Roveto ardente/Parte prima/III

III

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III.

Scalze, succinte, coi busti rigidamente eretti, coi nudi colli bronzini emergenti dai vividi fazzoletti a fiorami, con le brune gote, somiglianti alla corteccia del melograno, affocate per la fatica, le villanelle scendevano agili i solchi, sostenendo sul capo i canestri rotondi, coperti dal mantìle esalante odore di spigo.

Al loro passaggio i mietitori, senza sostare dal lavoro, lanciavano frizzi, cui le portatrici rispondevano con altri frizzi o con cori chiassosi di risate provocatrici.

Tutto spirava sanità e letizia in quella matti nata di giugno, tutto assumeva carattere quasi di rito sacro sotto l'aperto cielo fiammante di luce, entro la cerchia dei colli aurati, offerenti agli umani spighe massicce come se di oro purissimo.

Il moto ritmico dei mietitori, che alzavano e curvavano con atto lento e uniforme le ampie spalle, su cui aderivano le camicie di rozza tela; [p. 51 modifica]il brillar delle falci, che ora folgoravano in alto come trofei di vittoria, ora sparivano entro il te soro della messe, tosando rapide e sapienti il dorso della terra; il suonar delle voci, sonore nella parole meditate e tarde; il passo cauto delle spigolatrici, trepide nella ricerca delle rare spighe obliate dalle falci; il gesto inconscio, col quale i mietitori crollavano il capo per bagnare le zolle col copioso sudore della loro fronte; il canto piano e aperto di qualche giovanetta smarrita pei sol chi ed esalante in leggiadri stornelli la inconsa pevole gioia di vivere, formavano altrettante note di quella serena melodia campestre.

Allorché le portatrici ebbero deposto a terra i canestri ed allorché i mietitori si furono aggrup pati intorno ad esse per il primo pasto della giornata, parve che tra il cielo e la terra cor resse, in una salutazione angelica, il rinnovamento solenne dell'antico patto, segnato fin dalle origini prime del mondo.

Flora, seduta all'ombra di un pesco, guardava senz'ascoltare, bevendo per gli occhi la gioia e sorridendo alle visioni che le foggiavano intorno danze volubili.

Certo, in tutte le cose ella vedeva Germano, ella sentiva Germano.

Vedeva lo sguardo di lui nei raggi occhieggianti di tra le foglie dell'albero che in quel mo mento le offriva ombra, scorgeva la ben com plessa figura di Germano nei tronchi dei giovani arbusti che sorgevano dal suolo con leggiadra baldanza per Slanciarsi ad attingere vigore dalla luce col ciufifo oscillante dei rami; ne ammirava l'incedere spedito nell'ombra tenue che le cime irrequiete degli alberi facevano ondeggiare sul[p. 52 modifica]l’erba luminosa, e brividiva, riconoscendo nell’alito dell’aria appena mossa, l’alito di Germano, allorché egli, chino verso di lei, le sfiorava, in certo, con le labbra i capelli.

Una spigolatrice, volgendosi a lei dal solco, le disse con bonaria semplicità:

— Guardi chi viene della parte del castello, signorina.

Il cuore della giovanetta ebbe un guizzo impetuoso di piacere.

Ella girò il capo e — al di là dei covoni che, simili a mucchi d’oro, risplendevano sparsi attraverso il campo — vide Germano scendere in fretta per la bianca striscia della via, superare con agile salto la siepe ed avanzarsi spedito alla sua volta.

La giacca, nera e leggerissima, svolazzante nel moto del passo veloce, si gonfiava ai lati e scopriva fino alle ascelle la camicia di color lilla. Le scarpe, di bulgaro avana, rilucevano al sole come specchi, e le ciocche massicce dei capelli neri, di un nero così denso da parere violàceo, uscivano dalle falde di un panama autentico, gettato all’indietro con baldanzosa civetteria. Il viso gli raggiava di tale esuberante felicità, le fresche labbra, accese sotto l’ombra dei baffi, s’inarca vano in un riso di tale schietto fulgore, che Flora provò al cospetto dell’amato il brividio di terrore, onde le antiche ninfe erano prese, nel folto dei boschi, all’apparire di qualche nume desioso.

