Saggi poetici (Kulmann)/Parte terza/Omero il giovane

Parte terza - Omero il giovane

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OMERO IL GIOVANE


L’INVITO

Parrasio ti saluta,
     Armonioso nepote
     Dell’immortale Omero!
Artemidoro, amato
     5Da quel Nume custode
     Delle ricchezze ascose
     Nel seno della terra,
     Vuole, tosto che ’l sole
     Abbandonando il cielo
     10Scenda nel mare, in mezzo
     Agli amici con lauta
     Cena il dì celebrare,
     Che gli diede la vita.
     Gran numero di donne,
     15Delle Grazie rivali,
     Abbelliran la festa.
     Ma al più gajo banchetto
     Sempre manca il più bello
     Fregio, se riman privo
     20Della voce soave
     D’un ispirato vate.
     Non rifiutar, nepote
     Del prence de’ cantori,
     Soddisfare la brama
     25D’Artemidoro, ornando
     Colla presenza tua
     Il pomposo festino.
     Condiscende a dar qualche
     Lode all’uom fortunato,
     30Ch’apertamente i Numi
     Colmano d’ogni bene.
     Chi mai tal compiacenza
     Rimproverar vorrebbe
     Al benevolo vate?
     35Riconoscente al certo
     Artemidor daratti
     In grato guiderdone
     Od un tripode argenteo
     Che non sentì l’ingiurie
     40Del struggitore fuoco,
     O bellissima tazza
     Di puro oro fregiata.


LA RISPOSTA

No, no, non voglio all’ira
     Delle Camene espormi,
     Ed arrischiar che ’l dono
     Mi tolgano del canto!
     5Non isperar, ch’io mai
     Dall’auro accecatore
     

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     Sedotto, ora consenta
     A coronar la fronte
     D’uom vanaglorïoso.
     10Cogli immortali fiori,
     Che dall’eterea sede
     Mi largiro benigne
     Le protettrici Muse.
     Me li diero le Dive,
     15Affinchè ne cingessi
     Le tempie del mortale
     Od autore di gesta
     Utili a pro dell’uomo,
     O d’atto generoso,
     20Puro d’ambizïone
     O di vile interesse.
Ecco dell’immortale
     Omero le parole,
     Quando la dignitade
     25Conferiva di Vate.
     «Chi fra i Re con saviezza
     Le sue genti governa;
     Il guerrier generoso
     Che per la patria lieto
     30Sparge il sangue; l’industre
     Creatore di nuova
     E util arte, consegna
     I nomi lor, conservali
     All’immortalitade.
     35Non obliar tu mai,
     Che ’l Poeta, al ciel caro,
     Distributor, custode
     D’eterna gloria nasce.
     Pratica l’alto impiego
     40Con innocente core.
     Muore l’alloro, ond’orna
     Fronti ignote od indegne
     Cupida man venale;
     Muore del par l’alloro,
     45Onde sè stesso cinge
     Vate ch’avido vende
     Il trafficato lauro.
     Al cantore perdonano
     Sol allora le Muse
     50Un error momentaneo
     Quando dall’illusioni
     Dell’amore sedotto,
     Ei co’ più vaghi fiori
     La bellezza corona.


OMERO PADRE DELLA POESIA

Nè campo all’auree messi,
     Nè prato all’ampie mandre,
     Nè tetto avito aspetta
     4Me orfano dalla cuna.

Ma con immenso amore
     Stringemi al cor la madre,
     Tutta vivendo e solo
     8Nel pargoletto Omero.

Col suo velo difende
     Me contro la ria mosca,
     E va pian piano e teme
     12Me dormente svegliare....

Passan ne’ dì solenni
     Innanzi a me superbi
     I miei compagni, d’auro
     16E di porpora adorni;

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Ma nelle ore ozïose,
     Quando ne aduna il giuoco,
     Lor orgoglio s’abbassa,
     20Me scelgono per Duce:

Che fra loro il più ardito,
     Ingegnoso e spedito
     Io sono: nullo ardisce
     24Mai d’opporsi al mio cenno...

Eccoci giovanetti!
     A te, Clio, come le api,
     Giriam d’intorno: un gli avi,
     28L’altro i tesor suoi vanta.

