Sole d'estate/Lo stracciaiolo del bosco

Lo stracciaiolo del bosco

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LO STRACCIAIOLO DEL BOSCO

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Finalmente è venuto lo stracciaro del bosco. E diciamo finalmente, perché da tempo si desiderava conoscerlo, e non senza una certa trepida curiosità: non come i bambini, che, per le minacce materne, hanno paura del suo sacco; né come tutti quelli, donne, operai, vecchi e servette, che sentono il bisogno del suo provvido passaggio per i loro acquisti specialmente invernali: ma con la solita scusa della conoscenza con la quale ogni personaggio fuori dell’ordinario può arricchire la nostra esperienza artistica ed anche umana.

Si poteva immaginare questo personaggio come un vecchio vagabondo, con la lunga barba di lana di capra, le scarpe ereditate dall’Ebreo Errante, gli abiti a brandelli: e ci si domandava da qual bosco egli veniva; un bosco senza dubbio lontano, forse di quelli dai quali, del resto, scendono spesso i carbonai coi loro lunghi sacchi neri che alimentano il nostro focolare ancora primitivo: il fatto è che tutti parlavano di lui, [p. 196 modifica] ma pochi lo avevano realmente veduto: e solo la scarna Giannina, la nostra lavandaia, che anche lei si ostinava ad andare a risciacquare i panni al fiume, come le donne antiche, assicurava di conoscerlo in persona.

E forse fu per suggestione di lei che lo stracciaro si spinse fino ai nostri paraggi; e si dice paraggi, perché si stava ancora, nonostante la stagione inoltrata, e sovente pessima, in riva al mare. Le onde agitate arrivavano fino alla duna rinforzata di tamerici che difende il nostro recinto, e s’incanalavano da un lato e dall’altro, in modo che sembrava di trovarsi in cima ad una penisoletta non esente da pericoli di inondazione. Ma era bello, e il rumore continuo del mare destava, fra tutto quel silenzio di luogo disabitato, un senso di dormiveglia piacevole: pareva, infine, di vivere in una casa galleggiante, anzi nella pace romantica di una palafitta; e ad accrescere questa illusione non mancavano i mucchi brillanti dei gusci delle arselle, delle quali, nei momenti di bassa marea, si faceva una pesca straordinaria, convertita subito dopo in manicaretti squisiti ed economici nello stesso tempo.

Tutti i giorni, del resto, verso il tramonto, il cielo si rischiarava, quasi pentito di averci prodigato tante ore di uggia e di monotonia; ad ovest l’orizzonte si [p. 197 modifica] accendeva di bagliori verdi e rossi, e la nostra aia, il pozzo, la tavola di pietra davanti alla casa, ritrovavano la gioia calda dei vesperi d’agosto. In questa luce benevola, per quanto illusoria, un pomeriggio sul tardi apparve il nostro uomo.

Sulle prime lo si credette uno di quei merciai ambulanti che, durante la stagione balneare, percorrono le spiaggie affollate, carichi di robe per lo più di lana che accrescono il sudore solo a vederle: e quindi lo si lasciò penetrare volentieri nel recinto, con la speranza di ripescare dai suoi involti un po’ di calore estivo. Era giovane ancora, alto, dritto nonostante il suo pesante fardello: vestito decentemente di panno scuro, con un cappelluccio nero calcato sopra le grandi orecchie rosse, aveva, nel viso abbronzato e accigliato, due vividi occhi verdognoli che parevano di diaspro. E furono forse questi occhi i primi a rivelare la sua personalità, mentre egli si avanzava nel vialetto d’ingresso, e gli alberi lasciavano cadere intorno a lui le loro foglie gialle, quasi per salutare il suo passaggio. Sì, dovevano venire da un bosco fitto e sempre verde, quegli occhi acuti e animaleschi, abituati a scrutare i recessi più ombrosi ed a scovare da lontano gli oggetti nascosti. Il carico dell’uomo, poi, che consisteva in un sacco legato [p. 198 modifica] con una corda, e le vecchie scatole che lo completavano, non lasciavano più dubbio sulla qualità della sua merce.

Ed era proprio lui: lo stracciaro del bosco.

— Non abbiamo bisogno di niente — dice la serva, pur affacciandosi all’uscio della cucina, con gli occhi lucenti di curiosità e bramosia.

— Che ci avete? — domanda invece la signora padrona, scendendo con dignitosa lentezza gli scalini della porta di casa.

Egli ha già capito che c’è da concludere qualche buon affare, e levandosi il copricapo dai capelli lisci, che hanno il colore delle castagne nuove, aspetta rispettoso gli ordini.

— Posate il sacco su quella tavola.

La parola sacco dà un’aria di spavento al viso già tanto pallido e mobile della serva: è vero che per spaurirla basta che un carbone scoppietti nel fornello, ma questa volta ha capito anche lei di che si tratta e, diciamo pure tutta la verità, una certa sfumatura d’inquietudine fiabesca s’è diffusa nel cuore degli astanti, ed anche nell’atmosfera intorno.