— Eccomi! — egli disse, ristando di fronte a lei e parlando col fiato grosso. — Mi è parso di sentire la tua voce che mi chiamasse, sono montato in bicicletta, ed eccomi qui. Arrivo dalla città. [p. 53 modifica]Flora, sempre seduta in terra, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il mento appoggiato sui piccoli pugni, guardava di sotto in su, tenendo quasi resupina la faccia delicatamente rosata. I capelli, biondi come gli steli delle spighe testò recise, le tremavano di un tremito cosi leggero intorno alle tempie, che l'aria sem brava circolare furtiva tra essi insieme alla luce.

Si guardavano fervidamente, insaziabilmente; guardandosi, ciascuno pareva trasmettere all'altro qualche cosa della personalità propria, tantoché il viso di Germano assumeva una espressione di soavità quasi femminea, mentre gli occhi cerulei di Flora diventavano scuri per il riflesso di quelle due scure pupille che in essi si sommergevano.

Il fluido dell'attrazione era tale che Flora si senti come sollevata e si trovò in piedi senza saperlo.

Un riso tacito di beatitudine faceva palpitare le loro gole, e l'angusto tratto ombroso, che li isolava dalla luce della circostante campagna, era per essi un circolo magico, entro cui si sentivano divisi dal mondo.

Il cielo, a somiglianza della cupola di una im mensa cappella, largiva alla loro giovinezza l'az zurro suo sfondo, e la terra, ammantata regal mente di messi, si compiaceva forse di loro come di due fiori meravigliosamente belli e vivi, sboc ciati dal suo grembo fecondo.

I mietitori alzavano, a quando a quando, il capo dalla fatica per volgere loro un'occhiata di placida indifferenza, e le spigolatrici, sradicando l'esile fusto e umettando con la punta della lin gua le labbra aride, sorridevano con indulgente malizia. [p. 54 modifica]— Vuoi camminare un poco? — chiese Ger mano.

— Sì, voglio camminare un poco — ella ri spose, provando piacere a ripetere le parole stesse di lui.

— Dove andiamo? — Dove vuoi. — Allora nel bosco? — Sì, nel bosco. E poiché il sole era cocente e dovevano at traversare un'ampia spianata, Germano si tolse il cappello e lo posò, ridendo, sulla testa di Flora, la quale, col suo vestitino di batista bianca a piccoli punti neri, col grembialino nero, da edu canda, allacciato intorno alla vita sottile, somi gliava a una bimba troppo precocemente cre sciuta in altezza. I due giovani, attraversato il campo, dove i solchi erano ispidi per gli steli recisi, e varcato il sentiero, presso l'orlo di cui i covoni già si ammucchiavano a formare le biche, entrarono fi nalmente nella frescura del piccolo bosco. Essi non erano turbati da nessun desiderio scomposto. La fanciulla ignorava il male e, quanto a Germano, egli dal giorno in cui, durante la brutalità di un'avventura passeggera, il suo pen siero era volato a Flora, sovrapponendo, nello scompiglio dei sensi, la pura immagine diletta alla donna reale che rideva, di un riso ebete nelle sue braccia, aveva provato una ribellione irosa contro se stesso. Fu dunque con gesto tutto buono che egli le mise il braccio intorno alla vita, mentre Flora camminava silenziosa al suo fianco, limitandosi a [p. 55 modifica]esalare nei sospiri frequenti la piena della dol cezza che le gravava sul cuore.

— Perchè sospiri? --- egli le chiese, abbassando la voce nella tema che l'aria disperdesse l'essenza di tenerezza chiusa nel suono delle sue parole.

Flora sospirò di nuovo, più a lungo, poi, crol lando il capo con moto lieve, rispose lentamente, quasi interrogando sè stessa:

— Non so perchè sospiro, ma sento qui — e portò a sommo del petto la piccola mano — uno struggimento che mi fa tanto male — e, socchiu dendo appena le palpebre, gittò indietro la testa con abbandono.

Il cappello cadde e la faccia di lei apparve pallida come di perla, soffusa di letizia nel raggio dello sguardo velato, ma leggermente contratta pel tremito delle labbra.

— Flora! Flora! — egli supplicò — Cos'hai? Cosa ti senti? Sei pallida e tremi. Perchè?

