Sermoni giovanili inediti/Sermone V

Sermone V - Il commercio

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SERMONE QUINTO.


IL COMMERCIO.




De’ mercatanti il secolo risorto
A me non giova ricantar con laude
Avara e falsa, o rampognar con cieca
Invidia ed ira. Colla sua vergogna

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5Colui trapassi o coll’infamia duri,
Che de’ più sacri affetti e più gentili
Mercato fa con temerarie o cupe
Arti proterve. All’utile ricambio
De’ servigi, che l’uno all’altro rende
10Coll’ingegno e coll’opra, intento io miro;
Benedicendo a Lui, che in mille guise
E per terra e per mare e per l’immenso
Aere lasciava della sua possanza
I segni impressi, e dischiudea la fonte
15Di meraviglie varïate e nuove
Ai mortali, che poveri ed inermi
Al mondo nati coll’eterno raggio
Della mente svelâr le occulte forze,
Che per terra e per mare e per l’immenso
20Aere domate al domator sovrano
Moltiplicando van con più diletti
Studi e compensi il riserbato impero.
Ai bisogni mutabili e diversi
Risponderanno le fatiche umane
25Allorchè tutti per diversa via,
Benchè mirando al fine unico e solo
A cui siam tratti coll’aiuto alterno,
Al proprio uffizio con pensiero accorto
Volgano il braccio, onde l’usanza accresca
30All’uno il destreggiar valido, all’altro
Il pronto imaginar, sì che l’impresa
Con lavoro più facile e securo
Meglio si compia e di più lieti frutti
Le speranze consoli e il premio arrechi.
35Tu quella parte che al bisogno avanza,
Per la mia parte volontario cedi,
Di cui provi difetto; e siamo entrambi
Pel nostro desïar paghi e contenti.

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Ma se taluno a maneggiar si sforzi
40E la marra e la spola a un tempo, e l’ago
E la sega e il martel, mentre le carte
Nacque forse a vergar con fama eterna,
Oh! quanta gloria a se medesmo e quanto
Lume fura alle genti, e quanto scarsa
45Nell’ostinata, e improvvida tenzone
Avrà mercede delle lunghe veglie,
Dello sparso sudor, delle infelici
Opposte cure. I disparati arnesi,
Ozïosi talora e ingrati sempre,
50Male trattando con incerto nerbo
Di loco in loco, il sacrifizio certo
Andrà piangendo allor che l’ora scocchi,
Al fosco velo della tarda sera,
In cui lacero, stanco ed abbattuto
55Nelle squallide stanze entri, dal fischio
Non difeso dell’orrida bufera,
E sull’infido e barcollante scanno
Assiso guardi alla deserta mensa.
Come ogni terra a fecondare i semi
60Atta non è delle diverse piante,
Che dell’ardente Sol bevono i raggi,
O innamorate del benigno riso
Della tiepida zona aman di fiori
Nel verde maggio incoronar le chiome,
65O della scorza rigida riparo
Fanno agl’insulti della fredda bruma;
Così di tempra e d’indole diversi,
In vario di fortuna ordine posti,
Gli uomini sono per natura acconci,
70E dalla sorte apparecchiati a varie
Prove sublimi od umili fatiche,
Di sprezzo no, ma d’onoranza degne,

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Spesso negata dall’insano volgo
A quanto giova e non abbaglia. Ognuno
75Un servigio a recare intenda, e cento
In poco d’ora ne riceve in cambio
Che gl’inutili sforzi gli risparmia,
Onde in lung’ora con dispendio vano
E più vana fatica avrebbe appena
80A se medesmo procacciato i dieci.
E son del cambio facile strumento
E necessario i prezïosi dischi
Dei lucenti metalli, ove scolpito
Dell’innato valore il segno vedi.
85Tu per la merce, che il valor ne agguaglia.
Gli accetti, e sciogli il desïato pegno
Ad altro, che alla sua volta procura
Ciò che gli manchi e la sua voglia punga.
Ma dall’alpe, dal mare e dal cammino
90Lungo ed ignoto i popoli divisi
All’opra loro intendon faticando;
Tanto felici più, quanto più sanno
Quale per essi meglio opra si accordi
Colle interne potenze e cogli influssi
95Della terra e del ciel. Sovra l’ignuda
Roccia disperdi l’infecondo seme,
Che altrove sparso biondeggiar farebbe
Di rigogliose mèssi il campo aprico.
Fra le scoscese balze il vello educa
100Al gregge lieto dell’usato pasco,
E col premuto latte i doni appresta
Già di Pale delizia. Ama la vite
L’uve gioconde maturar sul colle;
Gode l’armento saltellar nel prato;
105Curvano il ramo di leggiadre piante
Eletti pomi all’alito cresciuti

