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poiché l’unico vassoio che possediamo, oltre quelli fragili di porcellana, è di legno, pseudo giapponese, col ramo di pesco già intaccato dal calore della caffettiera colma. Questo è invece di metallo, liscio, sì, con gli orli appena arricciati: la serva, venuta giù pian piano fino a farsi schiacciare il ventre dal cerchio della tavola, lo ritiene addirittura d’argento: e, suggestionata, io prendo in mano il prezioso oggetto, e lo rivolto cercandone la marca. Invece di questa vedo una piccola sigla, e, già messa in avvertenza dalla leggerezza aerea del vassoio, m’accorgo che esso è ritagliato dal fondo di una latta di acciughe conservate sotto sale. Ma non dico niente; anzi metto da parte l’oggetto, buono in ogni modo per i nostri modesti usi quotidiani.
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L’uomo non parlava: più che mai dignitoso, quasi tragico, non vantava la sua merce, ma lasciava capire che, se qualcuno si azzardava a disprezzargliela, sarebbe insorto come una bestia che difende i suoi piccoli appena nati.
Ed ecco, tolto il vassoio, egli scosse il