L’uomo abbassa la spalla, e il suo carico strapiomba sulla pietra rotonda della tavola: la pietra è rossa, e d’un tratto s’illumina come un vetro al tramonto: il sole [p. 199 modifica] infatti riluce dietro le siepi della strada, fra squarci di cielo infiammato, e pare un complice del tentatore; poiché l’involto e le scatole prendono subito un altro colore; ed anche la corda, che le dita robuste e insieme agili dello stracciaiolo slegano con sapiente esperienza, ha qualche cosa di vivo, di premuroso, quasi abbia piacere di appagare la nostra curiosità.

Curiosità che però deve frenarsi e pazientare, perché nel sacco, quando i suoi lembi, arrotondati come enormi labbra, si spalancano per insegnarci un’espressione di meraviglia, s’intravvede appena un barlume giallognolo di carta straccia; ma sollevato questo primo velame le sorprese cominciano. Altro che rifiuti e oggettini ritrovati nel bosco!

Qui c’è un bellissimo e rotondo vassoio che fa come da coperchio all’interno del sacco; e che il mercante (oramai è tempo di chiamarlo così) tira fuori e rivolta con abile gesto, agitandolo non forse per liberarlo da qualche granellino di polvere, ma per fargli accogliere il riflesso del sole, come uno specchio per le allodole.

E il vassoio, infatti, desta immediatamente le nostre brame, che d’un tratto, da scettiche e burlesche, diventano serie. Si ha proprio bisogno di un oggetto simile, in casa, [p. 200 modifica] poiché l’unico vassoio che possediamo, oltre quelli fragili di porcellana, è di legno, pseudo giapponese, col ramo di pesco già intaccato dal calore della caffettiera colma. Questo è invece di metallo, liscio, sì, con gli orli appena arricciati: la serva, venuta giù pian piano fino a farsi schiacciare il ventre dal cerchio della tavola, lo ritiene addirittura d’argento: e, suggestionata, io prendo in mano il prezioso oggetto, e lo rivolto cercandone la marca. Invece di questa vedo una piccola sigla, e, già messa in avvertenza dalla leggerezza aerea del vassoio, m’accorgo che esso è ritagliato dal fondo di una latta di acciughe conservate sotto sale. Ma non dico niente; anzi metto da parte l’oggetto, buono in ogni modo per i nostri modesti usi quotidiani.

*

L’uomo non parlava: più che mai dignitoso, quasi tragico, non vantava la sua merce, ma lasciava capire che, se qualcuno si azzardava a disprezzargliela, sarebbe insorto come una bestia che difende i suoi piccoli appena nati.

Ed ecco, tolto il vassoio, egli scosse il [p. 201 modifica] sacco e ne fece scaturire un tintinnio metallico: poi ci guardò dentro e accennò di no con la testa: no, quella roba, sebbene risonante e rilucente, non faceva per noi. Era piuttosto adatta per lo stagnino, che a sua volta ne avrebbe creato recipienti per le massaie di campagna: poiché erano tutti barattoli vuoti, frammenti di tubi, brocche rotte, manici di padelle; e serrature, borchie, uncini; tuttavia il fondo riservava qualche cosa che ancora poteva esserci utile, e l’uomo, dopo aver frugato con cautela, anche per non tagliarsi le dita, trasse un candeliere di ottone, lo spolverò con la manica della giacca, lo depose con gesto trionfante sul vassoio.

Questa volta egli era più che sicuro del fatto suo: autentico, massiccio, con lievi e graziose incisioni, il candeliere conservava ancora, sul labbro del vasetto, lasciatavi apposta, una goccia di cera. Il vassoio lo rifletteva compiacente, con un serpeggiamento dorato: e pareva che i due oggetti si completassero a vicenda, dando anzi, all’angolo della tavola, nel chiarore ultimo del tramonto, un’illusione di altare. [p. 202 modifica]

*

Poi l’uomo richiuse il sacco e mise in mostra le sue scatole: due, erano; una un po’ sgangherata, con lembi di stoffa che straripavano dalla sua apertura; l’altra, più piccola, ben legata da una cinghia. Egli non pareva disposto ad aprire la prima, sebbene fosse quella che più giustificava il mestiere e il nome di lui; ma una timida domanda della serva, che desiderava uno scialletto, sia pure molto usato, e le sembrava di intravederne uno dalla frangia che si affacciava ad un lembo della scatola, lo persuase ad esporre il suo nuovo tesoro. Tesoro invero da poveretti, prezioso per i giorni che si avanzavano mostrando i loro denti di ghiaccio: e qui il mercante credette bene di parlare, finalmente, spiegando come le sue robe non pervenissero dai mondezzai, ma gli erano state vendute, ancora in ottimo stato, nei giorni sereni, da donnette imprevidenti o bisognose, o magari a loro volta rivendugliole. La sua voce era bella, armoniosa; quasi quasi ricordava anch’essa il mormorio del bosco filettato da gorgheggi di uccelli e da cantilene di acque vagabonde. [p. 203 modifica]

— Questa fa per lei — disse, spiegando una sciarpa, verdiccia da un lato e anticamente marrone dall’altro: e anche questi colori, e la lana muschiosa, rammentavano la selva. La ragazza se la misurò e volse la testa a guardarsela di fianco.

