Sermoni giovanili inediti/Sermone XXII

Sermone XXII. La Povera infanzia

../Sermone XXI ../Sermone XXIII IncludiIntestazione 27 febbraio 2023 100% Da definire

Sermone XXI Sermone XXIII
[p. 179 modifica]

SERMONE VENTESIMOSECONDO.


LA POVERA INFANZIA.




S’è ver che il mondo peggiorando invecchi,
     Di chi la colpa, il danno e la vergogna?
     Quale il rimedio, la speranza e l’opra?
     E pur rinasce e di novelle forme
     5Quasi di giorno in giorno si rinnova
     L’antico mondo; e noi vinti dagli anni,
     O da fortuna, andiamo a poco a poco
     Cedendo il passo a’ semplici fanciulli,
     Che del futuro popolo la sorte
     10Avversa o lieta crescon preparando,
     Quale maturi il frutto, onde si getti
     In essi il seme avvelenato e guasto,
     Eletto e puro, con amor nudrito
     O per malizia ed ignoranza a vile
     15Tenuto. Noi delle non brevi offese,
     Ma degne troppo pei codardi sonni
     E le non degne prove, ancora fatti

[p. 180 modifica]

     Dunque non siam del nostro meglio accorti;
     O di giustizia e caritade e pace,
     20A salvezza comune, un nome giova
     Che mormori coll’aure e si dilegui?
     O gente vana, cupida e superba,
     Di te non taccio, onde la mente è chiusa
     Alla parola del Signor, che disse:
     25A me venire i pargoli lasciate,
     Non gl’impedite; chè il regno di Dio
     È di cotali. In veritade il regno
     Di Dio si nega a te, che nol ricevi
     Come gli eletti pargoli, che bieca
     30Guardi e non curi o disdegnando cacci.
Nell’innocente pargolo saluta
     L’uomo che sorge, e a venerare in esso
     L’immagine di Dio per tempo apprendi.
     Deh non l’offuschi di maligno fiato
     35Il soffio impuro! L’anima digiuna,
     Allorchè spunta della vita l’alba,
     Impazïente ed avida ricerca
     E in sè raccoglie e nutricando serba
     I primi germi delle prime idee,
     40A un lieve suono che lambisca e taccia,
     A un guardo appena che baleni e passi.
     Così nel molle e docile metallo
     Stampi l’impronta, che poi salda dura
     Contro l’ala del tempo. Io l’opra imito
     45Di chi la fuggitiva onda raccoglie
     In traforato vaglio, allor che sudo
     A discacciar con limpida sorgente
     Quei, che l’intatto vaso un dì beendo
     Da corrotto liquore, intorno spande
     50Ingrati effluvii. Rancide sentenze,
     E inopportune alla ritrosa turba

[p. 181 modifica]

     Forse ricordo? Sì, rancide sono,
     Ma necessarie; e ognor nove saranno,
     Finchè del vero al sacrosanto raggio
     55È freddo il core o l’intelletto è cieco.
O dalla nebbia dell’errore ingombra
     Erra la mente stolida e confusa,
     O il meglio vede, e sempre al peggio inchina.
     Se ciò non fosse, ditemi per Dio,
     60Veder potreste con asciutto viso
     Qual dell’infanzia misera e deserta
     Governo faccia la negletta plebe,
     Ignara e stolta ed a ferina tempra
     Per voi cresciuta? Là nel fango immondo
     65I poverelli giacciono travolti;
     E da quel fango livida e sparuta
     Esce vagando una procace schiera
     Di fanciulletti, ad ozïose e ladre
     Mendiche usanze in poco d’ora avvezza.
     70Questa è la scala onde si scende a furia
     Nel cupo delle luride taverne,
     O pur si sale fin dove il capestro
     Col pravo ingegno in un tronchi la vita.
Cessin le infauste larve. Abbia il pusillo
     75Sordo l’orecchio alla canzone oscena;
     Nè snodi inconsapevole la lingua
     A proferire bestemmiando il nome
     Dell’ignorato padre. Oh sappia, oh sappia
     Il tapinello, che ne’ cieli ha un Padre,
     80E che nel basso loco ove raminghi
     Erriamo in bando, siam tutti fratelli,
     Esuli tutti, solitari ed egri
     S’Ei ne abbandona, onde s’implora il regno
     Di veritade, di giustizia e amore;
     85E il pan si chiede della vita nostra,

[p. 182 modifica]

