Storia delle arti del disegno presso gli antichi (vol. I)/Libro terzo - Capo III

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C a p o   I I I.


Osservazioni generali sullo stile etrusco... che ebbe diversi gradi ed epoche - Stile antico -- Suo passaggio allo stile posteriore — Secondo stile... osservato in varj monumenti — Paragone di questo stile col disegno degli artisti toscani — Ultimo stile dell’arte etrusca.

Osservazioni generali sullo stile etrusco... Dopo d’ aver esposte nel Capo precedente le nozioni preliminari sulle arti del disegno presso gli Etruschi, e dopo d’averne indicati i principali monumenti, ne esaminaremo ora le proprietà e i caratteri distintivi. E qui mi giova prima d’ogn’altra cosa avvertire che gl’indizj, ai quali discernere lo stile etrusco dal più antico greco, o siano presi dal disegno, o dal vestito, o dal costume, esser possono ingannevoli. Gli Ateniesi, al dir d’Aristide1, davano alle armi di Pallade quella forma che loro dalla dea medesima era stata prescritta; ma non può quindi sicuramente inferirsi che, ove si vede un elmo greco a Pallade o a qualche altra figura, sia quello un greco lavoro; poiché diffatti incontriamo l’elmo greco su opere indubitabilmente etrusche, come, a cagion d’esempio, nella Minerva dell’ ara triangolare della villa Borghese, e in una patera segnata con lettere etrusche nel museo del Collegio romano2.

... che ebbe diversi gradi ed epoche. §. 1. Si cangiò lo stile dell’arte presso gli Etruschi, come presso gli Egizi e i Greci, ed ebbe diverse epoche e gradi, cominciando, siccome già dianzi indicai, dalle più semplici rappresentazioni, migliorando sino a che le arti furono colà [p. 197 modifica]nel più bel fiore, e quindi alterandosi, secondo tutta la probabilità, per l’imitazione de’ greci lavori, cosicchè un nuovo stile divenne diverso affatto da quello de’ primi tempi. Devono ben osservarsi questi differenti gradi dell’arte etrusca, se formar se ne vuole una giusta idea. Quando poi gli Etruschi soggiogati furono da’ Romani, dopo un certo tempo le arti preso di loro andarono in decadenza, come rilevasi da ventinove patere di bronzo esistenti nel museo del testè mentovato Collegio, fra le quali quelle, la cui iscrizione e per la forma delle lettere e per le parole più s’avvicina alla scrittura e alla lingua romana, sono e pel disegno e pel lavoro inferiori alle più antiche. Da sì piccoli monumenti però non si può inferir nulla di ben determinato; e altronde la decadenza delle arti non dee prendersi per uno stile particolare; onde solo parlerò delle mentovate tre epoche, a cui corrispondono i tre stili, cioè il più antico, il secondo, e poscia quello che è risultato dall’imitazione de’ Greci.

Stile antico. §. 2. Lo stile antico si riferisce a que’ tempi, ne’ quali gli Etruschi all’Italia tutta sino agli ultimi promontorj della Magna Grecia signoreggiavano. Qual ne fosse allora il disegno, ce lo danno chiaramente a divedere le rare monete d’argento coniate nelle città dell’Italia inferiore, delle quali una ricchissima collezione sen vede nel museo del duca Caraffa Noya.

§. 3. I caratteri distintivi dell’antico e primo stile dell’arte etrusca sono le linee rette nel disegno, la positura senza mossa, e l’azione forzata delle loro figure, nel cui volto si scorge un’idea imperfetta della bellezza. Quando dico che rette erano le linee del disegno loro, intendo dire che i contorni delle figure poco scostavansi dalla linea diritta, leggiera curvatura avendo e tenue rialzo; e quindi è che esse sottili sono e gracili (abbenchè il poeta Catullo dica il pingue [p. 198 modifica]Etrusco)3, e n’è assai poco indicata la musculatura. Manca per tanto in quello stile la varietà. A tal maniera di disegnare devonsi in parte le figure ritte e senza mossa; ma devesi questo vieppiù all’ignoranza de’ primi tempi, non potendosi ben rappresentare la diversità delle positure e delle azioni senza una certa franchezza di disegno, e senza una sufficiente cognizione del corpo umano; poiché le arti, come tutte le scienze, incominciarono prima dalla cognizione di noi stessi.

