Ma nelle ore ozïose,
Quando ne aduna il giuoco,
Lor orgoglio s’abbassa,
20Me scelgono per Duce:
Che fra loro il più ardito,
Ingegnoso e spedito
Io sono: nullo ardisce
24Mai d’opporsi al mio cenno...
Eccoci giovanetti!
A te, Clio, come le api,
Giriam d’intorno: un gli avi,
28L’altro i tesor suoi vanta.
Omero, nè tesori
Spaccia, nè nobil avi,
Non ha che i dolci detti,
32E la man Clio gli porge...
Felicità che fugge
Mi lasciò in preda ai morsi
Di negra invidia, ond’io
36Il mio tetto lasciai.
Val meglio, dissi, all’onde
Fidarsi in frale barca,
Che rimaner fra gente
40Ad insidiar sol pronta.
Vidi errando diverse
Contrade, feste, usanze,
Vizj, virtù, costumi,
44E i savj consultai....
Di nuovo eccomi in porlo:
Numi, a che prò? negli occhi
Più non penetra il sole!
48Son quasi vivo in tomba!»
Così esala l’illustre
Vate un dì il suo dolore.
Ma fra breve gli chiude
52Placido sonno i lumi.
Tal lo trovàr gli amici.
«Qual fiamma gli arde il volto!
Par che dagli occhi estinti
56Scoppino mille lampi!
Tutte le facoltadi
Dell’alma sono in moto:
Vedesi ch’egli è mosso
60Da piacevole sogno»...
Ecco gli sta sul capo,
Qual radïante stella,
Giovane Dea, ch’aduna
64D’Ebe e d’Atene i vanti
Lieve benda biancheggia
Tra il crin folto, la destra
Tiene aureo scettro ond’esce
68Ammaliante splendore.
Nacque dal capo augusto
Di Giove la Saviezza,
E dal tuo nacque, o Omero,
72La Poesia divina.
Degna figlia del padre,
Sotto un velo ella espone
La divina tua mente
76Ai frali occhi mortali.