— Le sta dipinta: vada a guardarsi nello specchio.

Per far presto, la serva si rimira nel vetro di una finestra, e trova che il suo pallore di bruna risalta sul verde della sciarpa come quello del fungo nella borraccina. E mentre ella contratta con l’uomo, che espone, col suo più seducente sorriso, i denti forti affamati d’amore, e le fa speciali complimenti per imbrogliarla meglio, io rimango a mia volta incantata davanti alla scatola magica. Magica, sì: poiché sollevando un secondo scialle scuro, qua e là bucato dalle tarme, mi sembra di sollevare, come dicono i poeti, un lembo del mio passato. Sotto lo scialle c’è un vestito, di lana, d’un colore indefinito, che tuttavia immediatamente riconosco: anzi è un colore da me sola decifrabile, poiché l’ho combinato io, col fabbricante di maglie che tre anni or sono ha lavorato per me il vestito: ed è un viola scuro, con pagliuzze gialline, che tralucono fra maglia e maglia come vaghi scintillii di stelle nel [p. 204 modifica] fondo di un cielo notturno autunnale. Due inverni il vestito ha preso parte della mia vita, ha conosciuto le mie vicende buone e cattive: per il terzo inverno l’ho pietosamente regalato alla Giannina: che godesse anche lei un po’ di calore e di benessere borghese. E la birbacciona se l’è venduto: forse per comprarsi due etti di caffè: e forse non ha fatto male, poiché la generosa bevanda le ha procurato una breve felicità che il vestito non poteva darle.

*

L’uomo riprese la sua aria diffidente quando si trattò di aprire la seconda scatola: pareva lo facesse mal volentieri, e si guardò attorno prima di decidersi. Ma la serva, soddisfatto il suo desiderio, rientrò in casa, anche per rimirarsi nello specchio, e gli altri si sbandavano qua e là per il recinto. Di me lo stracciaro non poteva diffidare esageratamente; aprì, quindi, sollevò la carta che copriva gli oggetti della scatola: oggetti, a dire il vero, meno interessanti di quelli del sacco. Fra le altre cianfrusaglie, una bambola col naso rattoppato, dormiva, vestita e calzata, con la testa ferma su una [p. 205 modifica] scatoletta di bottoni: mentre l’uomo la sollevava aprì gli occhioni spaventati, e così li tenne, come cosciente di quanto succedeva, mentre egli le traeva dalla gamba, di sotto la calzetta, un piccolo anello di platino, ornato di una pietra di cristallo brillantissimo.

— Questo fa per lei — egli disse, guardandomi le mani nude di anelli e poi fissandomi negli occhi. — Fa proprio per lei, che ha le dita piccole. Lo provi, lo provi.

Oh, che, voleva rifare con me il gioco dello scialletto? Io non toccai l’anello, neppure per curiosità, ma subito mi accorsi che era di valore.

Domando, corrugando anch’io la fronte:

— Com’è in vostre mani?

Questa volta egli risponde con umiltà, dicendo di averlo trovato; io però sento odore di bugia.

— Quest’anello ha un certo valore; si dovrebbe restituire a chi lo ha perduto.

— Eh, sì, e come si fa? — egli ribatte, guardando fisso l’anello: e pare voglia aggiungere: — se si dovesse restituire tutto quello che si trova, come si camperebbe?

— Si va dal parroco, o dal podestà, i più vicini al posto dove si è rinvenuto l’oggetto, ed essi faranno ricerca di chi lo ha smarrito.

Era come predicare al vento: l’uomo [p. 206 modifica] sembrava sordo e sfregava con un dito l’anello lucentissimo. Sollevò di nuovo gli occhi e insisté: — Lo prenda lei: farà un affarone. Può darsi che la pietra sia diamante: eppure io glielo dò per poco.

— No, no.

— Se ne pentirà. È un bell’oggetto, anche da tenersi in casa. Sentiamo, quanto vuole spendere?

— Non lo voglio, anche se me lo regalate — troncai finalmente, burbera: egli capì e rimise l’anello sotto la calzetta della bambola. E la bambola fu giù di nuovo, con gli occhi chiusi, rassegnata a portare lei l’anello alla gamba, come quello di un condannato che sconta la sua pena.

*

E più in là si sentirono notizie di quest’anello. Fu naturalmente la Giannina, a portarle.

— Sa, hanno aggredito il povero stracciaro del bosco: gli hanno preso mille lire che teneva nascoste nella calza, e per di più lo hanno massacrato di botte.

— E lui, come li aveva, questi denari?

— Oh, bella, coi suoi negozi: aveva venduto anche un anello con un diamante vero.