Sermoni giovanili inediti/Sermone VII
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SERMONE SETTIMO.
LA MONETA.
Fu nella Frigia un re (se non ti offenda
L’umile suon di ricantata fola)
Che mutava in aurifera sostanza
Le cose appena tocche. In oro il cibo
5E il calice dell’onda cristallina,
Alle labbra appressati, eran conversi.
Della ricchezza misera si duole,
Tardi imprecando all’invocato dono,
L’incauto re, che della ingorda voglia
10Soffre la pena, fra gli aurati massi
Sentendosi venir manco per fame.
Ma la fonte del Pattolo lucente,
In cui scende a bagnar le membra ignude,
Dilava tutta e alle sue bionde arene
15Trasmette la virtude ond’ei si spoglia.
Della sciocchezza sua non pochi esempi
Il mondo apprese; benchè Mida Mida,
Più non ripetan le ispirate canne,
Ha le orecchie dell’asino; chè seppe
20Come al volgo con fregi e regal benda
Della fronte si celi la vergogna.
La non bugiarda favola c’insegna,
Che il prezïoso e lucido metallo
Per sè dell’uomo a soddisfar non basta
25I bisogni reconditi e diversi
Di cui fine non è, ma più spedito,
Più valido, frequente e acconcio pegno,
Che dal consenso universal si prende
A ragguagliar de’ ricevuti obbietti
30Coll’intimo valor l’equa mercede.
All’opre dell’ingegno o della mano
Ognun travaglia, e delle sue fatiche
Il frutto reca, e con gentil ricambio
Dalle fatiche altrui premio riceve.
35Ma quali arreca inciampi il tempo, il loco
Agli alterni servigi, e come tarda
All’uopo, che ogni dì si rinnovella
In guise innumerevoli, risponde
La materia soggetta a industri cure,
40Che dopo molte lune al Sol dispieghi
Le mutate sembianze, o altera serbi
Intatto il fiore della sua bellezza!
Il pallid’astro rinnovò la faccia
Tre volte e quattro, e il dipintore accorto
45L’effigïata tavola non lascia;
Chè nei sogni la vede, e la ritocca
Con assiduo pennello in lunga veglia
Pria che diletto infonda e maraviglia
Per gli occhi al core alle affollate genti.
50Abbia con degna laude il prezzo degno,
Ove nel mondo gentilezza alberghi.
Ma intanto se n’andrà lacero e scalzo,
Prolungando coll’opera il digiuno?
O l’ultimo vital soffio trasfuso
55Nell’animata tela, in dieci brani
Indi farla dovrà perchè lo scotto
Paghi a dieci dovuto? Oh stolto ed empio
E vano strazio! A me non si conviene
Quella che m’offri a ricambiar la mia
60Merce, che ad ottener l’altra che io bramo
Ad altro porgo invan, ch’altri desiri
Ei nutre, punto da diversa cura.
Mentre i doni di Cerere converto
In bianco pane, il tuo libro rifiuto;
65Chè nuove biade io vo cercando e batto,
Di porta in porta. Ma le ricche mense
Già ne fur sazie e stanche; e cento volte
Torno deluso a ricalcar la via.
Dopo il lungo aspettare e il chieder molto
70Ed il lungo vagar forse contente
Faremo in parte le bramose voglie.
A qual costo io lo so quando sovente
La romorosa gramola si tace;
Nè tu l’ignori allor che il tuo volume
75Recando intorno per fame sbadigli,
Ed agli amati studi il tergo volgi.
E quei, che dalla tua pagina accolto
Avrebbe il vero, l’ignoranza insacca
Colla mèsse che il lungo e vario giro
80Di chi la sciolga lungamente attende,
Finchè al dente invisibile di occulto
Verme che rode, o alla maligna offesa
Dell’umido vapor che la corrompe,
La sostanza vivifica perdendo,
85Infracidita o logora si resti.
Commosso alla pietà dei nostri danni
Balenò il cielo e la moneta apparve,
Che in sè l’indizio porta e la misura
Del servigio che l’uno all’altro presta;
90Ed offre pegno, che il diritto inscrive
Al bramato ricambio. Unica sia
Una merce, di cui la bella imago
Folgoreggiante di perenne luce
Alle attonite genti il guardo abbagli.
95Sempre sorrida desïata e cara
Ai popoli che il monte o il mar diparte:
Di nemica stagion non tema oltraggio,
E la purezza sua nelle sue parti
Integra serbi, e nella faccia impresso
100Il marchio incancellabile ne porti.
Molto tesoro acchiuda in picciol seno,
E lieve lieve e rapida si aggiri,
Quasi non vista trapassando dove
Oda richiamo. I lucidi metalli,
105Onde l’uno del Sole il lampo imita,
E l’altro piglia dalla sua sorella
La pallida bianchezza, al grande ufficio
Chiamati furo dal voler concorde
Della più antica e della nova etade.
