Signorine povere/Terza parte/VII

VII

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Terza parte - VI

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VII.

Faustino Belli non aveva mai cessato di scrivere a Maria dopo il loro ultimo colloquio, sebbene ella non gli rispondesse. Le sue lettere erano lunghe, appassionate, suggestive. Da quelle frasi concitate traspariva a volte una vera angoscia, una disperazione che egli non sapeva più nascondere. Pareva uno che ha giuocato la sua ultima carta, e se perde, perde tutto. Certo quella combinazione così abilmente preparata, quella combinazione che doveva dargli in un colpo solo l’agiatezza e la felicità, doveva costargli lunghe meditazioni e fatiche, agitazioni ed anche qualche sacrifizio di denaro. Se non riesciva, chi sa quando mai gli si presenterebbe un’occasione simile. Ogni rinvio è pericoloso quando la giornata volge a sera.

Una battaglia perduta a trent’anni può darci nuove forze e ammaestramenti che facilitano la rivincita; ma a quarantacinque è più probabile che sia il principio della disfatta. Dove trovare l’energia, il vigore e le circostanze favorevoli per rifarsi da capo? Egli aveva preparato così bene il suo giuoco, prevedendo di lunga mano [p. 411 modifica]ogni ostacolo e il modo di vincerlo o di scansarlo. E il suo lavoro audace, condotto con tanta pertinacia, era annientato da una ostinazione, di fanciulla: da un sentimento incomprensibile per lui, o da un orgoglio, che egli giudicava sciocchezza e capriccio. Non poteva rassegnarsi.

In agosto, esasperato dall’ostinato silenzio di Maria, le scrisse che voleva parlarle, chiedendole, quasi imponendole, un abboccamento.

Ella gli rispose allora, poche righe fredde, mantenendo il rifiuto, dichiarando inutile il colloquio. „Qualunque cosa ella mi avesse a dire, io non cambierò. Non nutro per lei i sentiti menti necessari alla felicità di un matrimonio: ogni insistenza sarebbe vana.“

Egli arse di collera. Dunque persisteva quella capricciosa? Dunque non voleva capire. Era troppo.

Incapace di assistere neghittoso alla propria rovina, pensando che se lasciava trascorrere quelle ultime settimane, ogni sforzo sarebbe poi stato inutile, volle fare ancora un tentativo.

Uno di quei giorni, dopo la partenza di Lucia Gerletti, la Bergamini pregò Maria d’insegnarle il punto di una certa trina ad ago a cui ella stava lavorando per il corredo di Angelica.

— Ma venga su — le disse. — Da loro c’è sempre troppa gente adesso, e tutti parlano; non si capisce nulla. [p. 412 modifica]

Per non essere scortese, Maria acconsentì, quantunque la compagnia della Bergamini non le garbasse affatto.

Promise di andarvi dopo le tre, ritornando da una lezione particolare che ella aveva accettato per il tempo delle vacanze. Arrivata a casa si riposò alcuni momenti; prese poi il suo lavoro e disse all’Antonietta:

— Vado su per quella seccatura del ricamo. Chi sa quante chiacchiere mi farà quella donna.

— Vuoi che li venga a prendere da qui a un’ora con un pretesto?

— È inutile. Se non avesse finito d’imparare, mi toccherebbe ritornare un altro giorno.

La Bergamini l’accolse con i solili complimenti, che Maria non poteva soffrire.

— Facciamo presto, signora Zoe, perchè in questi giorni, col corredo di Angelica da preparare, abbiamo poco tempo.

Si misero subito al lavoro.

Da lì a dieci minuti la fantesca annunziò il cavalier Faustino Belli.

Maria diede un’occhiata di fuoco alla Zoe e si alzò per andarsene.

— Già che ella ha visite, ritornerò un altro giorno....

— Ma no: le pare? Il cavaliere se ne avrebbe a male...

Il Belli entrò. La Bergamini uscì inavvertita.

— O Maria, non faccia così! Non posso [p. 413 modifica]credere che mi voglia tanto male... Via, mi conceda almeno due parole.

— È inutile.

Egli le prese una mano e la obbligò a rimettersi a sedere.

— Siamo qui, in casa d’altri... di che teme?... Non mi faccia di questi affronti.

— Dica che non mi ha teso un tranello, se ha coraggio!... — E lo guardava fìsso con i suoi occhi limpidi e penetranti.

