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arendogli ormai di aver in mano il filo della matassa, Stambecchi andò a chiudersi nella sua camera dell’alberguccio, e stette a pensare il gran disegno. Capiva che la circospezione e l’astuzia non sarebbero state mai troppe, e che aveva a lottare contro una potenza invincibile, quella dell’oro. Si doleva d’aver già commesso un grosso strafalcione, coll’aver dato dei sospetti ai Rocca-Serena, i quali avvertiti delle sue idee avrebbero moltiplicate le precauzioni. Ma si sentiva forte di alleati altrettanto potenti, giacchè tutta la parentela che aveva tanto interesse a mandare a monte il testamento di sua moglie, avrebbe dovuto [p. 202 modifica]

essere con lui e aiutarlo efficacemente. Là difficoltà sarebbe stata quella di accostarli e di affiatarsi con loro. Quegli aristocratici non l’aveano mai voluto riconoscere, ed egli non se la sentiva di andarsi, a presentare prima di aver nelle mani di che farsi onore.

Risolse dunque di non chiedere aiuto ad alcuno e di far tutto da sè.

E, per prima cosa, di conoscere la levatrice senza ch’ella sospettasse, di lui e de’ suoi progetti.

Un’idea luminosa gli attraversò la mente.

Per giungere al suo scopo. Stambecchi non indietreggiava dinanzi a nessuna turpitudine. Era fatto cosi!

Risolse di chiedere un’udienza al Questore.

Dopo colazione s’avviò verso là casa dove alberga il custode della pubblica sicurezza.

— In che posso servirla? - gli domandò il Questore, seduto nella sua poltrona dinanzi ad una immensa scrivania, invitandolo a prendere posto sul divano che stava alla sua destra, dove lui avrebbe ricevuto in faccia il chiarore che entrava dalla finestra.

— Credo ch’ella mi ravviserà. Io sono Alfonso Stambecchi, vedovo della contessa Tricomo dei Rocca-Serena morta or sono due mesi. [p. 203 modifica]

— Ho piacere di far la sua conoscenza!

— Lei sa che, diviso da mia moglie per incompatibilità di carattere, io partii per l’America dove non feci a dir la verità dei buonissimi affari.

— Io so ch’ella fu contemplata nel testamento di sua moglie - osservò il questore, come se volesse prevenire una domanda di sussidio.

— Sì, mi lasciò seicento franchi al mese, coi quali potrò vivere modestamente e non mi lamento; giacchè io non ebbi la precauzione di fare come fanno tanti altri mariti, che sposano una moglie ricca e innamorata e la obbligano nella luna di miele a rilasciar loro delle obbligazioni nel caso che poi, cessato il capriccio, domandassero la separazione, come è accaduto di me. Sfortunatamente, per dieci mesi i creditori mi mangeranno ogni cosa.

— Questo fatto certamente le fa onore disse il capo della sicurezza, che studiava il suo uomo negli occhi e non capiva proprio dove diamine egli volesse andar a parare.

— Io, pagati i debiti co’ miei seicento franchi al mese, e trovandomi un’occupazione, sono certo di far vita discreta. Ora, avendo pensato appunto a quale partito appigliarmi per non restar in ozio, mi sono determinato di [p. 204 modifica] rivolgermi a lei, signor questore, e sono venuto a proporle una cosa.

— Sentiamo pure.

— Lei deve sapere che io sono sulle tracce per iscoprire un reato commesso in questa città da gente altolocata, e del quale finora non è trapelato nulla nè a lei ne al pubblico nè a nessuno.

— Ebbene? - domandò il questore, vedendo che il suo interlocutore si arrestava.

— Da me solo io non sarei capace di entrare nel mistero di quel delitto, giacchè a tenerlo celato contribuiscono i danari dei complici, che ne hanno molti.

— E lei domanderebbe la mia cooperazione?

— Precisamente.

— Ma in che modo pretenderebbe ella di averla? - domandò il questore.