Omero, nè tesori
     Spaccia, nè nobil avi,
     Non ha che i dolci detti,
     32E la man Clio gli porge...

Felicità che fugge
     Mi lasciò in preda ai morsi
     Di negra invidia, ond’io
     36Il mio tetto lasciai.

Val meglio, dissi, all’onde
     Fidarsi in frale barca,
     Che rimaner fra gente
     40Ad insidiar sol pronta.

Vidi errando diverse
     Contrade, feste, usanze,
     Vizj, virtù, costumi,
     44E i savj consultai....

Di nuovo eccomi in porlo:
     Numi, a che prò? negli occhi
     Più non penetra il sole!
     48Son quasi vivo in tomba!»

Così esala l’illustre
     Vate un dì il suo dolore.
     Ma fra breve gli chiude
     52Placido sonno i lumi.

Tal lo trovàr gli amici.
     «Qual fiamma gli arde il volto!
     Par che dagli occhi estinti
     56Scoppino mille lampi!

Tutte le facoltadi
     Dell’alma sono in moto:
     Vedesi ch’egli è mosso
     60Da piacevole sogno»...

Ecco gli sta sul capo,
     Qual radïante stella,
     Giovane Dea, ch’aduna
     64D’Ebe e d’Atene i vanti

Lieve benda biancheggia
     Tra il crin folto, la destra
     Tiene aureo scettro ond’esce
     68Ammaliante splendore.

Nacque dal capo augusto
     Di Giove la Saviezza,
     E dal tuo nacque, o Omero,
     72La Poesia divina.

Degna figlia del padre,
     Sotto un velo ella espone
     La divina tua mente
     76Ai frali occhi mortali.

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IL RAPSODO


«Tua fedeltà lodiamo:
     Ma chi morì non torna
     In vita, così scegli
     4Fra i viventi a tuo genio!»

Così de’ consanguinei
     Stringon Ino a scordarsi
     D’Arato, e a dar la mano
     8All’amoroso Eveno.

De’ parenti le instanze
     E le virtù d’Eveno
     Indussero la mesta
     12Ino ad acconsentire.

Già sull’immenso foro
     Sovra levati seggi
     Il consesso de’ vecchi
     16I fidanzati attende.

Pronte vezzose donne,
     A cui vezzi risalto
     Dan l’azzurrina veste
     20E ’l lungo roseo velo,

Che svolazzante cade
     In su le nivee spalle,
     Figuravan ballando
     24Un laberinto vago.

La lor danza cessata,
     Giovanetti guerrieri
     Con aurate corazze
     28E coll’ignude spade,

Formano con destrezza
     E forza sorprendente
     L’antichissima danza
     32Che da’ Cretesi ha nome.

Si prepara d’intorno
     La nuziale cena,
     E le vicine piante
     36Offrono i loro frutti.

Già gran tempo il pianeta
     Coricossi nel mare1,
     Già nell’azzurra volta
     40Appariscon le stelle.

Ecco all’opposto lato
     Degli araldi la voce
     Suona, e pian piano avanza,
     44Al chiaror delle torce,

In vestimenta ricche
     La baldanzosa torma
     Degli scelti compagni
     48Del giovinetto sposo.

Si alza tre volte il grido
     E ne rimbomba l’aria:
     «Felicità lor date
     52E lunga vita, o Numi!»

Dalla folla rinchiusi,
     Stannosi inteneriti
     Gli sposi, quando a loro
     56Vengono due fanciulli.

Essi sovra aureo piatto
     Lor presentan due serti,
     Onde cingersi deve
     60Degli sposi la fronte.

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Essi li porteranno
     Due volte: oggi, nel giorno
     Delle nozze gioconde,
     64E — nell’andar sotterra.

Sta la sposa fregiata
     Al par d’una regina,
     Tutta d’oro coperta;
     68Non men somiglia un’ombra.

Appoggiata sul braccio
     Del fratel, va alla cena,
     Ove sedono in cerchio
     72Amici e consanguinei.

Si diffonde crescendo
     Un giocondo bisbiglio,
     E le torce odorose
     76Illuminan la scena.

Dall’azzurro palagio
     O dalle nebulose
     Momentanee lor tende
     80Guardano giù le stelle.

