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divenne elemento spiccatamente caratteristico dell'architettura prelombarda e della lombarda insieme. Di opere scultoriche e pittoriche neanche parlarne e i pochi sigilli rimasti ci attestano un'arte bambina, che sembra abbia perduta ogni nozione di forma e di disegno.

Mai l'isola nostra giunse a tanta decadenza; nè poteva esser altrimenti: abbandonata da Bisanzio e da questa poscia resasi indipendente l'azione dei giudici svolgevasi in una cerchia limitata d'interessi. Le coste erano rese infide dalle rapaci gesta dei pirati saraceni e limitati di conseguenza gli scambi commerciali ed i rapporti con le regioni più progredite d'Occidente.

Il pericolo delle scorrerie dei saraceni, che della Sardegna avevano fatto il covo da cui spiccavano le loro flotte, e l'abbandono, in cui era l'isola nostra, che, vasta per estensione, feracissima per natura e posta nel bel mezzo del Tirreno, non poteva non solletticare le brame di conquista e d'espansione, indussero Genova e Pisa ad un'azione concorde contro il forte condottiero Mogehid, Signore di Denia. Questi all'apparire delle forze collegate prese il largo, sottraendosi ad una battaglia di esito non dubbio.

Pisa esultò di questa vittoria, che garantiva il mare interno ai commerci rinnovati e proficui ed offriva un ferace campo, in cui avrebbe trovato facile sfogo la sua gagliarda attività. Caratterizzava allora l'azione di quel giovane popolo di armatori e di mercanti lo slancio alle più alte conquiste. Le galee della fiorente ed ardita repubblica spingevansi sino alle coste dell'Asia Minore e della Grecia, spargendo lungo tutto il Mediterraneo il prestigio delle sue anni e della sua civiltà. Mentre lotte fratricide dilaniavano le altre provincie italiane, Amalfi cedeva alle armi di Pisa; e insieme alla conquista arrise a lei il possesso delle Pandette di