccome esser soleano, non dirò ai giorni di Danao, ma certamente ne’ tempi antichissimi; della qual cosa abbiamo argomento in Euripide3, che al figlio di Teseo nell’accampamento de’ Greci contra Troja dà un cocchio, a cui l’effigie di Pallade serviva di ornato4.


Tom. I. G g §. 42. Pri-


  1. Lavac. Pall. vers. 65.
  2. Nella Collezione Hamiltoniana così spiegasi la descritta pittura: „Vi si rappresenta la corsa d’Atalanta e d’Ippomene in presenza d’Atlante e delle Esperidi, che il pittore v’ha fatte presenti, o a cagione de’ pomi d’oro dati da Venere al Ippomene, ovvero alludendo a ciò che dice Teocrito nella sua Amarillide. Il luogo destinato alla corsa è decorato come lo stadio di Pisa, in mezzo al quale stava un altare dirimpetto alla statua d’Ippodamia. Alcune delle Esperidi hanno delle stelle sulla veste, per indicare che brillano nella costellazione delle Plejadi, e tre di esse stanno sulle quadrighe per denotare il moto diurno de’ cieli. Maja guida uno di questi cocchi colla più giovine delle sue sorelle: con che volle dimostrare il pittore la loro unione costante. Elettra sola s’allontana dalle compagne afflitta, come dice Igino, per la ruina di Troja... I cocchi qui dipinti chiamavansi δίφροι, e su essi non si sedeva. La marca sulla coscia de’ cavalli ne indicava la razza... Questa pittura, e le altre due, che vedonsi sul medesimo vaso relative allo stesso soggetto, sono le più belle, che sianci pervenute. Hanno, è vero, de’ difetti e degli errori di disegno, ma questi denno perdonarsi alla difficoltà dell’esecuzione dianzi esposta. Il signor Pecheux, abile disegnatore, a mia richiesta ha disegnate più correttamente le figure di questa pittura, rifacendola quale vedesi alla ’Tavola 21. del Tomo secondo: e da ciò si conosce quanto vantaggio ricavar potrebbono i nostri artisti da siffatte antiche pitture „.
  3. Iphig. in Aul. vers. 250.
  4. Al vaso Hamiltoniano qui descritto un altro ne aggiugneremo posseduto dal signor D. Carlo de’ Marchesi Trivulzi. Esso è pregevolissimo, anche a giudizio del celebre signor Hamilton, nella cui impareggiabile raccolta tener potrebbe un onorevole luogo, sì pel disegno che per la grandezza, essendo alto poco meno di due palmi romani. Se ne vedrà la figura nel Libro IV. Questo vaso è verosimilmente opera d’un artefice dell’Etruria, anziché di altro paese. Tale lo dimostra, secondo l’osservazione dell’erudito possessor di esso, il manto della donna sedente, il quale è disposto a pieghe, e va a terminare ad angolo acuto, qual suol essere ne’ lavori etruschi. Il soggetto rappresentato nella parte dinanzi riesce difficile a determinarsi. Sarebbe mai questo una cena? oppure una sorpresa amorosa? Ma è forse più probabile (e questa è l’opinione del citato nostro cavaliere) che siavi stato espresso un uomo spirante. Appoggio alla congettura sono le figure medesime, i loro atteggiamenti, e gli altri sogni che ivi si veggono. Il Genio alato a canto al letto, il quale, in luogo della face rivolta all’ingiù, tiene un vaso rovesciato, indizio d'un sinistro augurio, come appare da altri antichi monumenti, è facile che dinoti il termine della vita di quell’uomo. S’adattano pure al soggetto da noi divisato le due donne, l’una ritta che tiene un timpano, istrumento etrusco, T. Liv. lib. 39. cap. 8. num. 8., e l’altra sedente sul letto ai piedi dell’uomo coricatovi, la quale ha due tibie una per mano. Il rito di chia-