$. 4. Avean in oltre gli Etruschi, come i più antichi Greci, un’idea imperfetta della bellezza del volto: la forma delle loro teste è un’ovale allungata, la quale sembra ancora più ristringersi a cagione del mento acuto: gli occhi sono diacciati, tirati all’insù, ed intagliati al medesimo livello del sopracciglio: egualmente ripiegati all’insù sono gli angoli della bocca.

§. 5. Di questo primo stile ci somministran esempj, oltre le mentovate monete, molte figure di bronzo, alcune delle quali similissime sono alle egiziane per le mani pendenti ed attaccate ai fianchi, e pei piedi ritti e paralleli. Il descritto basso-rilievo di Leucotea nella villa Albani ha tutti i caratteri di questo stile. A ben piccolo rilievo disegnato è il Genio nel palazzo Barberini, né vi si veggono ben indicate le parti: i piedi suoi sono sulla stessa linea, e gli occhi incavati sono e schiacciati, e tirano un poco all’insù. Un buon conoscitore, che osservi ne’ monumenti gl’indizj della vetustà, troverà quello stile eziandio su altre opere esistenti ne’ più rinomati e più frequentati luoghi di Roma, per esempio, in una figura virile sedente su una sedia, in un piccolo basso-rilievo nel cortile della casa Capponi, ec.

§. 6. Gli antichi artefici etruschi però, malgrado la grossolana loro maniera di disegnar le figure, son giunti a saper [p. 199 modifica]dare della grazia alle forme de’ loro vasi, onde ben si scorge aver essi conosciuto il bello ideale e scientifico, sebbene non avessero ancor fatti grandi progressi nelle cose dipendenti dall’imitazione. Questo scorgesi chiaramente in molti vasi, ne’ quali il disegno della pittura annunzia il più antico stile etrusco; e basterà che io qui ne adduca per esempio uno che espresso vedesi nella prima parte della collezione Hamiltoniana, in cui da una parte v’è rappresentato un uomo sovra un cocchio a due cavalli in mezzo^ a due figure in piedi, e dall’altra parte vi si veggono dipinte due altre figure a cavallo. Ancor più mirabile è un vaso di bronzo del diametro d’un palmo e mezzo romano, il quale è stato indorato, ed ha sulla pancia incisi de’ bellissimi ornati: in mezzo al coperchio s’alza una figura virile ignuda alta un mezzo palmo, che tien nella destra un desco, e sull’orlo sono attaccate tre piccole figure a cavallo, una delle quali vi sta a gambe aperte, e le altre due vi siedono con amendue le gambe da una parte: il lavoro sì delle figure che de’ cavalli è de’ più antichi tempi. Questo vaso fu scoperto cinque anni addietro in circa nei dintorni di Capua, e fu trovato pieno di ceneri e d’ossa; ora serbasi presso il signor cavalier Negroni regio Intendente a Caserta.

Passaggio dell'antico stile al posteriore §. 7- Quando gli artisti etruschi ebbero acquistate più estese cognizioni, abbandonarono il prisco stile, e laddove dianzi, come gli antichi Greci, sembra che fossero più portati a far figure vestite che ignude, poscia del nudo assai più s’occuparono. E’ probabil però, che essi tenessero in conto di cosa impulita o inonesta il rappresentare figure del tutto ignude; poiché ad alcune figurine di bronzo veggiamo rinchiuse le parti genitali entro una borsa legata ai fianchi per mezzo d’una fascia4.

[p. 200 modifica]§. 8. Chi giudicar volesse dell’arte etrusca dalle loro gemme incise, creder dovrebbe che il primo stile non fosse stato generale, o almeno uno stile diverso avessero gl’incisori di pietre dure; poiché in questa specie di lavori le figure sono tutte rotondate, e come gibbose: proprietà, le quali sono in contraddizione coi caratteri del primo stile, che di sopra abbiamo esposti. Non v’è però contraddizione veruna. Gli antichi artefici, come appare al sol vedere le loro gemme incise, le lavoravano al torno, siccome s’usa anche oggidì; e in tal caso la più comoda maniera di lavorarle con quello strumento si è di dare alle figure delle forme rotonde, e a così dire della globosità; e forse anche deggiam pensare che a quell’epoca gli artefici in questo genere di lavoro non sapessero adoperare, come ora si fa, i ferri acuti. Pertanto le forme globose non denno considerarsi come una proprietà del disegno, ed un carattere dell’arte; ma bensì come un effetto del di lei meccanismo. Altronde le loro gemme incise de’ primi tempi sono l’opposto delle loro più antiche figure in bronzo e in marmo, e scorgesi da queste evidentemente che la perfezione dell’arte ha cominciato da una espressione più forte, e dall’indicare più sensibilmente le parti delle figure; il che pur si osserva su alcune opere di marmo. A quest’indizio si riconosce l’epoca, in cui più le arti presso di loro fiorirono.

