Racconti (Hoffmann)/Il vaso d'oro/Veglia IX

Veglia IX

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E. T. A. Hoffmann - Racconti fantastici (1814)
Traduzione dal tedesco di E. B. (1835)
Veglia IX
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VEGLIA IX

Come lo studente Anselmo ripigliasse qualche po’ di ragione. — Un punch. — Come lo studente Anselmo prendesse il vicerettore Paulmann per un gufo, e come questi ne fosse irritatissimo. — La macchia d’inchiostro, e sue conseguenze.

Gli avvenimenti strani e meravigliosi che accadevano ogni, giorno ad Anselmo lo aveano intieramente gettato fuori della vita comune: egli non vedeva più nessuno dei suoi amici, ed aspettava ogni mattina con impazienza l’ora del mezzogiorno che doveva aprirgli la porta del [p. 134 modifica]cielo. E tuttavia, quantunque, tutta la sua anima fosse colma delle grazie di Serpentina e delle meraviglie del regno delle fate presso l’archivista Lindhorst, un pentimento involontario lo faceva qualche volta pensare a Veronica; spesso anche gli sembrava ch’ella s’avvicinasse a lui e gli confessasse arrossendo quanto lo amava! indi ella si sforzava a strapparlo ai fantasmi che non facevano se non istancarlo e burlarsi di lui. Qualche volta egli credeva sentire una forza straniera che s’impadronisse di lui e lo strascinasse verso la povera abbandonata; e senza poter resistere, egli secondava quel potere capriccioso, come se fosse stato incatenato alla fanciulla.

La notte stessa, dopo ch’egli ebbe veduta per la prima volta Serpentina sotto la forma d’un’amabile vergine, e che il mistero dell’unione del salamandra colla colubra verde gli fu rivelato, Veronica gli comparve più distintamente che mai. Non fu che al suo svegliarsi ch’egli s’accorse chiaramente che aveva sognato quando si persuadeva che Veronica era davanti a lui; Veronica in lagrime, che si lagnava di essere sacrificata a vani fantasmi [p. 135 modifica]i quali non esistevano che nella testa d’Anselmo, e non mancherebbero di produrre la sua rovina. Veronica era più amabile che mai, egli poteva appena sbandirla dal suo pensiero, e questo combattimento gli cagionava un affanno ch’egli sperò di dissipare nel suo passeggio del mattino.

Uno sconosciuto potere magico lo condusse davanti alla porta di Pirna. Egli stava per prendere una strada remota, quando dietro a lui si fece udire la voce del vicerettore Paulmann: — “Ehi! Olà! caro signor Anselmo, amice! amice! in nome del cielo che cosa è di voi? non vi si vede più; sapete voi che Veronica muor dalla voglia di cantare con voi? Venite dunque, poichè voi già andavate a casa mia.” Lo studente Anselmo dovette per forza seguire il vicerettore Paulmann. Quando essi entrarono nella casa, Veronica, vestita con grande eleganza, corse ad incontrarli; il vicerettore ne fu sorpreso, e domandò: “Perchè quell’abito? aspettavi tu qualche visita?, or ecco il signor Anselmo ch’io conduco!” Lo studente Anselmo, baciando la mano a Veronica con molta grazia e leggiadria sentì [p. 136 modifica]una liete pressione di mano che fece circolare in tutto il suo corpo un torrente di fuoco. Veronica era l’allegria e l’amabilità stessa; e quando Paulmann passò nel suo gabinetto da studio, ella seppe, con ogni sorta di malizie e di scherzi, volgere a tal punto la testa del povero Anselmo, ch’egli dimenticò tutta la sua timidità, e si mise infine a correre ed a saltare di propria volontà per tutta la camera con quella pazzerella di fanciulla.

