Sermoni giovanili inediti/Sermone VIII
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SERMONE OTTAVO.
IL CREDITO.
Per l’ardüa, scabrosa e torta via
Lento lento procede e a gran fatica
Il carco imposto alla ritrosa trave,
E scarso e tardo alla sua meta arriva.
5Ma un diritto sentier, facile e piano
Al tuo carro dischiudi; e maggior pondo
Colle veloci rote in poco d’ora
Arreca là, dove il desio l’attende;
E ritornando ne riporta i doni,
10Onde s’adempie col ricambio alterno
L’alterno desïar. Dapprima il Sole,
Declinando due volte in grembo all’acque,
A mezzo del cammin aspro non vide
Dal cigolante carro e dalle stanche
15Belve e dal carrettier fracido e macro
La merce addotta. Or del meriggio appena
Il cerchio tocca, e nel fidato loco
Non offesa dal tempo e da fortuna
Accolta vede la sicura merce;
20Che pronta all’uopo ognor si rinnovella
Nel suo rapido giro, il prezzo avaro
Più non chiedendo degli antichi e lunghi
Ingrati sforzi. Nell’aperta traccia
Più non ondeggian le dorate spiche,
25Nè l’arbore fecondo i rami incurva
Di pomi grave. Ma ben altri frutti
Colgon per essa dalle opposte parti,
Non più lontani, o mal noti od invisi,
Di conforto, di aiuto e lume privi,
30I popoli diversi. Ognuno all’opra
Intento segue il varïato influsso,
O seguir puote, che dal ciel gli piove.
Qui l’officina fervida gl’ingegni
Prepara all’uso de’ fabbrili studi
35E delle agresti cure; e più s’avviva,
Quando l’offerta sua chiuso non trovi
O angusto troppo contrastato il varco.
Là ridondan le mèssi, e del maligno
Tarlo non sono invidïato pasto;
40Mentre il commercio libero le versa
E le comparte tra la folta schiera,
Che sulla roccia sterile la marra
Non tratta no con disperata impresa,
Ma la spola, il martello, e la rodente
45Lima, e quanti altri sono industri arnesi;
Trasformando la ruvida materia,
Ch’altri le appresta, in delicate e nove
Utili fogge. Onde il servigio rende
Al servigio dell’emula contrada
50Che al vomere dischiude il seno amico,
Ed a novi servigi riconforta
Riconfortata con assidua vece.
Delle due genti se la voglia è piena
E all’opra la mercè meglio risponde,
55A che si debba omai chiaro dimostra
Esperïenza, che a ragion suggello
Eterno pone. A libertà devote,
genti, siate, od a natura oltraggio
Fate e a voi stesse, dell’error portando
60Vostro la pena. A libertà dan guerra
Ignoranza e livore, ingorde e cupe
Ambizïose gare; e in un con esse
Ai connubio de’ popoli contrasta
L’inerzia molle, che domar non cura
65Gli ostacoli che fanno intoppo al piede,
E schermo quasi alla inesperta mente
Contro al vivido raggio, che diffuso
Colla diffusa civiltà risplende.
Tale col moto impresso in largo giro
70Circolando si accresce e si propaga
Della ricchezza la vital sorgente;
Da cui zampilla la benefic’onda,
Che a ristoro comune Iddio concede
Dello sparso sudore a premio degno.
75Ma si restringe il corso o si dilata,
E si accelera il moto o si rallenta
Dell’arte nostra come vuol la legge
Del cambio vicendevole, che porge
Lena e compenso alle iterate prove;
80O i nervi tronca e la speranza toglie,
Se per le rotte strade barcollando
Di boscaglie recinte, infame nido
Di ladroni e di belve, incerto movo
Al difficil mercato, a cui fan siepe
85De’ gabellieri le procaci turbe.
E se pur giungo, povera e deserta
Veggo l’inospitai terra, e non trovo
Chi di giustizia e di onestà mi affidi.
Sia franco il passo, invïolato il dritto;
90Od io m’arresto o altrove mi rivolgo,
O da novo timor vinto m’accoscio.
Tu rammenti, che validi ministri
Del cambio sono i prezïosi dischi
Della moneta, cui l’ufficio è dato
95Di merce universal che a me concedi
Pel desïato obbietto, il pegno offrendo
Che alla sua volta il mio difetto adempia.
Ma indocili talora, e avari sempre
Sono i metalli, che a novella stampa
100Riduce il conio memore del pondo
Nitido e certo, onde con vario metro
Delle cose al valor fanno riscontro.
Tre volte cinque l’un vince in possanza
Il fratello minor, finchè di cinque
105E dieci volte il sacrificio chiede
E lo sforzo maggior. Oh se a noi dato
Omai ne fosse al prepotente imperio
Dei metalli supplir con umil segno
Agevolmente in brevi note iscritto!