Ella rise infantilmente, lieta del terrore di lui. — Non ho nulla. Adesso è passato. Forse ho preso troppo sole. E poi... E poi... — ella sog giunse peritosa, chinando il capo e corrugando la fronte, come per la concentrazione del pen siero nella indagine di un fenomeno che le sfug giva — e poi sento che morirei, se dovessi re starti vicina sempre. — O cara — egli mormorò con accento di adorazione e, lasciatosi cadere in ginocchio, le chiuse la vita nella cerchia delle braccia, te nendosela alquanto discosta per contemplarla me glio, per meglio accarezzarle con lo sguardo i pallidi capelli, la bianca faccia, la tenue linea delle spalle, la delicata curva del seno e le due ripie gature, appena percettibili, che la stoffa dell'abito [p. 56 modifica]faceva, secondando la sporgenza convessa dei gi nocchi.

— Alzati — ella disse, sciogliendosi dolce mente dal nodo delle inani intrecciate di lui; e poiché egli rimaneva estatico, balbettando a fior di labbra parole di smarrimento, Flora si chinò, raccolse il cappello ancora giacente al suolo, lo ripose sulla testa di Germano e, dando un balzo all'indietro, esclamò con fanciullesca, gaia petu lanza:

— Io fuggo. Arrivami! --=· e cominciò a cor rere velocissima per il viottolo, facendo risuonare il bosco di acute grida giulive.

Germano, calcatosi con un pugno il cappello sul capo, si dette ad inseguirla; ma i rami in tricati, attraverso cui Flora passava curvandosi, schermendosi, sguisciando e strisciando, erano di ineiampo all'inseguitore, il quale si appiattava ora dietro un cespuglio, ora al riparo di un tronco, sperando ghermirla a tradimento.

Per qualche tempo il bosco echeggiò di escla mazioni giocose, con uno schiamazzo di rami cal pestati ed infranti, con un frascheggiamento di fronde smosse, con un frullìo di ali, un ansare dei petti, uno squillare aperto di risa, rattenute a stento e represse, allorché Germano vedeva on deggiare nell'ombra la bianca veste di Flora, o allorché la fanciulla deludeva l'appostamento di lui, curvo e proteso per l'imboscata.

Finalmente la giovanetta si dette per vinta e lasciò cadérsi senza fiato ai piedi di un albero.

Egli le fu subito vicino, ed entrambi, accesi in volto, coi capelli scomposti e i petti agitati dagli scatti irrefrenabili di una ilarità che non voleva quetarsi, si sentivano innocenti e felici [p. 57 modifica]come due scolari sottrattisi all'uggia di un peda gogo per irrompere a sfogar nel chiasso la vita esuberante.

Stavano cosi, seduti vicino e guardandosi di sottecchi per decidere chi fra i due dovesse farsi beffe dell'altro, allorché spuntò dall'estremo li mite del bosco un ombrellino di cotone bianco, disegnato a larghi rabeschi gialli. L'ombrellino si chiuse e la chioma fulva di Balbina scintillò per un attimo al sole prima d'immergersi nel l'ombra folta dei rami. Dietro Balbina camminava Giovanni, vestito di filaticcio turchino alla foggia contadinesca, e dietro Giovanni veniva Clelia, grondante sudore dal lungo viso mansueto.

— Si sta al fresco --- disse Giovanni, scor gendo i due giovani.

— Cosi pare — rispose Germano laconica mente, assumendo subito il tono, in lui abituale, del possidente ricco che non dà confidenza e non ne vuole.

— Dove vai, Balbina? — domandò Flora, in omaggio al galateo rusticano, che impone di ba rattare qualche parola coi conoscenti incontrati a caso.

Balbina si voltò inviperita. — Vado con mio padre e mia madre — ella disse in tono aggressivo, quasiché le parole di Flora suonassero scherno al suo indirizzo — e una ragazza che va con i suoi genitori, può an dare per tutto a fronte alta... E tu dove vai? --ella soggiunse, fermandosi davanti al gruppo di Flora e Germano, e atteggiando il volto a beffe sprezzante. — Io non vado in nessun posto; io sto se duta — osservò Flora candidamente. [p. 58 modifica]

Balbina, aizzata dalla flemma della rivale, schizzò fuoco dagli occhi.