§. 9. In qual tempo precisamente formato siasi il secondo stile etrusco, non si può con precisione determinare, ma è verosimile che ciò sia avvenuto nel tempo stesso, in cui perfezionaronsi le arti medesime presso i Greci. I tempi di Fidia e quei, che lo precederono, dobbiamo figurarceli simili all’epoca a noi più vicina del risorgimento delle arti e [p. 201 modifica]delle scienze, il quale non è cominciato in un paese solo, daddove siasi quindi esteso in altre regioni; ma parve che il genio degli uomini a un tempo stesso in tutt’i paesi si ravvivasse; onde fecersi quasi contemporaneamente le più luminose scoperte. Certa cosa è che così avvenne nella Grecia, all’epoca mentovata, per le scienze tutte e per le arti; e sembra che nel tempo medesimo siasi diffuso su di altre colte nazioni un certo spirito universale che, principalmente influendo sulle arti, animate le abbia e vivificate.

Sccondo stile. §. 10. I caratteri del secondo stile etrusco e gl’indizj, ai quali riconoscerlo, sono una troppo risentita espressione delle articolazioni e dei muscoli, i capelli disposti in fila parallele, le mosse sforzate, e l’azione che in alcune figure è sommamente affettata e portata all’eccesso. I muscoli sono rialzati, e come gonfi, posti a foggia di collinette; le ossa son troppo seccamente disegnate e troppo visibili; onde caricato e duro riesce questo stile. E’ da osservarsi però che questa troppo forte espressione de’ muscoli e delle ossa non incontrasi costantemente in tutti gli antichi lavori etruschi.

§. 11. Nel marmo principalmente, in cui non altro più abbiamo fuorché alcune figure di divinità, non sempre sono così risentiti i muscoli di tutte le membra; sebbene sempre vi si scorga in tutte una certa caricatura, e ciò principalmente nelle gambe, e nel taglio forte e duro de’ muscoli delle polpe. I capelli e i peli, disposti a file o ciocche parallele non solo sul capo ma eziandio sul pettignone, si vedono senza eccezione su tutte le figure etrusche e su gli animali stessi, fra i quali posso addurre ad esempio la famosa lupa di bronzo del Campidoglio che allatta Romolo e Remo, essendo questa probabilmente quella lupa stessa, che a’ tempi di Dionisio5 vedeasi in un piccol tempio nel monte Palatino, cioè nel [p. 202 modifica]tempio di Romolo, dedicato ora a s. Teodoro, ove diffatti fu essa disotterrata. E poiché Dionisio stesso ne parla come d’antico lavoro (χάλκεα ποιήματα παλαιᾶς ἐργασίας6, dobbiam crederla opera d’etrusca mano, sapendosi che degli artefici di questa nazione si serviano anticamente i Romani7. Deve osservarsi però che se antichissimo lavoro è la lupa, opera moderna sono i due bambini che allatta.

§. 12. Il secondo carattere di quello stile non può con una sola idea comprenderli. Sforzato e violento, parlandosi dell’attitudine nelle figure, non significano la stessa cosa: questo non solo ha luogo nella politura, nell’azione, e nell’espressione, ma in tutti eziandio i movimenti d’ogni parte; laddove quello non dicesi se non dell’azione, e può aver luogo eziandio nella più tranquilla attitudine. Lo sforzato è l’opposto del naturale, e’l violento è l’opposto del decente e del sodo. Quello caratterizza lo stile antico, e questo lo stile posteriore, cioè il secondo. Le mosse violente nacquero dal voler evitare le mosse sforzate, poiché ricercando gli [p. 203 modifica]artisti un’espressione forte, e de’ tratti ben sensibili, diedero alle figure tal positura ed azione, in cui quelli meglio venissero espressi; e ove tender doveano a rappresentare lo stato di riposo e di compostezza, prescelsero quello di violenza. Fu gonfiata, a così dire, e renduta ampollosa l'espressione del Pentimento, che portar si volle sino agli estremi.

