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Balbina, aizzata dalla flemma della rivale, schizzò fuoco dagli occhi.

— Bada che, stando seduta così come tu stai — e accennava con lo sguardo al Rosemberg — si può andare lontani.

Germano, che si era intanto alzato in piedi, si rivolse direttamente a Giovanni e, con voce leggermente tremante per l'ira concentrata, gli disse imperioso:

Faccia tacere sua figlia.

Giovanni esclamò concitato: — Mia figlia parla quando le pare, e se le sue parole non piacciono a tutti, tanto peggio per chi se le merita.

Il Rosemberg si gittò sulla nuca il cappello, con gesto solito in lui nei momenti di rabbia, e, spingendo indietro le braccia e protendendo il busto in avanti, fece due passi verso Giovanni.

Il volto, contratto per la collera, era minaccioso, quasi truce.

— Cosa vuole da me, lei? — egli disse al Tebaldi. — Parli, parli pure. Cosa vuole da me?

Giovanni, così brutalmente investito, divenne mansueto subito, di una mansuetudine rusticanamente ridanciana e servile.

Diamine! Germano Rosemberg possedeva per quasi duecentomila lire di terra, pulite come la palma della mano, senza la più piccola ipoteca, senza l'ombra di una passività; quasi duecento mila lire di terra magnificamente coltivata, con molte paia di buoi, macchine, trebbiatrici, concimatrici, ogni sorta di strampalate invenzioni, fatte per obbligare la terra a sfoderare i suoi tesori.

Aveva adunque ragione di essere insolente e prepotente! Se egli, Giovanni Tebaldi, fosse stato