— Bada che, stando seduta così come tu stai — e accennava con lo sguardo al Rosemberg — si può andare lontani.

Germano, che si era intanto alzato in piedi, si rivolse direttamente a Giovanni e, con voce leggermente tremante per l'ira concentrata, gli disse imperioso:

Faccia tacere sua figlia.

Giovanni esclamò concitato: — Mia figlia parla quando le pare, e se le sue parole non piacciono a tutti, tanto peggio per chi se le merita.

Il Rosemberg si gittò sulla nuca il cappello, con gesto solito in lui nei momenti di rabbia, e, spingendo indietro le braccia e protendendo il busto in avanti, fece due passi verso Giovanni.

Il volto, contratto per la collera, era minaccioso, quasi truce.

— Cosa vuole da me, lei? — egli disse al Tebaldi. — Parli, parli pure. Cosa vuole da me?
Giovanni, così brutalmente investito, divenne mansueto subito, di una mansuetudine rusticanamente ridanciana e servile.
Diamine! Germano Rosemberg possedeva per quasi duecentomila lire di terra, pulite come la palma della mano, senza la più piccola ipoteca, senza l'ombra di una passività; quasi duecento mila lire di terra magnificamente coltivata, con molte paia di buoi, macchine, trebbiatrici, concimatrici, ogni sorta di strampalate invenzioni, fatte per obbligare la terra a sfoderare i suoi tesori.

Aveva adunque ragione di essere insolente e prepotente! Se egli, Giovanni Tebaldi, fosse stato [p. 59 modifica]— possessore di un simile ben di Dio, avrebbe ealpestato, senza scrupoli nè rimorsi, l'intero ge nere umano.

Egli rispose dunque in tono remissivo, con riso di pietà compunta all'indirizzo di sè stesso:

— Cosa posso voler da lei, signor Germano Rosemberg? Nessuno può voler niente da lei, perchè lei non deve dar niente a nessuno.

— Allora, marche! — impose il giovane, e stese il braccio per rendere anche più energico il comando militaresco.

Giovanni non chiedeva di meglio che andar sene; ma, visto che Balbina non si muoveva e visto che egli doveva in qualche modo sfogare la propria stizza, lasciò cadere un poderoso man rovescio sulla gota della figliuola.

Balbina non si lamentò, nè protestò, limitan dosi a comprimere con una mano la gota per cossa; ma, allontanandosi in mezzo ai genitori, disse a Flora con accento esageratamente pacato:

— Metti in conto anche lo schiaffo di oggi, Flora, e vedrai che ti pagherò.

Germano cominciò a scherzare, perchè si dis sipasse la nube oscurante il viso della giovanetta.

— Crepano di rabbia, sai! Vorrebbero che id sposassi quel tizzone ardente della figlia loro, e masticano veleno sapendo bene che io sposerò te.

Flora lo guardò coi dolci occhi, ridiventati già limpidi.

— Tu mi sposerai, Germano? — Certo! E perchè non dovrei sposarti? — esclamò il giovane con accento quasi di cruccio per l'interrogazione dubitativa di lei. - Perchè tu sei ricco, tanto ricco! — ella rispose molto seria, sollevando i lembi del grem[p. 60 modifica]biale nero, come per raccogliere le ricchezze di.lui. Egli si strinse nelle spalle con aria di sprezzo affettato, mentre le labbra gli si aprivano a un sorriso irresistibile di compiacenza.

— Appunto perchè sono ricco, posso sposarmi con chi mi piace, — E tua nonna? — Flora domandò, girando verso di lui il viso leggiadro, su cui appariva l'ombra di un'ansia secreta.

Germano tacque un breve istante; poi, acco standosele di più e stuzzicandole il lobo dell'o recchio coll'estremità di una festuca, rispose non curante:

--- I vecchi, si sa, hanno il cervello stretto, e al mondo ci stanno per tormentare noi giovani: ma ho ventiquattro anni, il padrone sono io, e mia nonna dovrà chinare la testa.