110O qual vedremmo per feconda vena
Diffondersi tesor, ch’ora s’invola
Al servigio dell’arti, e a caro prezzo
Rotolando consuma a poco a poco
Sè stesso, e avaramente si rintegra!
115Fa’, che a misterïosa arte di maga
La placid’aura obbedïente appresti
Mirabile un sentier, che le terrene
Vie risparmiando le ridoni ai semi
Delle fertili piante. E scarso lucro
120Questo dirai, se colla mente intendi
Oltre il novello solco, rïandando
I duri intoppi a vincersi restii,
E vinti appena alle rote stridenti
Il cozzo rinnovare, e infranto l’asse,
125E le mal conce rozze a cui la pelle
È informata dall’ossa; e il tedio grave,
E i temuti perigli, e i danni certi,
E la lung’ora a più felici cure
Indarno tolta. Sulle rapid’ali
130Del vento quasi d’uno in altro loco
Le merci volerebbero, per via
Moltiplicando con novella foga
Non più consunte in miseri conati
Miseramente e con acerba pena.
135La favolosa imagine ritrae
Quella parte di ver, che in dubbio tiene
Chi d’Icaro caduto in fondo all’acque
Con liquefatte penne il fin ricorda.
Ma se la verga magica non puote
140Quel prodigio operar, che ad occhi chiusi
L’uno sprezza sdegnando, e l’altro adora,
Forse avvezzo a sognare ad occhi aperti,
Tu dalle false larve il ben discerni
Che il non bugiardo credito dispensa
145Alle operose, provvide e serene
Integre genti di virtude amiche
Fidate all’ombra di paterno scettro,
Che placido e severo in giusta tempra
Francheggia i buoni minacciando i pravi.
150Da fede nasce in securtà vivendo
Il Credito, che spande intorno l’ali
A fecondare col benigno fiato
Delle industri fatiche il vario campo.
Manca la falce alla matura mèsse,
155Ma di taglienti falci è il suolo ingombro
Dell’officina tacita e deserta.
La merce è pronta ed il bisogno incalza;
Ma deluso riman, perchè la scarsa
Al fabbro e al mietitor manca pecunia,
160Che l’uno aiuti a procacciar l’adunco
Arnese, e l’altro a rinnovare i colpi
Con novo polso alla sonante incude.
A me concedi l’ozïosa falce;
Chè le mietute biade a te compenso
165Daran fra poco: ecco la mia promessa
Qui nel foglio vergata. Accetta il fabbro,
E vôlto al fonditore un egual patto
Compie segnando il tramandato scritto.
Il provvido costume in mille e mille
170Guise ed in mille luoghi si rinnova,
Impulso dando alla materia inerte
Col disposarla al vedovo lavoro;
E del lavoro in circoli diversi
La moltiplice copia ripartendo.
175Gl’infonde la virtù che lo nutrica
E l’anima, lo scuote e l’avvalora.
Minute e spesse cadono le stille
D’inavvertita pioggia, e in sè le accoglie
Il ruscelletto ch’umile dapprima
180Mormora e fugge; e poi degli altri rivi
L’acque riceve, e dilatando il corso
Ricco porta e superbo al mar tributo.
Tal di frequenti e piccoli compensi,
Che l’occhio appena scerne, in fiume quasi
185Della ricchezza volgesi la fonte,
Benchè talora fra l’erbette verdi
La velenosa serpe si nasconda,
E incauto abbracci come cosa viva
Un’ombra che dileguasi col vento.
190Tanto il prometter val quanto s’attenga
Ad esso l’opra; e corrisponda al segno
E l’intento e il valor; sia della merce
L’aspettato valore; o il prezzo sia,
Di cui la merce è fine unico e solo.
195La tua moneta dieci volte cento
Di mano in mano passi, e il giro compie
E in un l’ufficio riserbato a mille.
D’una le mille compiran l’uffizio
Invece allor che avidamente serbi
200Ciascuno troppo del fatal metallo
Ai baratti possibili e futuri
E incerti forse, onde i presenti e certi
Vengono manco, perchè rotto è il nodo.
Che gli alterni tra loro e li congiunga.
205Della moneta e della merce i segni
Quel nodo ricompongono soave;
Ma non t’illuda la speranza vana,
Che a te sia dato di cacciare in bando
Il metallico disco ad usi molti
210Addetto sempre, ove la fede langue,
O più dell’aspettar giova l’effetto,
O del mercato in bilico non torna
La bilancia che d’oro al pondo cede.
Pondo grave e molesto allorchè fuori
215Recarlo è forza della patria cerchia,
Mentre con tema movi e con sospetto
Di loco in loco affaticato il passo.
Ma un rapido di cose ordin succede
Coll’intreccio, di cui le prime fila
220Forse tesseva il profugo Lombardo,
O l’odïata razza d’Israele,
Che alle fortune sue schermo faceva
Contro gli artigli delle genti ladre.