Ma ecco che il demonio della goffaggine s’impadronisce di lui: egli urta contro una tavola e ne fa cadere la bella cassetta da lavoro di Veronica. Anselmo la rialza, la molla si era aperta, ed i suoi occhi caddero sopra un piccolo specchio rotondo di metallo nel quale egli si guardò con un piacere estremo. Veronica passò dolcemente dietro di lui: ella mise la sua mano nel braccio del giovane, e stringendosi ad esso ella guardava sopra alla sua spalla nello specchio. Allora sembrò ad Anselmo che sorgesse un combattimento nel suo interno: pensieri, immagini brillavano come lampi e si estinguevano: — l’archivista Lindhorst, Ser[p. 137 modifica]pentina, la colubra verde, — infine quest’agitazione si calmò, ed ogni cosa essendo rientrata nell’ordine, la sua incertezza cessò. Egli vide chiaramente che non aveva mai cessato di pensare a Veronica; che il fantasma che gli era comparso nel giorno antecedente nella sala azzurra, non era che Veronica stessa, e che la storia fantastica delle nozze del salamandro e della piccola colubra verde era bensì stata copiata da lui, ma ch’egli non l’avea mai udita raccontare. Egli si stupì per se stesso de’ suoi sogni, e gli attribuì in parte allo stato di riscaldamento prodotto nella sua anima dall’amor suo per Veronica, e in parte anche al suo lavoro presso l’archivista Lindhorst in sale imbalsamate dai profumi più inebbrianti. Egli rise di buon cuore della pazza idea d’essere innamorato d’una piccola colubra, e d’aver preso un rispettabile archivista privato per un salamandro. “Sì! Sì! — è Veronica!” gridò egli ad alta voce; e voltando la testa, i suoi sguardi caddero sugli occhi azzurri di Veronica nei quali brillava l’amore più vivo. Un sospiro soffocato sfuggì dalle labbra di lei, ardente come una fiamma. [p. 138 modifica]“Felice mortale ch’io sono!” gridò lo studente “quello che ieri non era che un sogno diventa oggi per me la più commovente realtà.” — “E tu mi sposerai quando sarai consigliere?” domandò Veronica. “Senza dubbio!” rispose Anselmo; ma la porta scricchiolò, ed il vicerettore Paulmann entrò dicendo: “In fede mia, caro signor Anselmo, oggi non vi lascio partire: voi pranzerete con noi; poi Veronica ci preparerà un eccellente caffè che noi prenderemo col registratore Heerbrand che ha promesso di venirci a trovare.” — “Ah! carissimo signor vicerettore” riprese lo studente Anselmo“ non sapete voi dunque ch’io devo andare presso l’archivista Lindhorst a copiare i suoi manoscritti?” — “Guardate, amice!” disse il vicerettore Paulmann, presentandogli il suo orologio, che segnava le dodici e mezzo. Lo studente vide che era troppo tardi per andare dall’archivista, ed accettò l’invito del vicerettore, tanto più volentieri ch’egli sperava passando la giornata con Veronica di rapirle qualche occhiata e forse anche qualche stringimento di mano. Fino a questo punto s’innalzava l’ambi[p. 139 modifica]zione dello studente Anselmo! ed il suo buon umore cresceva a misura ch’egli si promettea di esser presto liberato da’ tutte quelle stravaganti visioni, che lo aveano messo in sì buona strada per diventar pazzo.

Il registratore Heerbrand venne in fatti dopo pranzo; e quando fu preso il caffè e la sera fu arrivata, egli si fregò le mani sorridendo, e diede da capire che portava con sè qualche cosa che misto dalla bella mano di Veronica, e preparato sotto la forma convenevole, diventerebbe un fonte d’allegria per loro in quella bella sera d’ottobre. “Mostrate dunque l’oggetto misterioso, che portate sopra di voi, onoratissimo registratore” disse il vicerettore Paulmann: e il registratore Heerbrand mise la mano nella vasta saccoccia del suo soprabito, e fece comparire alla luce, in tre volte, una bottiglia d’arak, dei limoni, e dello zucchero. Una mezz’ora appena era scorsa, e già un punch delizioso fumava sulla tavola di Paulmann. Veronica versava da bere, ed una conversazione delle più allegre si cominciò tra gli amici. [p. 140 modifica]