     Che più del corpo l’anima ristori.
È chi presume, se non menta al vero,
     Più de’ pusilli credulo, che basti
     Di fioche voci un flebile concento
     90Le infauste a dissipar larve, che mille
     Acerbi ed empi e scellerati fatti,
     A vituperio dell’umana razza,
     Ricordano alla mente inorridita?
     Umana razza no, razza di bruti,
     95E peggio ancora. Di men fosche tinte
     Or si colori la dolente scena,
     Che troppo a lagrimar gli occhi ne sforza.
Fa’ che la madre povera e solinga
     Con amorosa cura intenda e vegli
     100Al fanciullin che sorridendo a novo
     Riso la invita. Fa’ che a lei si doni
     Di faticar nel tacito tugurio
     Da mane a sera alla conocchia, all’ago
     Od alla spola. La difficil arte,
     105Educatrice dell’umana stirpe,
     Mal nota è spesso al fior delle gentili
     Sagge matrone dell’affetto accese,
     Che tanto apprende e pure inganna tanto!
     E di quell’arte non sarà maestra
     110La femminella di fole pasciuta,
     Se non dal tedio vinta o dalla fame,
     Spesso divisa da contrari uffici,
     O dalle spine lacerata i fianchi,
     Che il malnato compagno, anzi nemico,
     115Del serto nuzïal recale in cambio.
Io non dirò, che alla giocosa prole
     Irrequïeta, garrula e molesta
     Colle carezze le percosse alterni,
     Come l’usanza vuol; benchè l’usanza

[p. 183 modifica]

     120Molle si accusi, e degli andati tempi,
     Da chi lo sguardo ad una cerchia serra,
     Il rigido costume ancor si lodi.
     Io non dirò, che a lei misera incolga,
     Quando ritorni alla lugubre stanza
     125Col pan sudato (ahi vista) il figlio, il figlio
     Arso veder dalle voraci fiamme!
     Nè invan lo chiami dall’onde sepolto,
     O forse ucciso da ferrata zampa,
     O stritolato da rote correnti.
     130Nè pur dirò quante la morte mieta
     Vite novelle là negli antri bui,
     Dove un armento squallido s’intana;
     O quanto morte sia quasi crudele
     Nella pietade allor ch’altre ne serba,
     135Pria che mature già logore e stanche,
     A miserande prove, onde un retaggio
     Orribile di mali si propaga.
Qui, qui venite, o pargoli redenti
     Dal Signor nostro, voi che prima e cara
     140Siete delizia delle sue pupille.
     Qui con devoto giubilo l’eterna
     Gloria di lui cantate, al Santo al Santo
     Benedicendo, allor che sorga il sole,
     O parta a mezzo il giorno, o volga a sera.
     145Un angelo di Dio vegli sul vostro
     Tenero capo. All’intelletto scenda
     Quella parte di ver che ne disgombri
     La prima nebbia, e la virtù ne desti,
     E lo rinfranchi alla sua degna meta.
     150Amica voce, che discende al core,
     A ben amare, a seguitar v’insegni
     L’arcana legge onde la voglia pronta
     Al debito s’attempra e a lui si affida,

[p. 184 modifica]

     Sì che per tempo di felici esempi,
     155Di placide, severe e giuste emende
     La pura coscïenza si conforti.
Langue la mente allor che il corpo langue
     Per lunga ignavia, o per malvagio influsso,
     O per corrotto ed abusato pasto.
     160I nitidi lavacri e l’aure liete,
     L’alterno moto, ed i composti ludi,
     Il parco cibo e sano, e l’ordin certo
     Del tempo e delle cose un vigor novo
     Infondono al pensier, che a più serena
     165Tempra s’inalza, e più validi e presti
     Rendono all’opra gli organi soggetti.
     All’istinto brutale e all’ozio tolta,
     Il novello bisogno ed il desio
     La plebe induce a migliorar suo stato,
     170Non a fuggir coll’importuna foga,
     Che tanto cresce più quanto più largo
     Campo all’errore od all’invidia lasci.
     Se come un osso all’affamato cane,
     Così al mendico un obolo si getta,
     175Forse un male cessando, a cento e cento
     Il fomite non togli od ésca accresci.
     Pur non ti biasmi chi meglio si piace,
     Alla sorgente rimontando, i mali
     In quanto basti prevenir; ma trova
     180Nell’angusto sentiero ed aspro e forte
     I duri intoppi che gli opponi al piede.
Il suo talento traffichi ciascuno
     Al lume di ragion, che non è spento
     Senza colpa e periglio e senza offesa.
     185Al dolor nati e alla fatica, in questa
     Del fallo antico salutare emenda
     La dolcezza recondita cercando

