Sermoni giovanili inediti/Sermone XXII
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SERMONE VENTESIMOSECONDO.
LA POVERA INFANZIA.
S’è ver che il mondo peggiorando invecchi,
Di chi la colpa, il danno e la vergogna?
Quale il rimedio, la speranza e l’opra?
E pur rinasce e di novelle forme
5Quasi di giorno in giorno si rinnova
L’antico mondo; e noi vinti dagli anni,
O da fortuna, andiamo a poco a poco
Cedendo il passo a’ semplici fanciulli,
Che del futuro popolo la sorte
10Avversa o lieta crescon preparando,
Quale maturi il frutto, onde si getti
In essi il seme avvelenato e guasto,
Eletto e puro, con amor nudrito
O per malizia ed ignoranza a vile
15Tenuto. Noi delle non brevi offese,
Ma degne troppo pei codardi sonni
E le non degne prove, ancora fatti
Dunque non siam del nostro meglio accorti;
O di giustizia e caritade e pace,
20A salvezza comune, un nome giova
Che mormori coll’aure e si dilegui?
O gente vana, cupida e superba,
Di te non taccio, onde la mente è chiusa
Alla parola del Signor, che disse:
25A me venire i pargoli lasciate,
Non gl’impedite; chè il regno di Dio
È di cotali. In veritade il regno
Di Dio si nega a te, che nol ricevi
Come gli eletti pargoli, che bieca
30Guardi e non curi o disdegnando cacci.
Nell’innocente pargolo saluta
L’uomo che sorge, e a venerare in esso
L’immagine di Dio per tempo apprendi.
Deh non l’offuschi di maligno fiato
35Il soffio impuro! L’anima digiuna,
Allorchè spunta della vita l’alba,
Impazïente ed avida ricerca
E in sè raccoglie e nutricando serba
I primi germi delle prime idee,
40A un lieve suono che lambisca e taccia,
A un guardo appena che baleni e passi.
Così nel molle e docile metallo
Stampi l’impronta, che poi salda dura
Contro l’ala del tempo. Io l’opra imito
45Di chi la fuggitiva onda raccoglie
In traforato vaglio, allor che sudo
A discacciar con limpida sorgente
Quei, che l’intatto vaso un dì beendo
Da corrotto liquore, intorno spande
50Ingrati effluvii. Rancide sentenze,
E inopportune alla ritrosa turba
Forse ricordo? Sì, rancide sono,
Ma necessarie; e ognor nove saranno,
Finchè del vero al sacrosanto raggio
55È freddo il core o l’intelletto è cieco.
O dalla nebbia dell’errore ingombra
Erra la mente stolida e confusa,
O il meglio vede, e sempre al peggio inchina.
Se ciò non fosse, ditemi per Dio,
60Veder potreste con asciutto viso
Qual dell’infanzia misera e deserta
Governo faccia la negletta plebe,
Ignara e stolta ed a ferina tempra
Per voi cresciuta? Là nel fango immondo
65I poverelli giacciono travolti;
E da quel fango livida e sparuta
Esce vagando una procace schiera
Di fanciulletti, ad ozïose e ladre
Mendiche usanze in poco d’ora avvezza.
70Questa è la scala onde si scende a furia
Nel cupo delle luride taverne,
O pur si sale fin dove il capestro
Col pravo ingegno in un tronchi la vita.
Cessin le infauste larve. Abbia il pusillo
75Sordo l’orecchio alla canzone oscena;
Nè snodi inconsapevole la lingua
A proferire bestemmiando il nome
Dell’ignorato padre. Oh sappia, oh sappia
Il tapinello, che ne’ cieli ha un Padre,
80E che nel basso loco ove raminghi
Erriamo in bando, siam tutti fratelli,
Esuli tutti, solitari ed egri
S’Ei ne abbandona, onde s’implora il regno
Di veritade, di giustizia e amore;
85E il pan si chiede della vita nostra,
Che più del corpo l’anima ristori.
È chi presume, se non menta al vero,
Più de’ pusilli credulo, che basti
Di fioche voci un flebile concento
90Le infauste a dissipar larve, che mille
Acerbi ed empi e scellerati fatti,
A vituperio dell’umana razza,
Ricordano alla mente inorridita?