110Al vario delle cose ordine e pregio
Essi rispondon con diverso cerchio.
Io richiedo il tuo drappo e a render pronto
Sono il cocchio leggier che il drappo vale.
Ma tu ricerchi di novella Aracne,
115Cui giova il corso di leggiadra biga,
Il trapunto finissimo che cede
Ad esso di valore, onde il mio cocchio
Bipartito sarebbe. Il cocchio io lascio
Incontro a dieci annoverati dischi
120Di sonante metallo, e a te li sciolgo
Pel misurato drappo, e tu ne versi
Cinque, e due volte del gentil trapunto
Farai nelle vetrine avida mostra.
Se dalla mira non declina il dardo,
125Tu del raro metal, che una possanza
Maggiore acquista dalla sua rarezza,
Il verace comprendi uso. La ruota
Che cigolando s’arresta per via,
Se colla stilla del premuto ulivo
130Ne tocchi il perno, rapida s’invola
Facendo all’occhio d’un sol raggio inganno.
Del lubrico licore, onde più ratto
Il carro scorre coll’imposto carco,
Molto ritragge il prezïoso conio
135Che l’ali quasi alla ricchezza impenna.
Ma l’avarizia stupida confonde
L’olio, il carro e la ruota coll’imposto
Carco, e l’impronta del fatal metallo
Coll’abbondanza dei giocondi frutti,
140Dono cortese di ferace gleba
O d’ingegni felici, a noi recato
A soddisfare il natural talento,
Che a non mentita civiltà s’informi.
Vedi nel frutto delle umane cure
145La dovizia riposta; e la moneta,
Che in cento rivi a spargersi l’aiuta
Con vena velocissima, discerni
Da quella sì, che Mida Mida Mida
A ricantar non abbia insin che il fiato
150Nella strozza mi manchi. A te non piace
Di parole garrir? Bada che un seme
Getti di mala pianta, a cui d’intorno,
Dalla micidïal ombra percossi,
Languono i campi squallidi e deserti.
155Caccia la nebbia dell’errore antico
Che tanto offende; ed a miglior consiglio
L’amara esperienza ti conforti.
Le guerre, orride guerre, e l’empie stragi,
Le crudeli rapine, il sangue, il pianto
160Più non ricordi, e le misere genti
Al giogo tratte, battute, disperse?
Più non ricordi, che gli avari dischi,
Oltre al bisogno accumulati, fanno
Maggiore ingombro con minore uffizio?
165Col raddoppiato novero ne scemi
D’altrettanto il valore, e delle merci
Il prezzo accresci. Dai lontani lidi
Con vele gonfie le straniere navi
A gara te ne porgono tributo,
170Onde poi l’arti tue perdono il nerbo
Dell’usato vigore. A poco a poco
Esce in ricambio delle esterne merci
La infelice pecunia; e allor che cessa,
Ad altri porti salpano le navi,
175Che anelano versare il proprio incarco,
Di novo incarco ritornando onuste.
Dell’uomo al pari un popolo desia
Il servigio e l’obbietto, ond’ei sia privo:
E se ne appaga allor che d’altro obbietto
180E d’eguale servigio il ricompensi.
Al fine attendi, e la bilancia spezza,
Che il molt’oro librando, il resto lascia
Quasi a terra cader spregiato e vile.
Troppo già fu coll’indice bugiardo
185A governar dei popoli sortita
Gli alternati negozi. A te benigna
Scendeva allora che più ricchi doni
Fuori recavi della patria cerchia;
Tanto più ambiti ognor quanto men ricchi
190Addentro ricevendone, sicuro,
Funesta insania! che la bella offesa
Da più gravida nube a te scioglieva
Un’aurea pioggia, che le opposte dighe
Indi sprezzando tacita sen giva
195Copertamente a ricercare il piano.
Cadon le gocce su bagnata zolla,
E l’arida vicina a sè le attira,
Finchè beendo satura non sia.
Colla ricchezza e colla sua sorgente
200L’oro confondi, e dalla tua premessa
Questa discende logica sentenza:
Purchè l’oro rimanga, il tutto pêra:
Di mantici, d’incudi e di martelli
Odi il soffiare, il battere e l’alterno
205Frequente risonar; vedi gl’irsuti
Robusti fabbri colle braccia ignudo
Sudare al foco della mia fucina.
Alla materia io veglio ed al lavoro
Che di falci, di vomeri e di seghe,
210Di scalpelli e tanaglie arma la destra,
Che a grazïose forme il legno atteggia.
Le cuoia batte e spiega, i marmi avviva,
E fa di spiche biondeggiar il solco.
Ma fastidio men prende. In feste è danze
215E giochi fra le tazze e i lieti viva.
A me giova protrar le notti lunghe.