— Oh! un tranello!... Perchè parla così?... Ho saputo dal portinaio che ella era qui... e sono... salito...

— Quante menzogne... Mi fa pietà.

— Vorrei fosse vero! Vorrei che aveste veramente pietà di me... Maria, siate buona, lasciatevi commuovere... dite di sì... Vi prego... Qui ai vostri piedi...

— Io voglio essere rispettata. Via! Mi lasci.

— No, finchè non avrai acconsentito a divenire mia moglie.

—.Saprei morire piuttosto.

— O Maria, Maria, guarda come parli. Non farmi impazzire... Guai a te! Pensaci.

Ella vide allora in quel volto così bello, di una dolcezza così affascinante, ella vide l’espressione cattiva, quasi feroce, che già conosceva, e un tremito l’assalse.

— Tu tremi? Vuol dire che hai paura, che ti senti debole. Non ribellarti. La debolezza è [p. 414 modifica]divina nella donna. Oh! se tu volessi rassegnarti alla tua naturale debolezza e appoggiarti alla mia forza. Se tu volessi!...

Ella si riscosse con un impeto repentino. La angoscia occulta, lungamente compressa, la dominò: le lagrime sgorgarono dai suoi occhi: e le parole, ch’ella non avrebbe mai creduto di proferire davanti a quell’uomo, uscirono con violenza dalle sue labbra.

— Sì, vi fu un tempo in cui sognai di appoggiarmi a voi, nobile e forte, quale vi credevo; e desiderai di vivere la mia vita all’ombra della vostra gloria, come una bambina umile e confidente.

— O Maria... angelo... Fa che ritorni quel tempo... e io bacierò la terra che tu calpesti...

— I morti non ritornano. Il mio sogno è morto: voi l’avete ucciso... L’avete ucciso a colpi lenti, ripetuti, crudeli, in una lunga agonia; cominciando dalla prima lettera che mi avete scritta. Un veleno sottile è penetrato nel mio sangue e nel mio cuore con quella prima lettera; ma non vi bastò: avete voluto colpirmi a morte, mostrandomi tutto il vostro egoismo, tutta la vostra mala fede. Ora è finita; nulla mi può commuovere: la mia vita è spezzata.

Faustino Belli la guardava immobile, quasi terrorizzato da quello scoppio inatteso. Cieco, pazzo, miserabile, quale paradiso aveva egli perduto!... [p. 415 modifica]

Ella riprese ancora, come parlando a sè stessa:

— Eppure sarebbe stato così facile per voi ricuperare la mia fede, riconquistare il mio cuore: solo che aveste indotto mio padre a lasciare a mio zio Leonardo il danaro che destinava a me... Consigliato da voi, egli l’avrebbe fatto... ed io avrei ammirato la vostra generosità, ed il mio cuore riconoscente sarebbe ritornato al suo primo ideale affetto, per non allontanarsene mai più... Voi invece... oh! non parliamo di quello che voi avete fatto... È troppo orribile, troppo indegno... Basta. E inutile ritornare su questo argomento.

Ella si alzò.

Fino a quel momento Faustino Belli era rimasto sotto il terribile incanto di quella disperata ed involontaria confessione. E i più dolci sogni della giovinezza erano rifioriti improvvisamente nella sua anima inaridita dall’egoismo, come fioriscono al sol di maggio, su i brulli rami delle siepi, i fiori odorosi e fragili del biancospino. Ma vedendo che Maria gli sfuggiva e che tutto era perduto, egli soffocò i dolci sogni, tornando quasi senza transazione allo stato abituale del suo animo avido di trionfo e di godimenti materiali.

— Ella mi ha sempre amato — pensò. — Dunque, devo vincerla.

E voleva gittarsi su lei, inebbriarla dei suoi [p. 416 modifica]baci, sedurla o soggiogarla. Non ne ebbe il tempo. Non si era ancora mosso che già Maria traversava l’anticamera, dove la Bergamini le si fece incontro premurosa e un po’ spaventata.

— Come? Se ne va?... Cosa è successo?

— Nulla. È tardi.

E senz’altro, infilò l’uscita e scese le scale.