Ma appena i vapori del punch salirono alla testa dello studente Anselmo, che tutte le immagini strane e meravigliose che gli erano comparse da poco tempo, ritornarono in folla ad alloggiarvisi. Egli vide l’archivista Lindhorst nella sua vesta da camera di damasco che brillava come il fosforo; egli vide l’appartamento azzurro colle palme d’oro: gli sembrò ch’egli non potesse fare a meno di credere a Serpentina; tutto fermentava, tutto bolliva nel suo interno. Veronica gli presentò un bicchiere di punch; prendendolo, egli toccò leggermente la sua mano. “Serpentina, Veronica!” sospirò egli sotto voce. Egli cadde come in un profondo sogno; ma il registratore Heerbrand gridò: “L’archivista Lindhorst è, e sarà sempre un vecchio molto singolare, e nel quale nessuno non comprenderà mai niente. Ma egli viva; alla sua salute, a voi, signor Anselmo!” Lo studente si svegliò ad un tratto dai suoi pensieri, mentre egli toccava il suo bicchiere contro quello del registratore Heerbrand, e gli disse: “Ciò deriva, stimabilissimo signor registratore, dall’essere il signor archivista [p. 141 modifica]Lindhorst, a dire il vero, un salamandro che ha devastato in un accesso di collera il giardino dei re dei Genii, Fosforo, perchè la colubra verde era volata via.” — “Come? — Che dite voi? domandò il vicerettore Paulmann.” — “Sì, continuò lo studente Anselmo, ecco perchè egli si trova ridotto ad essere archivista reale, e a vivere in casa sua qui a Dresda colle sue tre figlie, che non sono in fondo altro che tre piccole colubre verde-dorate che si riscaldano al sole tra i rami dei sambuchi, e che attirano i giovani col loro canto seduttore come quello delle sirene.” — “Signor Anselmo! signor Anselmo! gridò il vicerettore Paulmann; la macchina si scompone essa un’altra volta! Che significano, in nome del cielo, le ridicole parole che voi dite?” — “Egli ha ragione! disse interrompendolo il registratore Heerbrand, quel furbo, quell’archivista è un maledetto salamandro; egli getta dalle sue dita delle scintille che vi bruciano la manica del vostro abito come un’esca accesa. — Sì, sì, tu hai ragione, fratello1 Anselmo, e chi non lo crede è mio nemico.” Dicendo queste parole, il regi[p. 142 modifica]stratore Heerbrand battè col pugno sulla tavola in modo da far tremare i vetri. “Registratore siete voi furioso? gridò il vicerettore sdegnato. Signor lo studente! signor lo studente! questo è uno dei vostri soliti intingoli!” — “Ah! disse lo studente, voi stesso non siete che un uccellacelo, un gufo, che arricciate i capelli, signor vicerettore!” — “Chi? — io un uccellaccio, un gufo, che arriccia capelli! gridò il vicerettore furioso.” — “Signore, siete voi arrabbiato? arrabbiato?” — “Ma la vecchia gli cadrà addosso, gridò il registratore Heerbrand.” — “Sì, là vecchia è potente, quantunque di bassa condizione, riprese lo studente Anselmo; poichè suo padre non è altro che una cattiva penna stracciata, e la sua signora madre una grama barbabietola; e quanto al suo potere essa lo deve ad ogni sorta di creature nemiche, canaglia avvelenata della quale essa si circonda.” — “Ecco un’abbominevole calunnia! gridò Veronica cogli occhi brillanti di collera, la vecchia Lisa è una donna rispettabile, e il gatto nero, ben lungi dall’essere una creatura nemica è invece un giovane amabile, ben [p. 143 modifica]allevato, di buoni costumi e di più, suo cugino germano.” — “Può egli inghiottire il salamandro senza abbruciarsi i mustacchi e senza crepare miseramente, disse il registratore Heerbrand.” — “No, no, gridò lo studente Anselmo, egli non lo potrà mai; ed io sono amato dalla colubra verde; poichè il mio cuore è buono come quello d’un fanciullo, ed ho veduti gli occhi di Serpentina!” — “Sì, sì, il gatto gli strapperà! gridò Veronica.” — “Il salamandro — il salamandro li vincerà tutti — tutti,” urlò il vicerettore Paulmann al colmo del furore;” ma sono io in un ospitale di pazzi! sono pazzo io stesso? — Che cosa sono dunque tutte queste scempiaggini ch’io faccio? — Sì, pazzo io stesso — pazzo io stesso!” A queste parole il vicerettore Paulmann si alzò, strappò la sua parrucca e la gettò per aria; i ricci schiacciati ne gemettero, e nella loro completa distruzione essi sparsero in lontananza una nuvola di polvere. A questa vista lo studente Anselmo e il registratore Heerbrand presero il vaso del punch e i bicchieri e gli slanciarono, con grida di gioja sino alla soffitta; da ogni parte [p. 144 modifica]i pezzi ricadevano saltando sul terreno. “Viva il salamandro! — perisca, — perisca la vecchia! — spezzate lo specchio di metallo! — strappate gli occhi al gatto! — uccelli — uccelli dell’aria — cheu! — cheu! — evoé! salamandro!” Così appunto tutti tre gridavano e urlavano insieme come indemoniati. Fanny fuggì piangendo; ma Veronica era rovesciata sul sofà, e gettava grida di spavento e di dolore.