... Osservato in varj monumenti. §. 13. Per mettere più in chiaro quanto sin qui generalmente ho detto, apporteronne ad esempio quel Mercurio barbato dell’ara triangolare Borghese, il quale è muscolato come un Ercole, e ’l Tideo, e ’l Peleo, di cui possono in questo volume vedersi le figure8. Su queste piccole figure le clavicole del collo, le coste, le cartilagini de’ gomiti e delle ginocchia, le articolazioni delle mani, la caviglia de’ piedi siano espresse con egual forza e risalto che le tibie delle braccia e delle gambe9; anzi su Tideo scorgesi ben anche la punta dell’osso del petto. I muscoli sono nella più forte azione eziandio su Peleo, sebbene il carattere suo non esiga moti sì violenti: su Tideo nemmeno si sono ommessi i muscoli del di sotto del braccio. Si ravvisa l’attitudine sforzata nelle figure della mentovata ara rotonda del museo Capitolino10, e in alcune di quelle dell’ara Borghese, nella quale le divinità, che vedonsi in prospetto, hanno i piedi stretti e paralleli, e quelle, che vedonsi di profilo, gli hanno sulla stessa linea un dietro all’altro. Le mani principalmente sono in tutte le figure in un’attitudine sforzata ed impropria, cosicchè, se queste stringono qualche cosa colle prime dita, restano colle altre diritte e tese. Rilevasi da tali figure che, sebbene grande abilità e molte cognizioni avessero gli Etruschi nell’esecuzione delle opere dell’arte, pur mancava loro l’idea della bellezza: diffatti la testa di Tideo ha fattezze comuni, e quella di [p. 204 modifica]Peleo, che non ha certamente più belle sembianze, è contorta e in uno stato violento come il suo corpo.

§. 14. Alle figure etrusche sì del primo che del secondo stile applicarsi in qualche maniera potrebbe ciò che di Vulcano disse Pindaro, cioè che nato era senza le Grazie11. E ove fra il secondo stile etrusco e quel de’ Greci de’ migliori tempi far si voglia il confronto, quello rassomigliarsi potrà ad un giovane che, privo d’una buona educazione, sciolga il freno alle passioni, e s’abbandoni ai trasporti dello spirito, i quali lo conducono ad azioni violente e sconce; laddove quello per l’opposto sarà simile a bel giovinetto, a cui una buona istituzione abbia appreso a temprare il fuoco delle passioni, e in cui le belle sembianze naturali siano state per la coltura dello spirito e del cuore rendute più belle ancora e più nobili. Questo secondo stile può eziandio chiamarsi manierato, in quanto che in tutte le figure ha costantemente lo stesso carattere e la stessa maniera: Apollo, Marte, Ercole, e Vulcano su i lavori di quello stile non distinguonsi punto pel disegno. E siccome l’avere un carattere unico e generale è lo stesso che non averne nessuno, cosi degli artefici etruschi ridir si potrebbe ciò che in Seusi ebbe a riprendere Aristotele12, cioè che non abbia dato nessun carattere alle sue figure.

[p. 205 modifica] Paragone di questo stile col disegno degli artisti toscani. §. 15. Questi caratteri dell’arte presso gli antichi popoli dell’Etruria ravvisansi anche oggidì nelle opere de’ loro successori, e un occhio imparziale ben gli scorgerà nei disegni di Michelangelo, il più grande artista che abbiano avuto i Toscani; quindi non senza fondamento di lui s’è detto che, chi una delle sue figure ha veduta, le ha vedute tutte13. Né può negarsi che questo carattere non sia uno dei difetti di Daniello di Volterra, di Pietro da Cortona, e di altri14.