Un mese dopo, essendo compito l’anno dalla morte di suo padre, Maria scrisse a suo fratello Giorgio Cantelli: ella aveva mantenuto la promessa: Faustino Belli era fuori di combattimento; il patrimonio del banchiere Cantelli rimaneva intatto agli eredi legittimi. Ora ella aspettava che essi mantenessero la promessa fatta a lei, mandandole le cinquantamila lire.

— Vedremo — diceva Antonietta. — Vedremo che gente sono questi signori Cantelli. Se almeno fossero gente onesta!

La risposta si fece attendere. Arrivò finalmente dopo quindici giorni, fallace e quasi irrisoria.

Invece di Giorgio scriveva Ercole, l’altro fratello. Si dichiarava grato e riconoscente: Maria peraltro doveva convenire che quel sacrificio non lo aveva fatto per loro. Se Faustino le fosse piaciuto, se non avesse amato un altro... (le belle ragazze hanno buon cuore e preferiscono sempre il giovane povero all’uomo maturo anche [p. 417 modifica]se coperto d’oro)... non si sarebbe lasciata sfuggire quella fortuna. In ogni modo, Giorgio le aveva fatto una promessa imprudente, eccessiva: egli non poteva sanzionarla. A meno che Giorgio pagasse del proprio... ma aveva tanti figliuoli anche lui; e fatto Pinventario risultava l’eredità minore assai e carica di pesi.

Per farla breve, per non mostrarsi scortese, le mandava una somma che poteva rappresentare una discreta dote per una maestra... in Italia. Diecimila franchi non erano da disprezzarsi. Le univa la tratta sulla Banca dei signori Pisa. Avesse la compiacenza di mandargliene la ricevuta a volta di corriere.

— Fortuna che non ho mai sperato! — pensò Maria con un amaro sorriso. — Povera maestra italiana! Diecimila franchi non mi faranno ricca, ma forse, un giorno, mi impediranno di morire di fame.


Il matrimonio di Angelica fu celebrato senza pompa al principio di settembre, e i due sposi andarono a passare i primi mesi in campagna.

Nel frattempo la Galleria Popolare istituita da Paolo Venturi e le relative conferenze portarono molte distrazioni e occupazioni agli amici suoi. Tutti i giorni i Valmeroni andavano con lui a dirigere la collocazione dei quadri, delle [p. 418 modifica]stampe e dei gessi, che egli aveva acquistati con molto criterio e buon gusto. Leonardo era felice di potersi occupare così; e la sua esperienza e le svariate cognizioni che possedeva tornavano utili all’impresa. In una grande sala avevano disposto, in ordine cronologico, una bella raccolta di copie, dipinte da buoni esecutori, dei quadri più celebri che figuravano nei principali musei italiani. Di quelli che si trovano all’estero, Venturi aveva acquistate molte stampe e fotografie. I quadri originali, circa un centinaio, erano riuniti in due sale a parte.

I gessi rappresentavano le statue più famose dell’Antichità e della Rinascenza. Quadri e statue avevano grandi cartelli che dicevano il titolo dell’opera e il nome dell’artista, indicando il tempo in cui egli era vissuto e i titoli delle sue opere principali. La prima domenica d’ottobre Leonardo tenne la sua prima conferenza ed ebbe un vero successo.

I suoi figliuoli non l'avevano mai visto così contento.

— Col tempo — diceva Paolo — penseremo anche all’arte moderna, ma bisogna andare adagio. Intanto vedete già come vi s’interessano questi uomini del popolo? E anche le donne: avete visto quella vecchia come piangeva quando Leonardo descrisse la morte di Raffaello? Vi dico che vi sono tesori di entusiasmo e di tenerezza in queste anime neglette. Tutto sta [p. 419 modifica]l’offrir loro la possibilità di riconoscersi e l’occasione di manifestarsi.

Un giorno egli chiese a Maria:

— Quando farete la vostra conferenza sulle poetesse?

— Mi preparo. Poi ne voglio fare una sulle romanziere inconsapevoli, tormentate dal bisogno d’inventare: trascinate a mentire da una esuberanza morbosa di fantasia. Ne ho qualcuna tra le mie scolarine.

— Brava!... Ah! se voi poteste indurre Antonietta a far qualche cosa!

Maria sospirò. Le pareva una cosa troppo difficile.

— È sempre fissa nell’idea di morire — mormorò rabbrividendo.