In quel momento la porta si aprì; subito si fece silenzio, e si vide entrare un piccolo uomo, inviluppato d’un corto mantello grigio. La sua figura aveva qualche cosa di singolarmente grave, ed il suo naso curvo cavalcato da un pajo di enormi occhiali si distingueva bizzarramente da tutti i nasi che si erano veduti sin allora. Egli portava inoltre una parrucca sì piacevolmente costrutta che rassomigliava ad un ciuffo di piume. “Buona sera a tutta la compagnia, balbettò il piacevole omicciattolo. Non è forse qui ch’io troverò il signore studente Anselmo? Il signor archivista Lindhorst vi fa i suoi umilissimi complimenti; egli ha vanamente aspettato oggi [p. 145 modifica]il signor Anselmo, ma lo prega di non mancare di venir domani all’ora ordinaria.” Avendo dette queste parole, egli uscì, e ciascheduno vide chiaramente che quell’uomo così piccolo e così grave non era altro che un pappagallo grigio.

Il vicerettore Paulmann ed il registratore Heerbrand gettarono uno scoppio di risa che fece tremar l’appartamento, mentre Veronica si lamentava e gemeva; ma lo studente Anselmo preso da un orrore insensato uscì al più presto senza saper quello che facesse, e si mise a correre per le strade. Egli trovò macchinalmente la sua dimora. Appena arrivato nella sua camera, egli vide entrare Veronica che gli domandò con aria amichevole e piena di grazia, perchè l’aveva tanto spaventata. Essa gli raccomandò di non bever più all’eccesso e di tenersi in guardia contro i suoi sogni, quando lavorava presso l’archivista Lindhorst. “Buona notte, amico mio, buona notte,” mormorò Veronica mandandogli colla mano un saluto. Egli volle stringerla tra le sue braccia, ma il fantasma era scomparso, ed egli si risvegliò rianimato e ben disposto. [p. 146 modifica]

Egli rise di buon cuore dell’effetto prodotto dal punch; ma pensando a Veronica, egli sentiva un ben essere pieno di dolcezza. E a lei sola, diss’egli, ch’io devo l’essere sbarazzato dalle mie ridicole visioni, e bisogna ben confessarlo, io non era molto più ragionevole di quel pazzo che s’immaginava di essere di vetro, o di quell’altro che non osava uscire dalla sua camera per paura d’esser mangiato dai polli, perchè si credeva un grano d’orzo. Ma quando diventerò consigliere, sposerò senza tardare madamigella Paulmann, e sarò felice.