§. 16. Abbiamo finora si nel primo che nel secondo ultimo stile considerate le arti proprie degli Etruschi, prima che essi conoscessero i lavori de’ Greci, cioè avanti che quelli, restringendo i confini dell’Etruria verso oriente e verso mezzodì, dominassero nell’Italia inferiore e nelle vicinanze dell’Adriatico. Allorché i Greci ebbero occupata la più bella parte d’Italia, e fondatevi possenti città, le arti cominciarono ivi a fiorire ancor più presso che nella Grecia medesima, ed è chiaro averne quindi tratto del profitto e de’ lumi gli Etruschi loro vicini, che nella Campania aveano saputo mantenerli. Un argomento di ciò abbiamo nei monumenti loro de’ più antichi tempi, su i quali spesso si veggono rappresentati varj tratti della storia greca, che da’ Greci certamente aveano appresi; onde saranno stati disposti ad apprenderne in seguito anche le belle arti. Che così diffatti sia avvenuto, rilevasi dalle monete della maggior parte delle città campane: il nome loro, scrittovi in carattere etrusco, fa [p. 206 modifica]credere che queste siano state coniate fin da’ tempi, ne’ quali gli Etruschi quelle città abitavano; e altronde le teste delle divinità su tali monete impresse similissime sono a quelle delle monete e delle statue greche: Giove fra gli altri su le monete etrusche della città di Capua ha i capelli della fronte disposti nello stesso modo che sulle figure greche di questo padre degli dei, del che più diffusamente si tratterà nel libro V.15.

§. 17. Questo è per tanto il terzo stile etrusco, e quello che è proprio della maggior parte degli etruschi monumenti che a noi pervennero, e nominatamente delle urne sepolcrali d’alabastro bianco di Volterra, che presso questa città furono scoperte, quattro delle quali veggonsi ora nella villa Albani.



Note

  1. Panathen. Oratio, Tom. I. pag. 107. [ Dice, che Minerva insegnò l’ uso delle armi agli Ateniesi, i quali perciò solevano colle stesse sorte d’armi rappresentarla; Armorum, usum docuit, eo majores nostros ornatu induens, quo nos illam nunc solemus.
  2. Dempst. Etrur. reg. Tom, I. Tab. 4.
  3. Catullo 37. v. 11.
  4. Sono questi esempj rarissimi a paragone di tante altre figure etrufche sì di uomini che di femmine, non solo ignude, ma pur anco in atteggiamenti lascivi, quali s’incontrano sovente ne’ greci e romani lavori. Veggansi in prova di ciò i musei cortonese ed etrusco. Gli Egizj hanno conservata nelle loro figure maggior modestia che ogn’altro popolo coltivatore delle belle arti.
  5. Ant. Rom. lib. 1. cap. 79. p. 64. l. 19.
  6. Opus antiquum ex ære factum).
  7. Che la lupa tuttora esistente nel Campidoglio sia quella del tempio di Romolo, lo rileviamo pure da un indizio riferito da Cicerone, presso cui leggesi che essa fu offesa da un fulmine: il che secondo Dione Cassio avvenne nel consolato di Giulio Cesare, e di Bibulo. Or quest’indizio noi lo scorgiamo nella coscia sinistra, ov’è una striscia o piuttosto una rottura larga due dita. Che se Dione scrive che la lupa, quando fu percossa dal fulmine, era in Campidoglio, dobbiamo attribuirglielo ad errore, tanto più ch’egli vivea due secoli dopo quell’accidente. [ I consoli riferiti da Dione Hist. Rom. l. 37. §. 9. pag. 117. Tom. I. sono Lucio Cotta, e Lucio Torquato, che corrispondono all’anno di Roma 689. Dice questo scrittore, che la lupa era in Campidoglio, e lo dice anche Cicerone De Divin. lib. 1. c. 12., e l. 2. c. 20., e nella terza orazione contro Catilina c. 8., ove racconta questo accidente; e sì l’uno che l’altro scrivono, che fosse gettata a terra, non ostante, aggiugne Dione, che fosse ben fermata. Altro effetto pertanto dovea produrre un siffatto colpo di fulmine sulla figura, che una semplice striscia, o rottura in una gamba. È verisimile che la rovinasse affatto in un coi puttini; poiché Cicerone nel cit. lib. 1. cap. 12. fa capire, che ella a’ suoi tempi più non esistesse:
    Hic silvestris ERAT romani nominis altrix. E del puttino, che rappresentava Romolo, nella citata orazione egli diceva, FUISSE meministis. Al che non ha badato il Nardini Roma antica, lib. 5. cap. 4.. pag. 200., e Ficoroni Le vestigia, ec. lib. 1. cap. 10. pag. 47., che la credono la suddetta esistente ancora in Campidoglio. L’altra lupa, della quale parla Dionisio, fu fatta fare l’anno di Roma 457. da Gnejo, e Quinto Ogulnj Edili Curuli, col denajo ritratto dalla multa d’alcuni usuraj; e fu collocata in quel tempio per memoria dell’esser ivi stati allattati dalla lupa i due fondatori della città, Livio lib. 10. cap. 16. num. 23. in fine. E questa, se è quella, che diciamo di Campidoglio, come crede anche Fulvio Orsini presso il Nardini loc.cit., sarà stata anch’essa in appresso colpita da qualche fulmine; se pure non deve attribuirsi ad altra cagione la rottura, o per meglio dire, le rotture; poiché ne ha una per gamba.
  8. La prima pag. 161., l'altra pag. 206.
  9. Le tibie sono delle gambe, delle braccia i radj.
  10. Vedine la figura alla pag. 1.
  11. Ap. Plut. in Erot. pag. 751. D. oper. Tom. iI.
  12. Poet. cap. 6. pag. 7. op. Tom. IV. [Sine actione non fieret tragœdia: at sine moribus fieret. Recentium enim plurimorum tragœdiæ sine moribus fune: & omnino poetæ, multi tales: sicut & ex pictoribus Zeuxis ad Polygnotum se habet. Nam Polygnotus bonus morum descriptor: at Zeuxidis pictura prorsus caret moribus. Pare piuttosto, che Aristotele con tanti paragoni voglia intendere di quell’artificio, e abilita a far ribaltare nella poesia, e nelle arti del disegno i costumi, e il carattere particolare di una persona, o vogliam dire, animare i soggetti, che si rappresentano: il che dai Greci si diceva ἠθικόν, come nota Arduino a Plinio lib. 35. cap. 9. sect. 36. num. 13.; e a cui alludeva Marziale lib. 10. epigr. 32.:

    Ars utinam mores, animumque effingere posset!
    Pulchrior in terris nulla tabella foret.

    S. Basilio, o piuttosto altro autore De hom. structura, Orat. 2. n. 12. in appendice delle opere di quel S. Dottore Tom. I. pag. 344. in fine, ha saputo trovare gli affetti dell’animo espressi in molti lavori dell’arte; e forse Aristotele non li sapeva trovare nelle opere di Zeusi. Sembra però che Plinio loc. cit. ne eccettui la di lui pittura rappresentante Penelope, in qua pinxisse mores videtur.

  13. Dolce Dial. della Pittura, pag. 48.
  14. Dovremmo qui far l’apologia de’ moderni Toscani, e ben avremmo argomenti, onde provare quanto essi vagliano nelle arti del disegno. Ma avendo udito che alcuni chiari scrittori di quella colta ed erudita nazione a ciò già pensarono, volentieri lor cediamo la propria loro difesa. [ Tra questi nomineremo il signor abate Bracci Dissert. sopra un clipeo votivo, ec. prefaz. pag. 9. e 10., ove mette in vista diversi artisti toscani, i quali non possono tacciarsi di stile forzato, e caricato; e osserva, che Pietro Berrettini da Cortona deve mettersi piuttosto nella scuola romana. Ma per Michelangelo Buonarroti, cui prende in particolar modo a difendere, i conoscitori non possono a meno di vedere nel di lui stile una certa uniformità di caricato, e forte: di modo che pare abbia sempre avuto innanzi agli occhi il torso dell’Ercole di Belvedere, su cui tanto avea meditato, e meditava; non imitandolo per altro, ma eccedendolo. A questo difetto ha pure contribuito il fiero di lui animo.
  15. Ciò che ha detto sin qui Winkelmann della durezza nei lavori etruschi viene confermato da Quintiliano, che dure appunto chiamò le statue di quella nazione, Instit. Orat. l. 12. cap. 10. Monsignor Guarnacci, al quale non piace quella critica, nelle Origini ital. Tom. iI. l. 7. c. 7. pag. 297. ha cercato di raddolcirla il più, che gli sia stato possibile, col dire, che Quintiliano parli dei bassi tempi nella decadenza dell’arte presso i Toscani, de’ tempi cioè di Diocleziano imperatore, in cui egli viveva, o di due, o tre secoli prima; e che se li chiama un po’ duretti, lo dice rispetto agli eccellentissimi, ed insignissimi lavori dei Greci; e precisamente a quelli di Fidia, di Policleto, di Alcamene, di Polignoto, e simili. Vedi appresso la nota in fine al capo IV.