Ed i monti vicini,
     Ch’ora sembran più neri,
     Mandano i lor profumi
     84In sull’ale de’ venti.

Già decrescon le faci,
     E gl’istromenti tacciono;
     Quando cantor straniero
     88Ver la mensa s’avanza.

Giovane, ma con lunga
     E chioma e barba e veste
     Di Tracia, un liuto in mano,
     92Stassi ed un cenno aspetta.

«Salve, salve, o cantore
     Dalle terre straniere,
     (Gridano cento voci)
     96Vieni e la festa allegra!»

La numerosa turba
     Intorno a lui fa cerchio:
     Ei nell’ombra si tiene
     100Dai convivi lontano.

Cibi squisiti e vino
     Gli son posti dinanzi:
     Ne gusta e quindi ei tosto
     104Sveglia del liuto il suono.

Tutti ascoltano muti
     I melodiosi accenti;
     Ora al liuto marita
     108Egli la chiara voce:

«D’Epiro ai gioghi alpini,
     Nella più bella valle,
     U’ la Tiamide fredda
     112Ha fra scogli la cuna:

Onde, limpid’ed ampio
     Già fiumicel nascendo,
     Quale covone argenteo,
     116S’alza all’aria fischiando;

Poi ombrosissime bagna
     Selve amate e temute,
     Di fantasmi dimora
     120E d’usignuol canori.

Là in capanna non sua
     Nacque da moribonda
     E vedovella madre
     124Orfanello gentile.

Non immemor del padre,
     Che nell’oscura selva
     Solo privò di vita
     128Un dì tre lupi orrendi,

I villanelli veggono
     Con indicibil gaudio
     Il modesto fanciullo
     132Frequentar la lor prole.

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Dalla tenera etade
     Egli degno mostrassi
     Del genitor, cercando
     136La società de’ prodi.

Ma nelle selve errando
     Non divenne selvaggio,
     Vanno sovente uniti
     140Valore e cortesia.

Coi compagni già adulti
     Il giovanetto un giorno
     Ad annua festa assiste
     144Della vicina valle.

Tutti ammiran l’ardito
     Cacciatore leggiadro,
     Colla spoglia vestito
     148D’un cinghiale ch’uccise.

Egli vede ballando
     Vergine d’alti vezzi:
     L’atra spoglia d’un mostro
     152Cuna d’amor diviene.

Anche del cacciatore
     Il ritratto rimane
     Alla donzella in mente;
     156Ma l’immagine sua

Sempre presente e chiara
     Splende nel cor del prode,
     Qual di continuo il sole
     160Nelle isole beate.

Un dì, fra le fiorite
     Rovine d’arco antico,
     L’alma ripiena di ossa,
     164Ei la rincontra a caso.

Qual un lampo, il pensiero
     Tutto il core gli ingombra:
     «Sì, sono amato!» Ei ratto
     168All’idol suo sen corre.

Non invidiando i Numi,
     Egli a sua valle riede;
     Ma per la prima volta,
     172Di sua miseria piange.

«Me la rifiuteranno
     I ricchi genitori,
     L’unica loro erede —
     176A chi non ha capanna!...»

Subito nelle valli
     Suona il grido di Marte
     «Apparecchiate l’armi,
     180Tracio stuolo s’inoltra!»

L’intrepido garzone
     Colla vanguardia parte,
     E l’idolo diviene
     184Di veterana schiera.

Egli a sè stesso dice:
     «M’ingrandirà la gloria,
     Col suo splendido ammanto
     188Coprirà mia indigenza!»

Ecco principia l’atra
     Sanguinolente zuffa:
     Son stupiti i più esperti
     192Dal furor del nemico.

A ognun per l’ossa corre
     Freddo tremor, veggendo
     Del giovine guerriero
     196L’indomito valore.

Cuopri l’arena il sangue.
     La vittoria s’inchina
     Ora dall’uno ed ora
     200Dall’altro stuolo incerta.

Il giovinetto aduna
     Non copioso drappello
     D’altri inesperti amici,
     204Ma stranieri al timore:

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E con essi si slanda
     Ratto in mezzo ai nemici:
     Ei temerario assale
     208Il condottier possente.