— Lo so. E tuttavia non bisogna disperare. L’altro giorno le parlai di un libro per il popolo, semplice e istruttivo: „Dovreste scriverlo voi — le dicevo. — Io lo farei pubblicare a migliaia di esemplari. Bisogna lavorare, soggiunsi per trascinarla a seguire il mio pensiero: lavorare per impiegare le nostre forze, per vivere completamente e compiere in noi stessi tutta l’evoluzione di cui siamo capaci; nel medesimo tempo bisogna che il nostro lavoro sia tale da aiutare i derelitti, i negletti, le vittime dell’ignoranza a uscire dalle tenebre in cui brancolano, a camminare con noi verso la stessa meta“. Ebbene, Maria, io vidi i suoi occhi [p. 420 modifica]sfavillare, tutto il suo volto animarsi mentre ascoltava le mie parole; pareva che mi dovesse rispondere con entusiasmo, invece dopo un momento si accasciò e mi rispose con la solita tristezza che lei era finita e non poteva far nulla. La fissazione l’aveva ripresa. Ma noi dobbiamo insistere e aiutarla a combattere contro se stessa. Il nostro entusiasmo per l’opera incominciata deve essere tanto grande da trasfondersi in lei naturalmente. Io ho fede in questa suggestione.

Maria gli strinse la mano commossa e si separarono.

Nelle vaste possessioni di Paolo Venturi, come nel piccolo fondo dei Valmeroni, la nuova opera progrediva alacremente. Si fabbricavano le nuove abitazioni dei contadini, comode, pulite, ariose. E i contadini guardavano con meraviglia e simpatia l’inatteso cambiamento. Non provavano — contrariamente al costume della gente di campagna — alcuna diffidenza di fronte a quelle novità, perchè da lunghi anni conoscevano i loro padroni e li amavano per una infinita serie di benefizi. E sapevano che entrando in quelle case tutto il loro stato doveva mutare: non più servi, bensì cooperatori.

La domenica, Riccardo andava fuori, a volte solo, a volte con Paolo e s’intrattenevano con i capi delle famiglie, con le donne, coi giovani, su i miglioramenti d’ogni genere, su i concimi chimici — già tanto avversati — su le diverse [p. 421 modifica]macchine agricole che si andavano introducendo.

Quasi tutte le settimane Paolo o Riccardo, o tutti e due insieme riunivano i lavoratori in una sala della casa padronale, per intrattenerli su tutte le cose pratiche e necessarie alla vita, che la povera gente della campagna ignora perchè nessuno gliene ha mai parlato. A volte trattavano della pulitezza delle nuove abitazioni, impartendo le necessarie istruzioni perchè quella pulitezza durasse. Oppure parlavano del rispetto che ciascuno di noi deve agli altri, e innanzi tutto, a se stesso; e spiegavano le più elementari ed importanti regole dell’igiene.

Maria, a sua volta, riuniva intorno a sè le donne e le fanciulle e ad esse parlava pure della casa e dei bimbi, combattendo i loro pregiudizi senza asprezza, istillando nell’ animo delle madri il desiderio di vedere i loro figliuoli sani, puliti e decentemente vestiti: di mandarli alla scuola per farli diventare lavoratori intelligenti, abili e degni di essere ben rimunerati.

Non di rado Antonietta si trovava presente a quelle umili conferenze, ed ella pure discorreva con le buone donne, con le bimbe e i fanciulli. I suoi grandi occhi neri brillavano allora di luce insolita, e i suoi lineamenti delicati manifestavano l’interna commozione.

Altre volte ella si rifiutava d’accompagnare la piccola comitiva nelle periodiche gite per [p. 422 modifica]restarsene sola nella sua camera, per rituffarsi nel suo dolore e invocare la morte che non veniva. Ma sue padre non le permetteva di restar sola. La obbligava a seguirlo nella Galleria popolare, ad assistere alle sue lezioni e alle spiegazioni di ogni singolo quadro che egli faceva al suo attento uditorio. E là nuove emozioni richiamavano il cuore sventurato alla vita nuova.