I fabbrili strumenti andâr col fumo
Delle cene squisite, e colla schiuma
Del fremente licor. Lacero e scarno
220Errando vo col danno e la vergogna;
Ma l’oro in novi circoli si aggira
Per nuove mani, e la civil famiglia
Qual iattura soffrì? Stolto! lo chiedi
Ai congedati fabbri, alla negletta
225Turba cui manca il pan, se non l’aiuta
L’umile arnese all’umile fatica.
Getta le mèssi alle voraci fiamme:
Non ti caglia di noi, l’oro rimane.
O voi, che l’economica dottrina
230Ignorando sprezzate, ad altro vero
Concedete l’orecchio. In sè racchiude,
Dalla merce metallica raccolto,
La moneta quel pregio a cui misura
Dell’obbietto il valor che le risponde,
235Non già l’impressa imago e il voto nome,
Ma la finezza del metallo e il pondo
Le trasmetton l’imperio, e pazza impresa
Allora tenti che l’ingorda voglia
Il titolo ne serbi e il pondo allevii,
240O il pondo serbi con impura lega.
Coll'adultera mano un dieci togli
Al violato disco, che di cento
Pani già fece la mia mensa lieta;
E dieci pani alla delusa mensa
245Meno verranno. Dall’aperta fraude
Qual effetto procede? All’uno un tanto
Del pattuito canone si ruba;
Nell’altro è spenta la fidanza antica,
E la moneta vergine sottrae
250Dall’immondo mercato, affinchè sozza
A lui non torni. Altri ha la fibra tronca,
E mal si regge sulle incerte grucce.
Solo ne ride chi del falso conio
La tenebrosa e cupa arte trattando
255Imita le tue fraudi e i lucri avanza;
I primi lucri e brevi, chè più tardi
Dalla piena del male a forza tratto,
La improvvida mistura a te chiamando
Pagherai di tue fraudi e delle altrui
260La moltiplice pena, e niun ristoro
Le ripetute offese e i danni avranno.
Alle dolenti prove il varco infido
Schiuse colui, che a disegnare il vario
Delle cose valor simbolo fece
265La moneta, che n’è pegno e misura
Per l’innato valor, che alle vicende
Più resiste del tempo e di fortuna.
Per lubrico sentiero appena stampi
Incauto un’orma, e sdruccioli nel fondo.
270È la moneta un segno? Il segno basti
Nel metallico disco, anzi l’imprima
Col favore de’ tipi in un baleno
In foglie innumerevoli e diverse,
Quante ai rami ne toglie il pigro autunno.
275Dal periglioso fluttuar si arresti
Con immoto vigor, come l’immota
Rupe scolpita del fatal decreto.
Dall’infecondo segno oh! qual presumi
Coglier pomo vietato? Eh via, si cessi
280Dall’importuna usanza, e coll’ignoto
Miracolo de’ tipi a noi si versi
Ricco torrente d’inesausta vena.
Ecco pronta una merce, e a te la credo,
Fidando al segno della tua promessa,
285Da cui ti sciogli coll’attesa merce,
O col metallo che la merce adegui.
Mentre l’una lasciai e l’altra aspetto,
Tu che il frutto ne godi, ond’io son privo,
Giusta men rendi e necessaria emenda,
290Che ti rinfranchi di novella aita. —
Il seme sparso negli aperti campi
Per se medesmo propagato cresce;
Ma chi della fruttifera possanza
Nell’inerte metallo il germe infuse? —
295La non diritta clausula ritorco
A te chiedendo quali aurei frutti
Offra la mèsse che per l’oro cedi;
Indi coll’oro e col mercato seme
I campi allegri di novelle piante?
300Ogni merce che ad altra si ragguagli
Fa di moneta ufficio, ad egual norma
Soggette entrambe, che il valor ne muta
Al mutar dell’evento. Io so che l’oro
E il fratello minor più lunga prova
305Fan di costanza; ma per tempo e loco
Ondeggian seguitando il lento corso
Delle instabili vene e il vario giro
Che le sparge d’intorno e le dirama.
Male sognasti con eterna cifra
310Delle cose fermare il moto eterno,
E l’intimo valor che le superbe
Leggi nei patti liberi delude,
E dagli altri s’invola; e se lo sforzi,
A me donando quel che ad altri togli,
315Il valor no, ma la giustizia calchi.
Dove te lascio, o dispregiato rame,
Che zoppicando vai di porta in porta
Agli umili, minuti e bassi uffici
Addetto? Fuggi le maggiori altezze,
320Ai più potenti e nobili metalli
Degnamente serbate. Ora sul volto
Nessun ti guarda e il tuo valor non chiede.
Ma, se ti prende del salire invidia,
Udrai le befife delle accorte genti,
325Che ti volgan le spalle; e colla scarsa
Lena vinto dal peso e da vergogna,
Qual masso che da rupe si divelga,
Senza speranza giacerai nel fondo.