Traversando dopo mezzo giorno il giardino dell’archivista Lindhorst, egli non potè concepire come, in quello stesso giardino, tutto gli fosse sembrato sì strano e sì meraviglioso. Egli non vide che vasi di fiori affatto ordinarli, molti mirti, molti geranj, ed invece degli uccelli beffardi che lo avevano tormentato, volavano qua e là alcuni passeri che salutarono Anselmo al suo arrivo con un fischio il disaggradevole, ma inintelligibile. La camera azzurra gli sembrò tutt’altra, egli non comprese come quel color cilestro grossolano, quei tronchi di palma dorati [p. 147 modifica]contro il senso comune e quel fogliame informe avesser potuto piacergli un solo momento.

L’archivista lo guardò con un sorriso affatto ironico, e gli disse: “Ebbene! come vi è sembrato ieri il punch, caro Anselmo?” — “Ah! certamente il pappagallo...” rispose lo studente vergognando; ma tacque. In fatti, pensava egli, l’apparizione del pappagallo non era che un nuovo errore dei miei sensi. “Eh! era io stesso nella compagnia,” disse l’archivista Lindhorst, “non mi avete dunque veduto? Ma in mezzo a tutte le vostre pazzie poco ha mancato ch’io non fossi gravemente ferito, poichè era ancora seduto nel vaso del punch nel momento in cui il registratore Heerbrand lo prese per gettarlo al soffitto e non ebbi che il tempo di ricoverarmi nella pipa del vicerettore. Adesso addio, signor Anselmo! — Siate assiduo, voi avrete il vostro scudo da sei franchi per la giornata che avete perduta jeri, poichè avete sì ben lavorato sin adesso.” — “Come può mai l’archivista vaneggiare in questo modo! disse lo studente Antselmo, ed egli sedette per copiare il ma[p. 148 modifica]noscritto che l’archivista, secondo il solito, aveva aperto davanti a lui. Ma egli vide sopra questa nuova pergamena tante linee curve, incrociate ed attorcigliate, a modo da smarrire l’occhio senza alcun riposo, che considerò come impossibile di riprodurle fedelmente, A guardarla tutta insieme con una sola occhiata quella pergamena rassomigliava ad un marmo venato di mille colori, ad una pietra seminata di muschio finissimo.

Nondimeno egli volle fare il suo possibile, e bagnò bravamente la sua penna, ma l’inchiostro non iscorreva; impaziente, egli scuote la sua penna, e, — o cielo! un’enorme macchia d’inchiostro cadde sull’originale. Un lampo azzurro brillò nella macchia, fischiò, romoreggiò, e serpeggiò, crepitando, attraverso tutta la camera sino alla soffitta. Allora un denso fumo usci a grandi onde dalle mura, le foglie cominciarono a susurrare, come battute dall’uragano, migliaia di basilischi brillanti discesero attraverso ai fuochi, accesero il fumo, e ben presto, varie masse di fiamme rotolarono intorno ad Anselmo sbalordito. I tronchi d’oro delle palme divennero serpen[p. 149 modifica]ti giganteschi che cozzavano con suono metallico spaventoso, e che inviluppavano il povero Anselmo coi loro corpi scagliosi. “Insensato! ricevi il premio della. tua colpevole insolenza!”

Così gridava la voce terribile — del salamandro coronato, che comparve nelle fiamme sopra ai serpenti come un astro raggiante; i draghi, colle loro gole spalancate, vomitarono sopra Anselmo catteratte di fuoco, e quei torrenti di fiamme sembravano condensarsi intorno al suo corpo, e cambiarsi in una massa compatta, fredda come il ghiaccio. Ma mentre le sue membra s’intirizzivano e si raggrinzavano, Anselmo svenne. Quando egli ritornò in sè stesso non poteva più muoversi; egli era inviluppato d’uno splendore brillante, contro il quale, urtava ogni volta che voleva alzar la mano o cambiar posizione.

Ahimè!... egli era seduto in una bottiglia di cristallo ben chiusa sopra una tavoletta, nella biblioteca dell’archivista Lindhorst.