Il conoscon dall’elmo
     Ch’ha le penne dell’aquila,
     E dall’aurato scudo
     212Coll’orribile drago.

Incomincia l’atroce
     Ineguale conflitto;
     Già l’impavida turba
     216Cinge l’esperto duce.

Tutti, sprezzando i colpi
     Del cavaliere accorto,
     L’incalzano con cieca
     220Rabbia, che sempre cresce.

Lui, piagato alla gola
     L’ajutador cavallo,
     D’un fendente anco piaga
     224Il cavalier crollante:

E alfin, benché di sangue
     Ricoperto, rïesce
     A staccar dal destriero
     228Il prigioniero duce.

Tosto il grido rimbomba:
     Vittoria! e d’una all’altra
     Falange si ripete.
     232Fugge lo stuol nemico.

Ha sulla fronte Arato
     Profonda ampia ferita,
     Ma non mortal. Da questo
     236Dì si chiama l’Eroe.

L’Apso dall’onde ratte,
     Ove finì la guerra,
     Altre sue gesta vide
     240Più generose ancora.

Era nell’oste greca
     Un de’ duci, da’ suoi
     Odiato, perchè umano
     244I prigionier trattava.

Anch’ei nella tremenda
     Pugna, che in rosso tinse
     D’Apso le rapid’onde,
     248Combattè da leone.

Ma, al fine della zuffa,
     Il valoroso duce
     Fu da freccia nemica
     252Nella gamba ferito.

L’oste greca vittoria
     Sanguinolente ottenne,
     Il rovesciato Trace
     256Colla fuga salvossi.

Scorge Arato nel mezzo
     Al fuggitivo stuolo
     Quel duce che seguiva
     260Un cavaliero a stento.

Vede ancora, che questi
     Coll’inuman flagello
     Stimola i lenti passi
     264Del prigionier ferito.

Bollegli d’ira il core.
     «Andiam», grida, «o fratelli.
     A strappar dalle mani
     268D’un masnadiero il duce!»

È seguito da pochi,
     E dai più biasimato.
     Ratto, quale baleno,
     272I fuggitivi giunge.

Ha liberato il duce.
     «Ecco,» gli disse, «il mio
     Destrier, va, giungi i nostri!
     276Me salverà la spada.» —

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Pagherotti, se i Numi
     Ne son propizj, amico,
     Il mio debito, quanto
     280Si può, nel patrio nido.

Così dicendo il duce
     Si salvò. O cruda sorte!
     Del liberato i ceppi
     284Porta il liberatore....

Ma bentosto gli rendi
     Tu libertade, o Amore!
     Egli ha servito appena
     288L’aspro padrone un anno;

E già sapea l’idioma
     Della barbara gente,
     Ed al Trace stupito
     292Achivi carmi ei canta.

Fabbricatosi un liuto
     Con risuonanti corde,
     Egli accompagna l’alta
     296Melodiosa sua voce.

Tosto il giusto padrone
     Lo distinse dagli altri
     Prigionieri e gli impose
     300Più leggieri lavori.

Brama il Re di vedere
     Il cantore ed il liuto.
     Egli del Re guerriero
     304Canta il valore, e piace.

Più ch’al Sovrano, ei piacque
     Alla real fanciulla.
     Sparsa è la turba appena,
     308Ch’ella disse al cantore:

«Di miglior sorte degno
     Tu sei, cantor soave:
     Me vorresti tu sposa?
     312Mcco viver vorresti?»

Gl’inaspettati detti
     Gli tolser la favella.
     Ella gli disse: «Vieni
     316Coll’aurora sul monte!»

Egli col far del giorno
     Presso al monte l’attende.
     Vien su destriero alato
     320La reale donzella.

Intenerita i detti
     Della sera ripete:
     «Potresti tu, straniero,
     324Meco viver felice?»

Ei tace e ’l capo inchina.
     La donzella gli dice:
     «Eccoti il brando mio,
     328Eccoti ’l mio destriero.

«Greco! nel cor ti siede
     Una Greca! va, dille:
     Me ti da, benchè amante
     332Barbarica donzella...

Tu questo fiume segui,
     Che condurratti all’Apso.
     Eccoti un dono in prova
     336Quanto caro mi fosti!»