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Di zeffiri soavi: e al caldo raggio
L’aura s’impregna d’arabi profumi.
Del lago in riva colla sua barchetta
110L’uno scioglie le reti, e l’altro atterra
Sull’ardue vette il fragoroso pino,
Che l’ali velocissime spiegando
Indi corre a sfidar l’ira de’ venti.
Altri s’apre le vie dentro le cupe
115Viscere della terra, e il pallid’oro,
Il duro ferro, l’avido carbone
Fuori ne tragge, e le dovizie accresce
Delle arti nostre e gli usi. fortunati
Noi, se per cieca rabbia e ingorda brama
120Mai non si fosse in brando fratricida
Quella punta conversa, onde più folte
Le biade rallegrar doveano i campi,
Che spesso ahi! troppo d’uman sangue rossi
Fur visti biancheggiar d’ossa insepolte.
125Se a tutte cose ogni terren disposto
Da natura non è; se l’arte prende
Da natura consiglio e a lei s’informa;
Se alcun popolo ed uomo a sè non basta,
Della divina provvidenza aperta
130Ecco la mente a voi, turbe profane,
Che alle sue leggi contrastando osate
A vostre leggi assoggettare il mondo.
La parola d’amor, che in dolci nodi
Di fraterna amistà l’uomo congiunge
135All’uomo, fa delle diverse genti
Una sola famiglia. Al verbo eterno
Pone suggello il natural disio,
Il bisogno, l’affetto e la speranza,
Il verace conforto e il certo pegno
140Degli alterni servigi. All’uno giova

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Il ben dell’altro, e il paventato danno
Nuoce ad entrambi. Il libero commercio
Con penne leggerissime portando
Le adunate ricchezze, il suo tesoro
145Fra i più lontani popoli comparte;
Sì che il difetto col soverchio adempia,
Quasi ministro vigile che indaga
E provvede e soccorre e con cent’occhi
Intorno guarda, e cento braccia stende
150In cento parti e cento. Ingrato e stolto
Chi l’uffizio mirabile ne sprezzi,
O ne rallenti e ne distorni il corso;
Onde qual fiume rapido, raccolte
Di mille rivi in sè l’acque, per mille
155Rivi le sparge a ristorar le zolle,
Che di erbette e di fiori indi riveste.
Se delle industri cure il pregio vero
Dal recato servigio si misura,
Dimmi, che vai dalla infeconda spiaggia,
160Orgoglïosa di fabbrili ingegni,
Delle spiche mirar coperto il piano
Nel lido opposto, ove dell’arti amiche
Il suono tace e gentilezza è morta?
Tu la materia a nobile lavoro
165Foggiasti, e indarno dal negato pane
Ne attendi il prezzo. Infracidir le biade
Io vedo, e indarno alla mia volta attendo
Delle tue mani il genïal tributo.
Deh! incontro ci moviam col nostro incarco
170Ma l’ora del cammin tutta si toglie
Alle usate fatiche. Il tempo e il loco
Dell’aspettar, del convenire è incerto;
Qui sovrasta un periglio, e là si asconde
Un terribile agguato; e forse dopo

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175Il faticoso errar torniam delusi
Alle paterne e poveie contrade,
Io colle membra ignude e tu digiuno.
Ma un nume arrise, ne’ mortali petti
Eccitando la indomita favilla,
180Che più la premi e maggior vampo acquista.
Oh! nostro indivisibile compagno
E maestro il dolor, che dal bisogno
Nasce e dal bene al meglio il varco addita.
Gemon le ruote del pesante carro;
185Coll’aure leggerissime trasvola
L’altera nave; dell’adunca falce,
Del sonante martel della bollente
Onda costretta alfin l’opra compiuta,
S’io ne raccolgo e ne dispenso il frutto,
190Opra farò che dispregiata e vile,
Quasi inutile fosse, a te si renda?
Tu sdegnoso rispondi: entro al confine
Delle mie genti il necessario cambio
Io non condanno. Alle straniere merci
195La guerra indíco, e contro ad esse innalzo,
Come a torrente che inondar minaccia
I pingui cólti, un valido riparo,
Che ne contenda il temerario sbocco,
Finchè a me piaccia. Alle mie genti manco
200Non fia che venga il faticare industre,
O si rimpianga la fatal moneta
Le stranie tasche ad ingrossare uscita.
Qui nell’angusta cerchia ove m’aggiro
Di vario clima astringerò le piante
205A vegetar con arte faticosa
Avara e lenta, paventando i doni
Che altrove sparga liberal natura,
Onde fora il cozzar vano; ed escludo

