Ma se taluno a maneggiar si sforzi 40E la marra e la spola a un tempo, e l’ago E la sega e il martel, mentre le carte Nacque forse a vergar con fama eterna, Oh! quanta gloria a se medesmo e quanto Lume fura alle genti, e quanto scarsa 45Nell’ostinata, e improvvida tenzone Avrà mercede delle lunghe veglie, Dello sparso sudor, delle infelici Opposte cure. I disparati arnesi, Ozïosi talora e ingrati sempre, 50Male trattando con incerto nerbo Di loco in loco, il sacrifizio certo Andrà piangendo allor che l’ora scocchi, Al fosco velo della tarda sera, In cui lacero, stanco ed abbattuto 55Nelle squallide stanze entri, dal fischio Non difeso dell’orrida bufera, E sull’infido e barcollante scanno Assiso guardi alla deserta mensa.
Come ogni terra a fecondare i semi 60Atta non è delle diverse piante, Che dell’ardente Sol bevono i raggi, O innamorate del benigno riso Della tiepida zona aman di fiori Nel verde maggio incoronar le chiome, 65O della scorza rigida riparo Fanno agl’insulti della fredda bruma; Così di tempra e d’indole diversi, In vario di fortuna ordine posti, Gli uomini sono per natura acconci, 70E dalla sorte apparecchiati a varie Prove sublimi od umili fatiche, Di sprezzo no, ma d’onoranza degne,