Eccolo nella patria:
     Camminando ei ripete
     Sempre i detti, che disse
     340Lacrimando l’amante,

Presso ai fioriti avanzi
     Del monumento antico,
     Dove la prima volta
     344Essi diersi la mano:

«Addio, idolo mio,
     Sianti propizj i Numi!
     Vivo o morto, per sempre
     348Rimarrotti fedele!

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(«É desso!» sospira Ino,
     Dal fratei sostenuta)
     Ei nella valle viene,
     352Che la Tiamide bagna.

«Come? tu vivo? donde
     Ne vieni? Eroe! Duce!
     Ecco la casa mia!
     356Ei mi salvò la vita!

A me salvo lo sposo!
     A me ’l fratel! A noi
     Il genitor! Piangemmo,
     360Caro duce, tua morte!

Oggi riposa il corpo
     Dal camminare esausto;
     Andrem teco domani
     364Alla vicina valle.

Là le superbe nozze
     Si celebran d’Eveno,
     Che con alto valore
     368Tu sull’Apso salvasti.

Egli la doviziosa
     E modesta Ino sposa...»
     Qui lo straniero tacque.
     372Eveno corre a lui.

«Arato, tu? La larga
     Cicatrice ravviso.»
     Lo straniero tacendo
     376Mestamente lo fissa.

«Grazie, benigni Dei,
     Che il conduceste a tempo
     Al nativo suolo!... Ino!
     380Ecco lo sposo tuo!

Tu non hai colpa alcuna!
     De’ parenti l’istanze,
     La creduta sua morte,
     384E l’ignoranza mia,

Che quell’Arato istesso,
     A cui son debitore
     Dell’esistenza mia,
     388Siasi d’Ino l’amante.

Ella sempre fedele
     Ti rimase: da lei
     Mai non udii parola,
     392D’amore indicatrice.

Non ricusar gli amplessi
     Ed i voti d’Eveno! ,
     Quanto promisi, o Arato,
     396Or tutto adempio, il vedi.»


L’OMERIDE AL FIGLIUOLO

A distaccarti impara
     Dagli onori e dall’oro,
     Le tue brame rinchiudi
     4In cerchio angusto e stavvi.

Sua povertà superba
     Ne legò il divo Omero.
     Dando a suoi Re palagi
     8Più splendenti del sole.

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Egli stesso, l’umane
     Vanitadi sprezzando
     Assimilossi ai Numi
     12Ignoranti le cure.

«Di mia lode qual pregio
     Mai può farne Eroe,
     Se comprarla coll’auro
     16Il puote ogni alma vile?

«Sol allora d’Omero
     Viverà eterno il nome,
     E sfuggirà sublime
     20Dell’oblivione al fato:

«Se veritade sola
     Regge mia man severa
     Nell’improntare ai fatti
     24Laude o biasimo eterno.

«Coi posteri sol viva
     Libero il Vate e spregi
     Il presente! che il cielo
     28Ricovero daragli.»


GLORIA DELLA LIRA

A passo tardo e lento
     L’Ellesponto varcava
     La Notte; al Dì cedendo;
     Poco a poco l’Aurora
     5Coronava di rose
     La maestosa fronte
     Dell’Ida ricco d’acque;
     Allor che, sulla riva
     Del tranquillo Scamandro,
     10Un villanel, che ’l magro
     Campo suo lavorava,
     Subito a sè dinanzi
     Uno straniero vide,
     Abitator, parea,
     15Della vicina Chio
     O d’una delle tante
     Amenissime Cicladi.
     L’alta fronte gli adombra
     Argentea rara chioma,
     20Barba ondeggiante e bianca
     Tutto il mento gli involve;
     Con istupor lo guarda
     Il cultor, chè gli sembra
     Non uom simile a lui,
     25Ma veder maestoso
     De’ tempi antico avanzo.
     «Dimmi, figlio diletto,»
     Lo straniero gli disse,
     «Questi fiumi che l’onda
     30Chiara fra lor confondono,
     Non sono essi ’l tranquillo
     Scamandro e ’l Simöente
     Rapido e vorticoso,
     Ambo figliuoli illustri
     35Dell’Ida ai cento fonti?» —
Tu non errasti, o padre!
     Il villanel rispose —
     «Ma come? qui non veggio
     Le sì famose tombe
     40D’Achille e d’Ajace, ambo
     Sull’avanzate punte
     Del porto degli Achei!» —

