175Il faticoso errar torniam delusi Alle paterne e poveie contrade, Io colle membra ignude e tu digiuno.
Ma un nume arrise, ne’ mortali petti Eccitando la indomita favilla, 180Che più la premi e maggior vampo acquista. Oh! nostro indivisibile compagno E maestro il dolor, che dal bisogno Nasce e dal bene al meglio il varco addita. Gemon le ruote del pesante carro; 185Coll’aure leggerissime trasvola L’altera nave; dell’adunca falce, Del sonante martel della bollente Onda costretta alfin l’opra compiuta, S’io ne raccolgo e ne dispenso il frutto, 190Opra farò che dispregiata e vile, Quasi inutile fosse, a te si renda?
Tu sdegnoso rispondi: entro al confine Delle mie genti il necessario cambio Io non condanno. Alle straniere merci 195La guerra indíco, e contro ad esse innalzo, Come a torrente che inondar minaccia I pingui cólti, un valido riparo, Che ne contenda il temerario sbocco, Finchè a me piaccia. Alle mie genti manco 200Non fia che venga il faticare industre, O si rimpianga la fatal moneta Le stranie tasche ad ingrossare uscita. Qui nell’angusta cerchia ove m’aggiro Di vario clima astringerò le piante 205A vegetar con arte faticosa Avara e lenta, paventando i doni Che altrove sparga liberal natura, Onde fora il cozzar vano; ed escludo