Era trascorso un anno dalla morte d’Isidoro, e Antonietta, che aveva creduto di raggiungerlo prima di quel termine, doveva riconoscere che la vita esteriore — una vita affatto diversa da quella in cui ella riponeva, un tempo, ogni speranza di gioia — aveva per lei nuovi incanti e un fascino inaspettato. Pensare, lavorare, darsi tutta alla propaganda di un principio che le appariva di giorno in giorno più vasto e più bello: aiutare le vittime dell’ignoranza a uscire dalle tenebre, aprire i loro occhi alla luce del pensiero, essere lei stessa, lei derelitta, lei che la morte aveva rifiutata, essere tra i combattenti in prima linea, tra i pionieri che aprono la nuova strada all’umanità, ecco ciò che la vita le offriva ancora, ecco l’incanto supremo che aveva la forza di legarla nuovamente alla terra.

Doveva ella resistere? Doveva strapparsi a quel nuovo incanto? Rinunciare al bene che poteva ancora fare nella vita con le sue forze giovani, con la sua energia rinnovata?... Non era assurdo? Non era forse un nuovo delitto? [p. 423 modifica]

Ma Isidoro era ben morto per lei! Pieno di vita, di speranze, di avvenire, ella lo aveva spinto alla morte, col suo atto impulsivo, ispirato da una disperazione nella quale c’era forse più orgoglio che amore. Aveva ella diritto divivere? Aveva ella diritto di aspirare alle altezze verso cui la portava, come un soffio primaverile, la nobile iniziativa di Paolo Venturi?

Terribile fu la lotta, ma non lunga.

Una sera, ritornata dalla campagna, dove aveva assistito a una conferenza di Paolo, con Riccardo e con Maria, ella disse a quest’ultima, accompagnando le parole con un malinconico sorriso:

— La morte non mi vuole; verrà forse quando non la vorrò, e sarà l’espiazione finale. Non importa. Intanto voglio vivere come ha detto Paolo che si deve vivere: per combattere e per amare e per sostenere e diffondere con tutte le nostre forze la verità in cui crediamo. Stasera comincierò il libro che egli mi ha ordinato.

Maria la serrò al cuore e lagrime di tenerezza irrigarono i due bei visi giovani, che una nuova speranza illuminava.


La seguente primavera trovò molte novità nei vasti possedimenti del Venturi e nel piccolo fondo dei Valmeroni. Le case nuove erano pronte e i contadini vi dovevano entrare il primo di [p. 424 modifica]maggio. I terreni trattati secondo le più recenti scoperte scientifiche promettevano un abbondante raccolto. Ben nutriti e vestiti con decenza, i contadini avevano il viso allegro e una certa aria dignitosa e grave di gente che pensa e si rende conto del proprio stato.

E ciò non li allontanava dal lavoro, anzi non avevano mai lavorato con tanto zelo, perchè sapevano che non tutto il frutto delle loro fatiche sarebbe andato nelle casse del padrone e in quelle dei fittabili, bensì anche nelle loro. Di fittabili intanto non ve n’erano più. Paolo dirigeva tutto da sè aiutato da Riccardo; e poichè i contadini avevano tutto l'interesse a lavorare molto e bene, non c’era alcun bisogno di sorvegliarli. Non si trattava di una mezzadria; i lavoratori avevano un salario fisso, abbastanza rimunerativo; alla fine dell’anno poi, detratte dalle vendite le spese delle piccole migliorie e le altre spese usuali, il rimanente doveva essere diviso in due parti uguali tra il padrone e i lavoratori.

Il padrone per altro aveva a suo carico tutte le grandi spese per acquisti di macchine, concimi chimici, costruzione delle case (le quali dovevano essere provviste di tutte le comodità necessarie al vivere civile) e manutenzione delle medesime.

Con questo, Paolo Venturi non intendeva di aver rinnovato la società, e neppure di avere [p. 425 modifica]trovata e indicata la via diritta per arrivare alla desiderata rigenerazione. Egli sapeva bene che il proletario deve redimersi con le proprie forze. Il suo primo pensiero era di redimere se stesso dalla vita oziosa e volgare che tanto facilmente travolge i giovani ricchi: e dall’istintivo egoismo delle passioni. Salire egli voleva verso un ideale umano di bontà e di elezione vagheggiato forse con tanto maggiore ardore quanto più lo pungeva la cieca ingiustizia della natura che gli aveva negata la bellezza delle forme. Così l’indirizzo altruistico era diventato un bisogno del suo spirito e l’amore per Antonietta un culto ideale della bellezza. Salvare dalla disperazione la donna tanto amata, offrendole — non già il suo amore, ciò che gli sarebbe parso ridicolo — bensì una ragione grande e bella di amare ancora la vita e un mezzo di occupare degnamente e piacevolmente tutte le sue facoltà; e starle al fianco guidandola e incoraggiandola nell’arduo cammino. Questo lo scopo supremo di ogni sua azione; ma non già l’unico. Il bisogno d’estrinsecare le proprie forze in effetti benefici per la maggior parte degli uomini lo urgeva con altrettanta assiduità.