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Achille? Ajace?! Ho scorsa
     La giovinezza mia,
     45E ora passo l’avanzo
     Della vccchiaja mia,
     Qui nel nativo suolo;
     Ma non intesi mai
     Questi nomi finora.
     50Dimmi, o padre, chi furo
     Questi Achille ed Ajace? —
La veneranda fronte
     Dello stranier si cuopre
     D’una nube di duolo
     55Mestamente egli disse:
     «Erano i forti duci
     Delle greche bandiere,
     Che vendicando l’alta
     Ingiuria ricevuta,
     60Rovesciarono Troja,
     Delle città regina.
     E gli avanzi superbi,
     Mezzo coperti d’erba
     E di piante fronzute.
     65Vedi là appiè del monte.» —
Dice fama, che questa
     Città fu rovesciata
     Dalla destra di Giove.
     Dalla tua bocca, o padre,
     70Oggi la prima volta
     Il di lei nome ascolto. —
Malinconica nube
     Vieppiù densa ricuopre
     Dello stranier la fronte,
     75E con voce sommessa,
     Quasi esplorando, disse:
     «Cantò que’ capitani
     E la città distrutta
     Omero.» —
                    Omero! Omero,
     80Il figliuolo di Mela,
     L’ispirato cantore
     D’Apollo e di Ciprigna,
     E degli altri immortali;
     Omero, oh! questo nome
     85A noi non è straniero.
     Egli nacque nell’aspra
     E montagnosa Chio;
     Fu del cieco cantore
     Indivisa compagna
     90L’arida povertade
     Dalla cuna alla tomba;
     Di sua miseria in premio
     Or ei Nume immortale
     Vive nel cor degli uomini:
     95E ’l suo nome del tempo
     Sulle instancabil’ali
     Passa lucido e chiaro
     Ai secoli venturi. —
Sgombra a queste parole
     100La tenebrosa nube
     Dello stranier la fronte,
     E diresti che gli occhi,
     Poco fa così foschi,
     Or di gioja lampeggino,
     105«Vedi tu là sul colle,»
     Il villanel riprese,
     «Quel bel tempio, sacrato
     Al gran Delfico Nume?
     Partecipar volendo
     110All’annua nostra festa,
     Abbandonai la casa
     Allo spuntar dell’alba,
     Affinchè, lavorato
     Il camperello mio,
     115Frammischiarmi potessi
     Alla festosa torma
     De’ cantori, che tosto,
     Questa strada seguendo,
     Se n’andranno a quel tempio.»
120Or luminoso ascende
     Il mattutino sole,
     E la sublime vetta
     Di tutto l’Ida indora.
     Subito un chiaro suono,
     125Rimbombando ne’ monti,

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     Placido si diffonde;
     Poi dal vicino bosco
     Esce ’l festoso coro.
«O padre, ascolta l’inno,»
     130Il villanello disse
     Al venerando vecchio,
     «Ch’ora stan per cantare!»
Coro degli Uomini
Chi tra i cantor sublimi,
     Ch’ispirò ’l Delio Nume,
     135Più d’ogni altro ti piace,
     Armonïoso stuol?
Coro dei Giovani
L’impareggiabil Vate
     Della scoscesa Chio,
     I cui canti dei secoli
     140Certo trionferan.
A que’ detti l’augusto
     Viso dello straniero
     Di visibile e somma
     Contentezza s’avvampa.
     145Ma qual talor del sole
     Il ritratto fallace
     Fra le nubi rinchiuso,
     Il vedi a poco a poco
     Impicciolito perdere
     150Sua luce e poi sparire;
     Così dello straniero
     Gli umani tratti agli occhi
     Del villanel sorpreso
     Vengono a poco a poco
     155Men distinti, men chiari,
     Si ristringono e sono
     Quasi già trasparenti;
     Alfin simili a nebbia
     Sottilissima e lieve,
     160Disfecersi nell’aere:
     Era l’ombra d’Omero.

Note

  1. Nell’Epiro le nozze si celebravano di notte. Pouqueville.