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Le infide gare del serrato campo.
210Al perenne sudor forse mercede
Le mal costrette piante incerta danno
E scarsa e tarda? Di servile omaggio
Il mio tesor non patirà l’offesa
Per accattar più rugiadosi frutti
215Sotto all’estraneo cielo. In mano io prendo
Infallibil bilancia e attento libro.
Quanto più lieve del tuo dono chiedi,
Pel dispendio minore a cui soggiaci,
A me compenso, più ne calco il pondo;
220Sì che alla sorte mia la tua si adegui.
Tu seguitando del felice esempio
I chiari segni, la mia legge imiti.
Io raddoppio il vigor, e l’incruenta
Pugna s’intreccia e il vincitor dal vinto
225Mal si discerne, o vincitor ciascuno
Sempre si crede perdonando al vinto.
I padri nostri insanguinâr le spade
Più d’una volta; al barbaro costume
Succedetter le placide tariffe;
230Indi la gara di sottili astuzie
Negli agitati patti, onde la fama
Poi leva il grido dalle parti avverse.
Ora del vero al balenante raggio
La sofistica nebbia si diradi.
235Tu del commercio libero paventi
Le offerte allor, che dalle esterne mura
Batter presume alle ferrate porte
Che tu gli opponi, rimirando al loco
Onde ti vien, più che al servigio istesso,
240Quando pur fosse desïato e caro
Alla tua gente misera che priva
Di facile, secura e larga vena,

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Zampillante da limpida sorgente
Sulle vette non sue, beve l’impura
245Onda che appena dal cavato pozzo
Nell’infido terreno a sorsi attinge.
Lascia la gente dissetarsi al fonte
Che più le aggrada; con minor fatica
Meglio paga sarà. Novelli studi,
250Più diletti, fecondi e più felici
Sottentreranno all’opre faticose,
Ingrate e lunghe, che l’antica usanza
Spesso chiedeva con amaro inganno.
Perchè ti ostini a popolar di piante,
255Ad altro Sole avvezze, il dorso alpestre
Delle tue rupi? I prezïosi marmi,
Che in se racchiude, a che non traggi? Oh quanti
Frutti soavi alla tua mensa in dono
Io recherò, se ad avvivar concedi
260Al mio scalpel l’invidïato marmo!
Tu il passo neghi: i prezzolati sgherri
Mi circondan, mi frugano, mi spogliano
Con maligno sospetto; e se per caso
Io meco porti il divietato pomo,
265Coi ribaldi sarò nel duro fondo
Di päuroso carcere sepolto.
Delle native scorze intanto serbi
L’acerbo succo ad allegare il dente
Alle turbe soggette; e se l’avaro
270Prezzo giovi al cultor, nuoce alle turbe
L’assottigliata ed ispida vivanda,
La fraudata mercè, l’ordin confuso
Di natura e dell’arte. O tu severo
Di fraude punitor, quasi maestro
275Allor fatto ne sei, che dieci pani
Per la ritrosa falce a dar mi sforzi,

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Che a me per cinque una più dotta incude,
Oltre a quel segno che il tuo dito inscrisse,
Invan prepara. All’assoluto niego
280Troppo si agguaglia il domandar procace
Delle importune e sordide dogane,
Che l’unghia volta alla straniera preda,
Ma del sangue de’ popoli pasciute,
Pretendono salvar il patrio nido,
285Che fan deserto, squallido ed ignudo.
Dalle strette lor forche oh qual s’invola
Audace schiera, che al morir disposta,
Le ribelli impugnando armi, deride
Le umane leggi e alle divine insulta!
290Vuoi, che nell’arca tua scenda il tesoro,
Ch’equabilmente e con securo effetto
Alle bisogne pubbliche soccorra?
Facil tributo e a sopportar leggiero
Chiedi, e l’avrai; che ad evitarlo fôra
295Pel temerario rischio il premio incerto.
Della tua merce si dilata il corso
Alle altrui merci aperto. E quanto cresce
Il recato valor, forse di tanto
La tua ricchezza e la possanza scema?
300Oh vaneggiar delle superbe menti,
Che al fulgore de’ lucidi metalli
Hanno la vista abbacinata e corta!
La tua pecunia del prestato ufficio
Fede mi porge, e il guiderdon ne ottieni,
305Allorchè sciolta dal ferrato pugno
Per l’ufficio richiesto a me la rendi.
A che (ripigli) di vassallo umile,
Che al suo signore il canone tributi,
Io le parti farò, quasi soggetto
310All’antico rival, che il suo mercato

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A sua posta governa? — Egli non fia
A te soggetto men col suo dimando,
Che deluso riman finchè la mano
Incauto neghi alla gentile offerta
315Nè tu la rifiutare, anzi l’accogli
Con lieto viso allor che la tua vinca
Di bellezza e bontade, è minor prezzo
Chieda in ricambio, se minore oltraggio
Ebbe dal loco o dall’ingordo fisco.
320Il proprio carco rovesciar procuri
Sull’emulo vicin; ma il duro colpo
Sulla merce ricade, e doppio peso
Alle mie spalle, che alleviar presumi,
Colla gabella e il gabelliere arrechi.
325D’invidia più che di pietade è degno
Quei, che scotendo l’omero disciolto
D’ogni balzello, per le rotte vie
E mal secure il piede egro trascina.
Tu pel sentiero facile, che appiani
330Con dispendio di tempo e di fatica,
Senza sospetto mercatando vai;
Ma se all’entrare dell’esterna merce
Opponi insuperabile barriera,
A che sudar pel migliorato calle,
335A che vegliar con numerose squadre?
Il terreno s’avvalli e s’impaludi;
Cessan veglie e sudori, e il vóto è pieno.