Per attendere alle nuove occupazioni, Riccardo aveva lasciato il suo impiego presso il negoziante di legnami, e Paolo gli aveva fissato [p. 426 modifica]uno stipendio equivalente. — Non un soldo di più! — come aveva detto Riccardo.

La nuova vita rispondeva ai gusti del giovane Valmeroni, come la grande attività era utile al suo corpo e al suo spirito, ma gli piaceva di essere pagato poco per conservare una certa indipendenza che gli permettesse di occuparsi anche del suo fondo a Malgrate, ed anche perchè il suo stipendio non pesasse troppo sul dividendo dei lavoratori. La campagna formava il miglior contorno alla sua bellezza virile. A vederlo girare pei campi, svelto e diritto, l’aria marziale, il bel viso dal profilo fidiaco, la fresca bocca ornata di folti baffi neri, gli occhi profondi e pensosi, pareva un antico, uno di quei valorosi primitivi che dividevano la loro vita fra le battaglie e ragricoltura. Ma la luce che brillava nei suoi occhi rivelava l’uomo moderno, dall’intelligenza raffinata, dalla coscienza evoluta. Nulla d’impulsivo in lui, nulla d’incerto e d’incosciente. Egli era riuscito finalmente a dominare ogni impulso contrario all’ideale dell’uomo moderno cosciente ed evoluto; e saliva l’erta faticosa a testa alta, convinto e fiducioso.

Quando Maria era al suo fianco egli sentiva che la più intensa felicità umana aleggiava sopra il suo capo e che l’avrebbe raggiunta; ma non era più il fanciullo impaziente di un tempo, capace di sciuparla per troppo ardore. Sapeva d’altronde che la sua felicità, per quanto grande, [p. 427 modifica]avrebbe avuto un’ombra, come tutte le gioie individuali; poichè, veramente, pure e complete, non possono essere altro che le gioie universali derivanti da un bene comune a tutti gli uomini. Nel suo caso l’ombra veniva specialmente dalle lagrime di Antonietta, dall’intima irrimediabile infelicità di Paolo.

Se non avesse amato tanto Maria, avrebbe voluto rimanere senza amore tutta la vita per essere pari a loro, per non offenderli con lo spettacolo di una felicità ad essi — per diverse ragioni — forse inesorabilmente negata. Amando come amava, il sacrificio gli appariva impossibile; pure trovava la forza di tacere ancora, di attendere.

Dal suo canto, Maria non l’incoraggiava a parlare. Sapeva bene che entrando in qualche spiegazione, ella avrebbe dovuto parlare ancora di Faustino Belli e questo pensiero bastava a toglierle ogni coraggio. Sapeva che Riccardo l’amava sempre; sapeva che se ella doveva amare ancora, l’amato non poteva essere che Riccardo; ma l’amore le faceva paura; e più dolce dell’amore, le pareva, nel suo stato doloroso, quell*limone forte e pura che li stringeva nell’operosità collettiva. Tuttavia, una sera d’inverno, mentre ritornavano soli dalla campagna, con un treno in ritardo, in un vagone vuoto, Riccardo si era permesso un’allusione ai sentimenti che lo martoriavano. [p. 428 modifica]

Era quello il tempo in cui Antonietta soffriva ancora atrocemente; e Maria rispose al delicato accenno con la più grande semplicità:

— Essere felici, mentre tua sorella aspetta e invoca la morte? Non dobbiamo neppur pensarci. — Egli non replicò.

Ma una sera d’aprile, si ritrovarono ancora soli. Antonietta era rimasta a casa per scrivere l’ultimo capitolo del suo libro; Paolo era ritornato a Milano col treno delle quattro per assistere Leonardo nelle spiegazioni dei quadri, non potendo egli bastare alla gente che affluiva tutte le domeniche, sempre più numerosa.

Invece della ferrovia, i due giovani avevano preso un tram che passava per le campagne di Paolo Venturi, ed era per ciò più comodo. Pochi viaggiatori su quella linea a quell’ora. Nella vettura di prima classe essi soli montarono.

