Il ben dell’altro, e il paventato danno Nuoce ad entrambi. Il libero commercio Con penne leggerissime portando Le adunate ricchezze, il suo tesoro 145Fra i più lontani popoli comparte; Sì che il difetto col soverchio adempia, Quasi ministro vigile che indaga E provvede e soccorre e con cent’occhi Intorno guarda, e cento braccia stende 150In cento parti e cento. Ingrato e stolto Chi l’uffizio mirabile ne sprezzi, O ne rallenti e ne distorni il corso; Onde qual fiume rapido, raccolte Di mille rivi in sè l’acque, per mille 155Rivi le sparge a ristorar le zolle, Che di erbette e di fiori indi riveste.
Se delle industri cure il pregio vero Dal recato servigio si misura, Dimmi, che vai dalla infeconda spiaggia, 160Orgoglïosa di fabbrili ingegni, Delle spiche mirar coperto il piano Nel lido opposto, ove dell’arti amiche Il suono tace e gentilezza è morta? Tu la materia a nobile lavoro 165Foggiasti, e indarno dal negato pane Ne attendi il prezzo. Infracidir le biade Io vedo, e indarno alla mia volta attendo Delle tue mani il genïal tributo. Deh! incontro ci moviam col nostro incarco 170Ma l’ora del cammin tutta si toglie Alle usate fatiche. Il tempo e il loco Dell’aspettar, del convenire è incerto; Qui sovrasta un periglio, e là si asconde Un terribile agguato; e forse dopo