Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 236 — |
(«É desso!» sospira Ino,
Dal fratei sostenuta)
Ei nella valle viene,
352Che la Tiamide bagna.
«Come? tu vivo? donde
Ne vieni? Eroe! Duce!
Ecco la casa mia!
356Ei mi salvò la vita!
A me salvo lo sposo!
A me ’l fratel! A noi
Il genitor! Piangemmo,
360Caro duce, tua morte!
Oggi riposa il corpo
Dal camminare esausto;
Andrem teco domani
364Alla vicina valle.
Là le superbe nozze
Si celebran d’Eveno,
Che con alto valore
368Tu sull’Apso salvasti.
Egli la doviziosa
E modesta Ino sposa...»
Qui lo straniero tacque.
372Eveno corre a lui.
«Arato, tu? La larga
Cicatrice ravviso.»
Lo straniero tacendo
376Mestamente lo fissa.
«Grazie, benigni Dei,
Che il conduceste a tempo
Al nativo suolo!... Ino!
380Ecco lo sposo tuo!
Tu non hai colpa alcuna!
De’ parenti l’istanze,
La creduta sua morte,
384E l’ignoranza mia,
Che quell’Arato istesso,
A cui son debitore
Dell’esistenza mia,
388Siasi d’Ino l’amante.
Ella sempre fedele
Ti rimase: da lei
Mai non udii parola,
392D’amore indicatrice.
Non ricusar gli amplessi
Ed i voti d’Eveno! ,
Quanto promisi, o Arato,
396Or tutto adempio, il vedi.»
L’OMERIDE AL FIGLIUOLO
A distaccarti impara
Dagli onori e dall’oro,
Le tue brame rinchiudi
4In cerchio angusto e stavvi.
Sua povertà superba
Ne legò il divo Omero.
Dando a suoi Re palagi
8Più splendenti del sole.