Da principio parlarono della loro giornata operosa, dei contadini, di certi fanciulli singolarmente svegli e vogliosi di apprendere. Questo argomento parve improvvisamente esaurito, e tacquero entrambi.

Il piccolo convoglio andava lentamente: la campagna nera, silenziosa, fredda, coperta qua e là di neve, pareva morta. La primavera era in ritardo quell’anno.

I due giovani guardavano traverso i vetri la malinconica pianura, pensando a tutt’altro. Riccardo ruppe il silenzio. [p. 429 modifica]

— Hai visto quei due sposi stamane?

— Sì. Ebbene?

— Quando arriverà il nostro giorno?

— Non sai dunque che l’amore mi fa paura più di qualunque sofferenza? Non sai cosa voglia dire avere amato un vilfe, un indegno?

— So tutto, Maria.

— Tutto? No. Voglio raccontarti.

Ed ella raccontò dal principio alla fine il suo triste romanzo di fanciulla: come aveva amato Faustino, come la diffidenza era entrata nel suo cuore, come un giorno lui, Riccardo, stringendola fra le sue braccia, le avesse appreso a diffidare anche di sè stessa: come il suo cuore fosse ritornato quasi per ragionamento a Faustino che intanto le preparava la più amara delusione. E raccontò pure tutto l’intrigo delle trecentomila lire; e le astuzie e le ipocrisie a cui quell’uomo non si era vergognato di ricorrere, nella speranza di vincerla: vale a dire di non perdere l’eredità.

— Dunque — esclamò Riccardo — tu potevi essere ricca?

— Sì: sposando il cavalier Belli.

— E hai rifiutato. Non sei soddisfatta della tua forza di resistenza?

— No. Ho sofferto troppo. E poi quel demone mi aveva instillato il suo veleno, e mio malgrado pensavo che l’amore senza la ricchezza, senza un contorno di lusso, di eleganza, di squisitezza [p. 430 modifica]in tutto, fosse condannato a languire, a dissolversi nelle volgarità della vita. Ora il contatto con questa povera gente, che serba in mezzo a tante privazioni saldi e possenti affetti, mi ha risanata. Ma non basta; mi sento sempre inferiore a te.

— Inferiore a me?... No, Maria. Io ti conosco meglio. Io ti so nobile e buona: ti sento pura e incapace di fallire. Non basta? Che vuoi di più?

Trasportato da una tenerezza indomabile, egli la serrò tra le sue braccia vigorose, capaci di sollevarla e di portarsela via come una bambina.

Maria non lo respinse. Non era egli il suo compagno d’infanzia, l’amico della sua adolescenza, il primo e il solo uomo che l’aveva baciata destando nelle sue fibre le prime dolci sensazioni dell’amore?

Il suo destino, la sua vita era in lui. Invano si era ribellata; invano aveva creduto ad altri sogni. Egli aveva aspettato che ella ritornasse a lui, fiducioso e sereno: egli solo l’aveva amata.

Un pensiero doloroso la strappò a quella dolcezza.

— E Paolo, e Antonietta, non soffriranno troppo avendo sotto gli occhi la nostra felicità?

— No, Maria, rassicurati. Soffrirebbero piuttosto se sapessero questo tuo pensiero. Paolo è grande, io lo conosco adesso profondamente, e Antonietta attende con desiderio la nostra unione. E poi, tu pensi bene che noi non ci chiuderemo egoisticamente nel nostro amore? [p. 431 modifica]

— No, certo!

— Sai che continueremo la medesima vita, proseguendo la stessa opera di propaganda e di risveglio d’accordo con Paolo e con Antonietta e insieme con essi?

— Lo so e lo desidero.

— E allora di che temi? Più intenso sarà il nostro lavoro per il bene collettivo dei nostri fratelli, quando l’amore contrastato non ci tormenterà più; e quanto più saremo felici noi tanto più sentiremo il desiderio di combattere il dolore, di diffondere la gioia. Io ho sempre inteso così l’amore, e non potrei amarti se tu pensassi diversamente.

— Il tuo pensiero è il mio pensiero: il tuo sentimento è il sentimento che mi ha redenta: perciò ti amo.

Con queste parole ella abbandonò la sua mano in quella del giovine e le loro labbra si unirono.



FINE.