Umana razza no, razza di bruti,
95E peggio ancora. Di men fosche tinte
Or si colori la dolente scena,
Che troppo a lagrimar gli occhi ne sforza.
Fa’ che la madre povera e solinga
Con amorosa cura intenda e vegli
100Al fanciullin che sorridendo a novo
Riso la invita. Fa’ che a lei si doni
Di faticar nel tacito tugurio
Da mane a sera alla conocchia, all’ago
Od alla spola. La difficil arte,
105Educatrice dell’umana stirpe,
Mal nota è spesso al fior delle gentili
Sagge matrone dell’affetto accese,
Che tanto apprende e pure inganna tanto!
E di quell’arte non sarà maestra
110La femminella di fole pasciuta,
Se non dal tedio vinta o dalla fame,
Spesso divisa da contrari uffici,
O dalle spine lacerata i fianchi,
Che il malnato compagno, anzi nemico,
115Del serto nuzïal recale in cambio.
Io non dirò, che alla giocosa prole
Irrequïeta, garrula e molesta
Colle carezze le percosse alterni,
Come l’usanza vuol; benchè l’usanza
120Molle si accusi, e degli andati tempi,
Da chi lo sguardo ad una cerchia serra,
Il rigido costume ancor si lodi.
Io non dirò, che a lei misera incolga,
Quando ritorni alla lugubre stanza
125Col pan sudato (ahi vista) il figlio, il figlio
Arso veder dalle voraci fiamme!
Nè invan lo chiami dall’onde sepolto,
O forse ucciso da ferrata zampa,
O stritolato da rote correnti.
130Nè pur dirò quante la morte mieta
Vite novelle là negli antri bui,
Dove un armento squallido s’intana;
O quanto morte sia quasi crudele
Nella pietade allor ch’altre ne serba,
135Pria che mature già logore e stanche,
A miserande prove, onde un retaggio
Orribile di mali si propaga.
Qui, qui venite, o pargoli redenti
Dal Signor nostro, voi che prima e cara
140Siete delizia delle sue pupille.
Qui con devoto giubilo l’eterna
Gloria di lui cantate, al Santo al Santo
Benedicendo, allor che sorga il sole,
O parta a mezzo il giorno, o volga a sera.
145Un angelo di Dio vegli sul vostro
Tenero capo. All’intelletto scenda
Quella parte di ver che ne disgombri
La prima nebbia, e la virtù ne desti,
E lo rinfranchi alla sua degna meta.
150Amica voce, che discende al core,
A ben amare, a seguitar v’insegni
L’arcana legge onde la voglia pronta
Al debito s’attempra e a lui si affida,
Sì che per tempo di felici esempi,
155Di placide, severe e giuste emende
La pura coscïenza si conforti.
Langue la mente allor che il corpo langue
Per lunga ignavia, o per malvagio influsso,
O per corrotto ed abusato pasto.
160I nitidi lavacri e l’aure liete,
L’alterno moto, ed i composti ludi,
Il parco cibo e sano, e l’ordin certo
Del tempo e delle cose un vigor novo
Infondono al pensier, che a più serena
165Tempra s’inalza, e più validi e presti
Rendono all’opra gli organi soggetti.
All’istinto brutale e all’ozio tolta,
Il novello bisogno ed il desio
La plebe induce a migliorar suo stato,
170Non a fuggir coll’importuna foga,
Che tanto cresce più quanto più largo
Campo all’errore od all’invidia lasci.
Se come un osso all’affamato cane,
Così al mendico un obolo si getta,
175Forse un male cessando, a cento e cento
Il fomite non togli od ésca accresci.
Pur non ti biasmi chi meglio si piace,
Alla sorgente rimontando, i mali
In quanto basti prevenir; ma trova
180Nell’angusto sentiero ed aspro e forte
I duri intoppi che gli opponi al piede.
Il suo talento traffichi ciascuno
Al lume di ragion, che non è spento
Senza colpa e periglio e senza offesa.