Dal franco lido veleggiando salpi
225La nave che di ninnoli vezzosi
Il pregio porta, ed il vantato umore
Che infurïando i calici riempie
Di lieve spuma, e la baldanza imita
Di chi stampa nel fumo i suoi vestigi.
230Giunta al porto britannico, depone
Il doppio carco, ritornando onusta
Di doppia merce. Eguale il prezzo sia,
A quattro parti rispondendo, e quattro
Gravidi sacchi di moneta chiede,
235Ed altrettanti inutili vïaggi;
Poichè dal quarto mercatante il primo
Ebbe, ed al terzo diede, ebbe il secondo
Dal terzo, al quarto dando il pattuito
Della merce valor. Ma i conti alterni
240Col ricambio di cedole redenti
Sono ad un tratto. Per più lunga via
Svolazzano talor quelle sottili
Strisce di carta, e la diversa mèta
In diversa toccando ora, lo scambio
245Rifiutano tra loro. Un banco s’apre,
Che per equa mercede in sè le accoglie
Scomputandone il tempo; e ne ridona
Tali in lor vece, che non fan ritorno
Indarno ad esso (quando e per qual mano
250Sia) dai secreti cofani traendo
La sonante pecunia. Al ben di tutti
Sia quel banco rivolto; e i tuoi risparmi,
Ch’erran dispersi o giacciono sepolti,
A sè chiami, e li desti, e li fecondi.
255Indi nell’arche sue tanta ne serbi
Parte, che basti a soddisfare il lento
Procedere di lui, che gli rimanda
La fedel mostra, e il lucido metallo
Seco ne porta. Triplicando l’uso
260Delle mobili scritte, oltre il serbato
Grave metallo, non eccedi il varco
Che un prudente rigore assegna e tiene.
Gli accumulati avanzi a te sian legge
A moderare il computo sincero
265Dei compartiti lucri, a cui sovente
Anco il lucro dei singoli risponde.
L’unghie si morde per dispetto ed ira
Il lurido usuraio; e tu non ridi
Delle spoglie del popolo vestito.
270Non rifiutar che un emulo s’accosti
E ti sorvegli, ed i compensi teco,
E le cure e i perigli anco divida.
Chè più divisi son, meno i perigli
Sovrastano tremendi, e incerte meno
275Sono le cure e a miglior fine intese:
Ed a più degna norma e più sicura
Si adeguano i compensi. Oh di che temi?
O che presumi? Il battere pecunia
Al rege, o a chi ne tien l’unica chiave,
280È dato, il so; ma colle tue polizze
La moneta risparmi ed imprometti;
Tanto sei lungi dal trattare il conio
Negato a dritto agli umili profani.
Le tue polizze sono imagin viva
285Delle scambiate cedole, cui manca
Pel tardo giorno e pel mal noto nome
Quell’innato vigore, onde le imprimi
Rinnovellato di novella forma.
Non io vorrò, che ardimentoso e baldo
290Oltre il confine scapestrando corra;
Ma pur non voglio, che in serrata cerchia
Solo imperando, tutti gli altri escluda.
Mentre d’oro ribocchi, a cui la via
Altrove togli colle opposte dighe,
295Non t’allegrar; chè a temerarie imprese
L’impazïente e fervido metallo,
Che a lungo ed infelice ozio condanni,
Ratto sen vola appena oda richiamo,
Seguitando la mobile ventura
300Ove baleni di speranza un raggio.
Il vacillante banco allor si rompe
Quando la densa calca a un punto l’urta:
Onde rimane stritolata o pesta.
Altre minacce sono, altre ruine
305Ed altre genti attonite e confuse,
Quali da fiero turbine travolte.
Se per occulte vene in vario giro
L’ardente zolfo ad allumar serpeggi
Le preparate mine, odi uno scoppio
310Onde trema la terra, e l’ardue moli
Crollano infrante e cadono con esse
L’umili case, già diletta stanza,
Or di mal vivi orribile sepolcro.
Tal (se al concetto il paragon soccorre)
315Imperversando la fortuna pazza
Precipita, trabalza, abbatte e schianta,
Mentre l’antica fe piangesi estinta.
Tanto si crede allor quanta si palpa
Difficile pecunia all’uopo scarsa;
320O che all’uffizio degli usati segni
Accorra sola, o timida si celi,
Per lontane spiagge erri sospinta
Da foga insana o da contrario fato.
Del credito radice è la fidanza,
325Che per guerre, per fami e per rapine,
Per arti male e cieche si dilegua.
Tu per le offese che cessando arreca,
Immemore sarai degl’infiniti
Doni che al miglior tempo rinnovella?
330Ignote offese, dove ignoti i doni
Fûro: come non sa perder del giorno
Il benigno fulgor chi cieco nacque.