Che a me per cinque una più dotta incude, Oltre a quel segno che il tuo dito inscrisse, Invan prepara. All’assoluto niego 280Troppo si agguaglia il domandar procace Delle importune e sordide dogane, Che l’unghia volta alla straniera preda, Ma del sangue de’ popoli pasciute, Pretendono salvar il patrio nido, 285Che fan deserto, squallido ed ignudo.
Dalle strette lor forche oh qual s’invola Audace schiera, che al morir disposta, Le ribelli impugnando armi, deride Le umane leggi e alle divine insulta! 290Vuoi, che nell’arca tua scenda il tesoro, Ch’equabilmente e con securo effetto Alle bisogne pubbliche soccorra? Facil tributo e a sopportar leggiero Chiedi, e l’avrai; che ad evitarlo fôra 295Pel temerario rischio il premio incerto. Della tua merce si dilata il corso Alle altrui merci aperto. E quanto cresce Il recato valor, forse di tanto La tua ricchezza e la possanza scema? 300Oh vaneggiar delle superbe menti, Che al fulgore de’ lucidi metalli Hanno la vista abbacinata e corta! La tua pecunia del prestato ufficio Fede mi porge, e il guiderdon ne ottieni, 305Allorchè sciolta dal ferrato pugno Per l’ufficio richiesto a me la rendi.
A che (ripigli) di vassallo umile, Che al suo signore il canone tributi, Io le parti farò, quasi soggetto 310All’antico rival, che il suo mercato