Che più del corpo l’anima ristori.
È chi presume, se non menta al vero,
Più de’ pusilli credulo, che basti
Di fioche voci un flebile concento 90Le infauste a dissipar larve, che mille
Acerbi ed empi e scellerati fatti,
A vituperio dell’umana razza,
Ricordano alla mente inorridita?
Umana razza no, razza di bruti, 95E peggio ancora. Di men fosche tinte
Or si colori la dolente scena,
Che troppo a lagrimar gli occhi ne sforza.
Fa’ che la madre povera e solinga
Con amorosa cura intenda e vegli 100Al fanciullin che sorridendo a novo
Riso la invita. Fa’ che a lei si doni
Di faticar nel tacito tugurio
Da mane a sera alla conocchia, all’ago
Od alla spola. La difficil arte, 105Educatrice dell’umana stirpe,
Mal nota è spesso al fior delle gentili
Sagge matrone dell’affetto accese,
Che tanto apprende e pure inganna tanto!
E di quell’arte non sarà maestra 110La femminella di fole pasciuta,
Se non dal tedio vinta o dalla fame,
Spesso divisa da contrari uffici,
O dalle spine lacerata i fianchi,
Che il malnato compagno, anzi nemico, 115Del serto nuzïal recale in cambio.
Io non dirò, che alla giocosa prole
Irrequïeta, garrula e molesta
Colle carezze le percosse alterni,
Come l’usanza vuol; benchè l’usanza