E, in verità, la buona signora Rosemberg non aveva fatto che chinare la testa dal giorno in cui Germano, figlio di suo figlio, era rimasto orfano di entrambi i genitori ed era stato posto sotto la sua tutela.

Ella aveva chinato la testa quando il riottoso fanciullo, analfabeta sino a dieci anni, non voleva saperne d'imparare a leggere, preferendo correre per i campi; aveva chinato la testa quando il giovane, a vent'anni e dopo la quinta ginnasiale, non aveva voluto più sentir parlare di scuole e di studi, trascorrendo il tempo o in città cogli amici o a vagare per la campagna con Flock ed il fucile.

— Sì, sì, hai ragione — mormorò Flora, ap poggiandogli il capo sopra una spalla con atto di confidente abbandono. — Tua nonna non saprà dire di no, e noi ci sposeremo. [p. 61 modifica]Una visione di gioie senza fine e senza misura dovette balenare davanti alla fantasia dell'inna morato, perchè gli occhi di lui sfavillarono, come se un tesoro inestimabile di gemme si accumu lasse davanti a' suoi sguardi, procurandogli la vertigine, nell'iridescente fulgore della loro luce.

--- E dopo? — ella chiese pian piano, strin gendosi a lui timorosa.

— Quando dopo? — egli domandò alla sua volta, ardendo in tutte le vene per il fragrante contatto.

— Quando saremo sposati — disse Flora, parlando assorta, quasi nel sogno.

·-- Ebbene? Quando saremo sposati?... — ri petè Germano, stringendo nelle labbra una ciocca svolazzante dei capelli di lei.

— Cosa faremo?... --- ella domandò, presa da una specie di torpore che le rendeva grevi le membra.

— Saremo felici — egli rispose. — Oh! troppo felici! — la giovanetta bal bettò, intrecciando le mani e gettando il capo aU'indietro. Poscia si alzò, rimase ferma in piedi, aprendo un poco le braccia, come a cercare 1' equi librio. — Mi gira la testa — ella disse, ridendo, ma con lo sguardo velato di sgomento; e, nel ve dere che Germano faceva l'atto di volerla sorreggere, lo respinse vivamente e interrogò con voce decisa: — Sono già le undici? — Mancano pochi minuti — Germano rispose, facendo scattare il coperchio dell'orologio d'oro a doppia calotta. [p. 62 modifica]— Allora bisogna che io vada a casa. Il nonno non mangia la minestra senza di me.

Germano l'accompagnò ed entrò con lei, famigliarmente, nella grande sala a pianterreno,' im mersa in una pace sonnolenta per la semioscu rità in cui natava. I verdi sportelli esteriori delle finestre erano chiusi, e la luce s'insinuava a fa tica di tra le sottili connessure, brillava qua e là sul pavimento, in tanti fili che si univano ad angolo acuto presso il limite dell'opposta parete, per quivi formare un grande occhio corrusco.

Flora e Germano, ancora abbarbagliati dalla vivida luce dell'aperta campagna, provarono una impressione di gelo, varcando la soglia della stanza semibuia, e subirono, senza rendersene conto, la tristezza immediata che si prova affac ciandosi all'ingresso di una cappella sotterranea, scavata a custodia di sarcofaghi, entro cui si am mucchino ossa di martiri.

— Nonno! Flora chiamò, e il vecchio conte, seduto nel vano di una delle due finestre, mor morò alcune confuse parole, di cui i giovani percepirono il suono, ma non il senso.

La fanciulla si avvicinò al nonno, diventato con lei docile come un bambino, gli ravviò con le dita la folta criniera bianca e, presolo per mano, lo accompagnò nell'attigua cucina, dove all'estremità di una massiccia tavola di noce, dalle gambe corrose intagliate a fiorami, stava distesa la tovaglia ed erano apparecchiate le sto viglie di porcellana azzurra, la posata di argento consunta dall'uso, e una ciotola capace entro cui il vecchio conte soleva da tempo immemorabile mescere il vino che egli beveva copiosamente.

Il conte Innocenzo conservava 1' uso di prendere [p. 63 modifica]solo i suoi pasti nella cucina ampia come una sala da ballo, ove, durante l'inverno il fuoco ar deva perenne nel camino ciclopico, e dove, du rante l'estate, si lasciava spalancato lo sportello della botola, aperta in un angolo e conducente nella cantina, acciocché l'aria gelida salisse di sotterra a diffondere un po' di frescura.