185Al dolor nati e alla fatica, in questa
Del fallo antico salutare emenda
La dolcezza recondita cercando
Di verace conforto e di speranza,
Vivrem contenti, liberi e felici
190In securtade e pace. Il poverello
Fin da prim’anni con benigno ingegno
La santa legge del lavoro apprenda,
E amando segua. Dagl’ingrati e vili
Sensi rifugga e a reverenza inchini
195Verso la schiera avventurata e cara,
Che la mano gli porse, e sorgi (disse)
Sorgi e cammina. Nell’avverso campo
Il volgo innumerevole e digiuno
D’ogni letizia col pasciuto volgo,
200Degli altrui mali ignaro, non contenda;
Sì che tra poco il vincitore incauto
Non meno avrebbe a lagrimar del vinto.
Agli orfanelli miseri serbate
Un benefico asilo, ovunque sorga
205Un tempio al Nume sacro, a cui gradita
La fede è allor che a carità si sposa.
Orfani sono i miseri fanciulli,
Innanzi tempo e a peggior danno esposti,
Onde i parenti fan ciò che del muto
210Gregge non fanno i vigili custodi.
Ma di famiglie improvvide l’incuria
Alimentando e i vincoli disciolti,
Noi tesseremo a mane, ed esse a sera
Distruggeranno la non lunga tela?
215Dapprima io chiederò: più del rifugio
Dato all’infanzia, giova al tristo mondo
Agli adulti serbar carceri e ospizi?
Poscia ripiglio, che l’ingrata e falsa
Beneficenza in maleficio è vôlta,
220Perchè dal saggio prevedere assolve
La turba che soccorre e non corregge.
Tu degli accolti bamboli l’incarco
Tutto non prendi sì ch’altri ne getti
Il giusto pondo. La famiglia aiuti
225E l’opera ne compi e ne migliori,
Mentre che i nati ad educarne imprendi,
E lei medesma in parte a un tempo educhi
Con fidati consigli e colle imposte
Norme e con belli od onorati esempi.
230Dalle fatiche a riposare invita
Il sol cadente e il fantolin scherzoso
Dal collo pende della madre lieta.
Involontario educator le apprese
Leggi ricorda, e sul profano labbro
235Forse pronto a scoccare un dardo arresta.
Talor avvien che avvinazzato e bieco
Torni fremendo e bestemmiando il padre;
Chè tal si noma, e il fantolino al sonno
Gli occhi non chiuda, ed in brev’ora ascolti
240Di rotte voci ed aspre un suon discorde.
Ma il tristo caso, che a ragion deplori,
I cento a benedir non ti consiglia,
Onde l’occulto e certo e tardo effetto
Dell’impedito male all’occhio tace?
245Non ti sgomenti il faticoso e lungo
Calle che adduce alla lontana meta.
Ora d’infradiciati arbori vedi
Il suolo ingombro, e i tralignati semi
A medicarne, a fecondarne intendi.
250Oh quante volte il tuo pensier deluso
In vista appare, e tu forse dal tedio
O da stanchezza o da calunnia vinto
Indietro guardi e del ben far ti penti!
Latrino a posta lor, latrino i cani,
255Ma tu prosegui. Le novelle piante,
Di fresca ed ospitale ombra cortesi,
Nutricheranno di giocondi frutti
Eletti semi. Il tenero garzone,
Di cittadino, di marito, e padre
260Alle virtù si allevi; e coll’impuro
Soffio non turbi la serena fronte
Della pudica vergine, che degna
All’onore del talamo salendo
Compia di madre il venerando ufficio
265Accorta e saggia, e memore di quando
Povera bambinella i casti preghi
Nell’amato ricovero scioglieva,
Umile in atti, reverente e pia,
A gentilezza e ad onestade il core
270Cogli infantili palpiti dischiuso.
Anime belle di pietade amiche
Su su movete; ed alla prima pietra,
A fondamento posta, altra si aggiunga
Ed altra, fin che l’edificio intero
275In alto s’erga con modesta fronte.
Di ambiziosi nomi e alteri vanti
Altri s’appaghi. Una la fede, ed una
Fra noi sia l’opra e la speranza. Al cielo,
Mentre la cieca turba vi rinnega,
280Gli occhi volgete; o un vano simulacro
Indi abbracciando, i monumenti vostri
D’imbiancati sepolcri il nome avranno.