Sermoni giovanili inediti/Sermone XXIII
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SERMONE VENTESIMOTERZO.
L’EGOISMO.
Poichè la casa del vicino avvampa,
Dalle tue soglie esterrefatto balzi,
Gridando — al foco, accorrete accorrete —
Con affannosa voce; all’opra inciti,
5E all’opra aneli. Ma rotte le travi,
Coi sottoposti palchi ruinando
Giù il tetto cade, e la sepolta fiamma
Più non minaccia alle propinque stanze
In cui ritorni e placido riposi,
10Senza che nulla più cura ti prenda
Del vicino che povero ed ignudo
Colla consorte e i figli erra cercando
Chi di pane e ricovero l’aiuti.
Il ciel s’abbuia, e ti colori in viso
15Di novella pietà, mentre fra i tuoni,
Ed il tocco feral della campana,
E lo scoppio di folgori guizzanti
La fragorosa grandine flagella
Le bionde mèssi nei feraci campi.
20Ma in breve dileguandosi le nubi,
Il Sol ritorna, e delle intatte spiche
Ne’ felici tuoi solchi il capo indora.
E pur le ciglia aggrotti meditando
Quale a te venga dalle altrui sventure
25Lucro beato, e delle tue conforto
Ed allegrezza prendi allor che piena,
Di malvagia stagion contro l’offesa,
Attendi larga e fortunata emenda
Dal prezzo avaro. Nè ti scuote il grido
30Del popolo che freme e che delira
Dietro a torbide larve e sanguinose;
E dal tuo volto e più dagli atti apprende
Il nome a maledir di quella schiera,
Che a te pel nome e per l’avito censo,
35Non per la mente onesta e i chiari esempi
Dell’affetto gentil, si rassomiglia.
Per cieca rabbia e disperata fame
Una lurida plebe si scatena
Qual belva furïosa? E tu raddoppi
40Con fermo polso le ferrate sbarre;
Nè un obolo dall’arca rugginosa
Togli fidando che l’irato nembo
Al cenno fugga di potente verga.
E ancor ti affidi nelle usanze note
45Di chi, porgendo ai miseri salute,
O refrigerio e balsamo soave,
A te concede di vegliare a studio
Del computo, cui cifra a cifra aggiungi
Arcanamente. O fra le colme tazze
50E le sonore ciance vaneggiando
Del tempo in onta e della rea fortuna,
Con beffardo pensier le meste e gravi
Cure discacci, disprezzi, deridi.
Così discarchi di novello pondo
55I pigri ed ozïosi omeri degni
Di peggior soma e di più acuta sferza.
Ed il rimorso no, che non penètra
Sì dura scaglia, nè cessar ti piace
La vergogna che il bronzo non colora
60Della tua faccia; ma il dir delle genti
Vincer presumi con maligne note,
Onde fai schermo all’anima superba
E trista e vana, che il ben far non pate,
Ed alle oneste laudi invidia porta.
65Vedi colui, che dispensar procaccia
Il pane della vita al poverello,
Ne’ squallidi tuguri visitando
Infermi vecchi e vedove deserte
Ed orfani digiuni? Oh non è questa,
70Questa non è di carità verace
La pura fiamma, griderai; ma vampo,
Forse d’orgoglio e di lascivia nato!
E n’hai ben donde; che degli altri imprendi
Da te medesmo a giudicare. Al padre,
75Dalle fatiche o più dai vizi affranto,
Dell’ospizio fatal s’apran le porte;
E fosse pur di palpitanti membra
Ammorbato sepolcro! Il figlioletto
Stenda per tempo al passeggier la mano;
80Per tempo i mali a sopportare impari
Di sua condizïon colla gioconda
Faccia, che in ben coll’uso li trasmuta.
E la solinga donna, a cui s’infiora
Di fresche rose ancor la bella gota,
85Le lagrimette cessi ed i sospiri,
E alla ragion dell’abbaco s’inchini.
Con sinistri presagi una malnata
Turba cresce d’intorno e si propaga?
Al lontano avvenir pensino i nostri,
90Quando presente fia, tardi nipoti;
Chè per suprema legge unica e vera
Dell’Io la legge avrò come i più saggi,
D’infallibil bilancia al certo segno,
Fanno; benchè diverso il detto suoni.
95E pur talvolta in suon grave arieggiando
Dirai che fuori il mondo si sbalestra
Dai rugginosi cardini; che nova
Arte si chiede a ricomporre il mondo;
E che dell’arte i magici segreti
100Il mondo ignora o non apprezza. Acceso
Di magnanimo sdegno al ver simíle
Una pietra recar dove s’innalzi
Di solide colonne il fondamento
Indi ricusi, e in un l’opra e il disegno,
105Se il piè ti basti, ancor d’un calcio offendi.
Alle gonfie parole, agli atti alteri
Il volgo sciocco attonito restando,
Dell’invida codarda avara tempra,
Non che accusarti, sospettar pur osa.
110Molte le strade son, che ad una meta
Aprono il varco per diverso calle;
E chi nol sappia, alla canina bava
Dell’uno guardi, e al miei che dolce scorre
Dalle labbra dell’altro. Oh bei costumi,
115Ove n’andaste dell’antica etade?
E quando fia che a voi torni la gente,
E in pace addormentandosi non turbi
Con importuni moti i sonni alterni?
Senza contrasto andar verso la china
120L’acqua lasciate. A temerario volo
L’estro v’accende, e di compianto degni
Siete; o in fondo pescate, e il nome vostro,
Il nome vostro.... ve ne scampi il cielo!
Se la fame, gl’incendi e le feroci
125Ire non temi di corrotta plebe,
Dimmi, il pestilenzial morbo non temi,
Che a serpeggiar per l’itale contrade
Spesso tornando con strage infinita
Il terrore vi sparge e la sciagura? —
130Le vite che più logore dagli anni
O dagli stenti son, miete la morte,
Che pei fetidi oscuri antri la falce
Inesorabilmente intorno mena. —
Se non ti duoli che non abbia il volgo
135Già solo un capo e l’anima con esso
Tramutisi per sempre, almen ne scordi
Le fraudate mercedi e le fatiche;
E a dramma a dramma colla mente libri
Il pubblico tesor quanto si stremi.
140Ma dai fetidi oscuri antri s’innalza
Un maligno vapor, che de’ superbi
Palagi invade le ridenti sale.
Non pur dall’alto al fondo, anco dall’imo
Al vertice, di Dio l’ira tremenda
145Passeggia flagellando. Il duro annunzio
Alfin ti basti. Di orfanelli smunti
Una squallida turba s’incammina
Alle tue porte e batte: e tu le schiudi
Un benefico asilo? Oh ch’io m’illudo!
150Tu per ristoro de’ passati affanni
Nuove feste prepari e a nuove danze
Il piè disnodi. Sciagurato e stolto,
Mentre de’ vivi alle miserie insulti;
A te giova danzar con fronte allegra
155Sulle tombe de’ morti? Io qui ti lascio.