Chiamata da Plora, una contadina portò dalla casa colonica il pasto, consistente in una zup piera di brodo e in una gallina allessata, che il conte divorò in silenzio, quasi rabbiosamente, scalcando il volatile con le mani e scarnifican done la carcassa coi denti tuttavia bene infissi.

Flora, immobile dietro la seggiola del nonno, lo serviva attenta, gli affettava il pane, gli me sceva il vino, vigilava che il grosso gatto nero, agile e astuto, non saltasse sul tavolo per rapire una porzione di cibo dalle mani tremanti del vecchio.

Germano, dall'altro lato della tavola, guardava e pensava quanto dovesse trascorrere lenta e misera l'esistenza giovanile di Flora, legata a quella senilità, egoista e dispotica adesso nella sua imbecille passività, anche più di quando il conte faceva tutti tremare e tutto piegare sotto l'energia del suo comando.

--- E tu non mangi? — domandò Germano. — Sì, più tardi — ella rispose. — E che cosa mangi? — Quello che capita. Due uova, un po' d'in salata, la minestra dei contadini, dèi pane asciutto se è necessario. Per me fa lo stesso. L'im portante è che il nonno abbia ogni giorno il suo pollo ed il suo vino — e poiché del pollo giaceva ·oramai nel piatto solo il residuo degli ossi e [p. 64 modifica]poiché del vino non restava più nemmeno una stilla in fondo al boccale fiorato, la giovanetta forbì col tovagliolo la bocca del vecchio e lo ri condusse nella sala, facendolo seder di nuovo nel vano della finestra.

Quando Flora tornò in cucina, a sparecchiare la tavola, pareva che un incubo si fosse dile guato coll'allontanarsi del conte, molto più che Germano aveva spalancato le imposte delle fine stre e che lo sfondo luminoso dei colli era ap parso, al di là della zona ombrosa proiettata dai muri della casa.

Flora gettò tovaglia e tovagliolo nell'interno di una decrepita cassapanca, addossata alla pa rete, e lasciò cadérsi a sedere sopra la cassapanca stessa, cogli occhi aperti e fissi a bere le tizia dal verde aurato della collina, che s' innal zava dolcissimamente e si allargava per accogliere nella sua conca più lauto giro di spazio.

Germano le sedette a lato e rimasero senza parlarsi, senza guardarsi, senza toccarsi, sentendo che il loro amore era in tutte le cose. Tutte le cose si facevano diafane per assorbire i loro pensieri e rifletterli integri e più forbiti; tutte le cose diventavano canore per intonare la can zone, echeggiante soave e ritmica nei loro cuori, ma di cui essi non avrebbero saputo riprodurre a. parole la sublime armonia.

Il gatto, acquattato col ventre sulla tavola, e con la coda turgida agitata da moti irrequieti, allungava a ogni poco la testa in rapidi guizzi, chiudendo le mascelle con metallico rumore di cerniera, quando riusciva a prendere qualche mosca dallo sciame ronzante.

Una vespa turbinava col piccolo ventre peloso, [p. 65 modifica]cercando su chi dardeggiare il suo pungiglione e facendo, col persistente ronzio, vieppiù risal tare la pace solenne dell'ora.

Un languore ineffabile serpeggiava nel sangue ai due giovani, mentre le bocche, avide e aride, si aprivano e si protendevano con atto angoscioso ad implorare il ristoro di una stilla che mitigasse l'arsura. Le loro mani si cercarono, si trovarono, ed essi stavano curvi l'uno verso dell'altra, con le fronti ardenti che si toccavano, cogli occhi ve lati di stupore, le arterie martellanti, pallidi e seri, disperati di dover precipitare nell'abisso di cui sentivano il rombo, eppure felici di non po ter lottare contro il fascino arcano, ond'essi erano attratti.

Ma il procaccia chiamò ruvidamente dal di fuori per la consegna di una lettera e fu come se una mano provvida li avesse afferrati e tratti in salvo, proprio nel punto in cui la voragine si spalancava per inghiottirli.