[p. 185 modifica]

     Di verace conforto e di speranza,
     Vivrem contenti, liberi e felici
     190In securtade e pace. Il poverello
     Fin da prim’anni con benigno ingegno
     La santa legge del lavoro apprenda,
     E amando segua. Dagl’ingrati e vili
     Sensi rifugga e a reverenza inchini
     195Verso la schiera avventurata e cara,
     Che la mano gli porse, e sorgi (disse)
     Sorgi e cammina. Nell’avverso campo
     Il volgo innumerevole e digiuno
     D’ogni letizia col pasciuto volgo,
     200Degli altrui mali ignaro, non contenda;
     Sì che tra poco il vincitore incauto
     Non meno avrebbe a lagrimar del vinto.
Agli orfanelli miseri serbate
     Un benefico asilo, ovunque sorga
     205Un tempio al Nume sacro, a cui gradita
     La fede è allor che a carità si sposa.
     Orfani sono i miseri fanciulli,
     Innanzi tempo e a peggior danno esposti,
     Onde i parenti fan ciò che del muto
     210Gregge non fanno i vigili custodi.
Ma di famiglie improvvide l’incuria
     Alimentando e i vincoli disciolti,
     Noi tesseremo a mane, ed esse a sera
     Distruggeranno la non lunga tela?
     215Dapprima io chiederò: più del rifugio
     Dato all’infanzia, giova al tristo mondo
     Agli adulti serbar carceri e ospizi?
     Poscia ripiglio, che l’ingrata e falsa
     Beneficenza in maleficio è vôlta,
     220Perchè dal saggio prevedere assolve
     La turba che soccorre e non corregge.

[p. 186 modifica]

     Tu degli accolti bamboli l’incarco
     Tutto non prendi sì ch’altri ne getti
     Il giusto pondo. La famiglia aiuti
     225E l’opera ne compi e ne migliori,
     Mentre che i nati ad educarne imprendi,
     E lei medesma in parte a un tempo educhi
     Con fidati consigli e colle imposte
     Norme e con belli od onorati esempi.
230Dalle fatiche a riposare invita
     Il sol cadente e il fantolin scherzoso
     Dal collo pende della madre lieta.
     Involontario educator le apprese
     Leggi ricorda, e sul profano labbro
     235Forse pronto a scoccare un dardo arresta.
     Talor avvien che avvinazzato e bieco
     Torni fremendo e bestemmiando il padre;
     Chè tal si noma, e il fantolino al sonno
     Gli occhi non chiuda, ed in brev’ora ascolti
     240Di rotte voci ed aspre un suon discorde.
     Ma il tristo caso, che a ragion deplori,
     I cento a benedir non ti consiglia,
     Onde l’occulto e certo e tardo effetto
     Dell’impedito male all’occhio tace?
     245Non ti sgomenti il faticoso e lungo
     Calle che adduce alla lontana meta.
     Ora d’infradiciati arbori vedi
     Il suolo ingombro, e i tralignati semi
     A medicarne, a fecondarne intendi.
     250Oh quante volte il tuo pensier deluso
     In vista appare, e tu forse dal tedio
     O da stanchezza o da calunnia vinto
     Indietro guardi e del ben far ti penti!
     Latrino a posta lor, latrino i cani,
     255Ma tu prosegui. Le novelle piante,

[p. 187 modifica]

     Di fresca ed ospitale ombra cortesi,
     Nutricheranno di giocondi frutti
     Eletti semi. Il tenero garzone,
     Di cittadino, di marito, e padre
     260Alle virtù si allevi; e coll’impuro
     Soffio non turbi la serena fronte
     Della pudica vergine, che degna
     All’onore del talamo salendo
     Compia di madre il venerando ufficio
     265Accorta e saggia, e memore di quando
     Povera bambinella i casti preghi
     Nell’amato ricovero scioglieva,
     Umile in atti, reverente e pia,
     A gentilezza e ad onestade il core
     270Cogli infantili palpiti dischiuso.
Anime belle di pietade amiche
     Su su movete; ed alla prima pietra,
     A fondamento posta, altra si aggiunga
     Ed altra, fin che l’edificio intero
     275In alto s’erga con modesta fronte.
     Di ambiziosi nomi e alteri vanti
     Altri s’appaghi. Una la fede, ed una
     Fra noi sia l’opra e la speranza. Al cielo,
     Mentre la cieca turba vi rinnega,
     280Gli occhi volgete; o un vano simulacro
     Indi abbracciando, i monumenti vostri
     D’imbiancati sepolcri il nome avranno.