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sacco e ne fece scaturire un tintinnio metallico: poi ci guardò dentro e accennò di no con la testa: no, quella roba, sebbene risonante e rilucente, non faceva per noi. Era piuttosto adatta per lo stagnino, che a sua volta ne avrebbe creato recipienti per le massaie di campagna: poiché erano tutti barattoli vuoti, frammenti di tubi, brocche rotte, manici di padelle; e serrature, borchie, uncini; tuttavia il fondo riservava qualche cosa che ancora poteva esserci utile, e l’uomo, dopo aver frugato con cautela, anche per non tagliarsi le dita, trasse un candeliere di ottone, lo spolverò con la manica della giacca, lo depose con gesto trionfante sul vassoio.

Questa volta egli era più che sicuro del fatto suo: autentico, massiccio, con lievi e graziose incisioni, il candeliere conservava ancora, sul labbro del vasetto, lasciatavi apposta, una goccia di cera. Il vassoio lo rifletteva compiacente, con un serpeggiamento dorato: e pareva che i due oggetti si completassero a vicenda, dando anzi, all’angolo della tavola, nel chiarore ultimo del tramonto, un’illusione di altare.