— Questo è il punto. Io ci terrei ad essere aiutato, ma senza l’obbligo di scoprir nulla.

Il questore stette un minuto a pensare.

— Se ho da dirle il vero, ciò sarebbe contrario alle abitudini e ai regolamenti dell’ufficio. Io non potrei darle mano forte se non a condizione di sapere a quale scopo la darei.

Ha ella già qualche prova o qualche indizio sicuro di tale reato?

— Io ne ho la ferma convinzione, ma non [p. 205 modifica] potrei dire di avere ancor raccolti degli indizi.

— Vede bene allora, che, da parte mia, sarebbe assolutamente incostituzionale se dovessi prometterle un aiuto d’ufficio, il quale potrebbe approdare a nulla.

— Eh, infine si sa bene che la questura non riesce sempre a scoprire i delitti, per quante indagini e spese essa faccia onde riuscirvi.

— È vero - rispose il questore con un sorriso - ma ella capirà la differenza fra i due casi, senza che io gliela spieghi. Io non dubito che ella sia sincero e che nella sua convinzione esista la certezza che questo misterioso delitto sia stato commesso; ma conprenderà pure che se il questore dovesse prestar mano forte a tutti coloro che gliela vengono a domandare senza dirgli a che scopo, io potrei rinunciare alla mia carica e la città diventerebbe un semenzaio di piccole questure autonome e indipendenti da me.

— Ma se io, poniamo il caso, mi offrissi in qualità di....

— Dica pure.

— Di confidente, di referendario?

— Ah, allora sarebbe un altro paio di maniche! disse il questore, a cui non spiacque certo quella nuova piega che prendeva il dialogo. [p. 206 modifica]

— Io sono disoccupato, e non ho speranza di trovare impiego, giacchè non ho fatto studi nè mi sono avvezzato a star molte ore ad un tavolo. A Nuova York io, col piccolo capitale ricevuto da mia moglie quando mi divisi da lei, avevo cercato di far affari, ma ho perduto tutto, ed ora sono perfettamente al verde. Dalla scoperta di quel delitto potrebbe dipendere la mia sorte. Io sono pronto a mettermi a’ suoi ordini, quando potessi essere certo del segreto.

— Circa al segreto ella non ne può dubitare - rispose il questore - perchè è nostro supremo interesse il conservarlo. In ogni modo io ho il dovere di farle notare una cosa. Dato che io accettassi la sua offerta, che, dico la verità, nella mia qualità di questore, mi deve piacere, giacchè noi abbiamo bisogno di gente come lei, che sia pronta a sfidare certi pregiudizi sociali - io la debbo avvertire, che la prima condizione che io metterei nel farla entrare in funzione coll’annesso stipendio da convenirsi, sarebbe quella di rivelarmi questo delitto, di cui ella vorrebbe andare in traccia.

Stambecchi, sentendo parlar di stipendio, volle dar al questore un’idea alquanto buona di sè, e con un certo risentimento per metà vero e per metà forzato, rispose:

— Io non intendevo di offrirmi a lei come [p. 207 modifica] un volgare confidente stipendiato. Se io dovrò rendere dei servizi alla giustizia, ella saprà poi fare il suo dovere verso di me, non ne dubito; ma siccome, se giungessi al mio scopo, io sarei già ricompensato abbastanza dall’esito, così la mi permetta che non si parli fra noi di stipendio fisso.

— Com’ella vuole. Non ho creduto di offenderla. Capirà che, nella mia posizione, ella avrebbe parlato come me. Qualunque fatica, qualunque prestazione merita premio, ed ella avrebbe riportata di me un’idea un po’ strana, se io le avessi dimostrato che intendevo ch’ella avesse a prestare alla questura i suoi servigi gratuiti.

— Ebbene - disse Stambecchi dopo aver pensato qualche poco sul da dire - ella mi permetterà di non darle oggi stesso una risposta su tal proposito. Io tornerò da lei in questa settimana e le dirò tutto quello che mi sarà possibile confidare. Intanto la ringrazio della sua buona accoglienza.

