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IL RAPSODO
«Tua fedeltà lodiamo:
Ma chi morì non torna
In vita, così scegli
4Fra i viventi a tuo genio!»
Così de’ consanguinei
Stringon Ino a scordarsi
D’Arato, e a dar la mano
8All’amoroso Eveno.
De’ parenti le instanze
E le virtù d’Eveno
Indussero la mesta
12Ino ad acconsentire.
Già sull’immenso foro
Sovra levati seggi
Il consesso de’ vecchi
16I fidanzati attende.
Pronte vezzose donne,
A cui vezzi risalto
Dan l’azzurrina veste
20E ’l lungo roseo velo,
Che svolazzante cade
In su le nivee spalle,
Figuravan ballando
24Un laberinto vago.
La lor danza cessata,
Giovanetti guerrieri
Con aurate corazze
28E coll’ignude spade,
Formano con destrezza
E forza sorprendente
L’antichissima danza
32Che da’ Cretesi ha nome.
Si prepara d’intorno
La nuziale cena,
E le vicine piante
36Offrono i loro frutti.
Già gran tempo il pianeta
Coricossi nel mare1,
Già nell’azzurra volta
40Appariscon le stelle.
Ecco all’opposto lato
Degli araldi la voce
Suona, e pian piano avanza,
44Al chiaror delle torce,
In vestimenta ricche
La baldanzosa torma
Degli scelti compagni
48Del giovinetto sposo.
Si alza tre volte il grido
E ne rimbomba l’aria:
«Felicità lor date
52E lunga vita, o Numi!»
Dalla folla rinchiusi,
Stannosi inteneriti
Gli sposi, quando a loro
56Vengono due fanciulli.
Essi sovra aureo piatto
Lor presentan due serti,
Onde cingersi deve
60Degli sposi la fronte.
- ↑ Nell’Epiro le nozze si celebravano di notte. Pouqueville.