Il questore, senza levarsi dalla sua sedia, come avrebbe fatto se il signor Stambecchi fosse stato qualche giornalista o qualche cittadino onorato e indipendente il quale fosse venuto a consultarlo, lo salutò e lo lasciò andare pei fatti suoi. [p. 208 modifica]

Stambecchi, uscito di là, tornò all’albergo aprì una delle sue valigie, e ne estrasse una grossa e larga cassetta da cui tirò fuori tutto l’occorrente per una truccatura in perfetta regola; una bella parrucca bionda, mustacchi e pizzo. V’aggiunse un cosmetico biondo per le sopracciglia, e uno specchietto; fece un involto d’ogni cosa, mise nel portafogli un finto biglietto da mille lire, ed uscì.

Giunto sulla piazzetta, entrò in un brougham, calò le cortine, e si trasformò la testa e il viso dinanzi allo specchietto che aveva portato con sè.

Nessuno lo avrebbe riconosciuto per quello di prima.

Il brougham viaggiò una buona mezz’ora, e finalmente infilò la via indicata al cocchiere da Stambecchi.

Ci sono poche città al mondo che abbiano le vie contorte, a sghembo e irregolari come la città nella quale si svolge la presente storia.

I fondatori di essa si curarono del rettifilo e della disposizione delle vie come un [p. 209 modifica] Sindaco di nostra conoscenza si cura di quello che di lui dicono i giornali.

La via dove abitava la levatrice della quale andava in cerca Stambecchi, era appunto di quel genere. A lei starebbe appropriato il titolo di via dei rigattieri; invece ricorda un antichissimo circo, che sorgeva dove ora sta una chiesa.

Stambecchi cercò la porticina, vide l’insegna da levatrice, col manubrio pel campanello, il cui cordone andava su fino al terzo piano, montò la scaletta buia, chiusa fra due muri che non erano forse stati imbiancati dal tempo del Barbarossa in poi, e diede tre picchietti potenti sulle imposte dell’uscio di destra al terzo piano.

— Chi è? - domandò una voce di dentro.

— Amici - rispose Stambecchi; - e alla donna che aprì e s’affacciò sulla soglia, chiese: - In grazia, sta qui la levatrice?

— Lì di contro - rispose la vecchia, e gli ribattè l’imposta sul muso prima che Stambecchi potesse dir grazie.

Stambecchi andò a tirar il campanello all’uscio di rimpetto.

La levatrice si presentò.

— È lei la signora Orsola Marchisella levatrice approvata? [p. 210 modifica]

— Sono io. Resti servita, e scusi se la ricevo così in disordine.

— Prego, prego - disse Stambecchi, fingendo di volersi levar il cappello.

— Tenga il suo cappello, non faccia complimenti.

— Come vuole - rispose Stambecchi; - e se lo ricalcò in testa per non ismuovere la parrucca - Io avrei a parlarle in molta confidenza per un affare un po’ delicato.

La levatrice aggrottò le ciglia e diede una occhiata di suprema diffidenza a Stambecchi; ma rispose con bonarietà:

— Dica, dica.

— Io sono pronto a fare qualunque sagrificio per ricompensare l’incomodo che lei dovrà prendersi, se vorrà esaudirmi.

Cosi dicendo, cavò dal portafogli una carta di visita, e un altro foglietto bianco che pareva un biglietto da mille.

Gli occhi della donna brillarono di cupidigia.

— Ho bell’e capito! - disse. - Si tratta di cose proibite. Io, caro signore, non sono la sua donna in questo caso.

— Ma prima almeno mi ascolti! - fece Stambecchi, riponendo nel portafogli il finto biglietto da mille - Quelli che mi mandano da lei non mi hanno certo ingannato. [p. 211 modifica]

— Ma chi è lei, prima di tutto? Lei non mi ha ancora detto il suo nome.

— È vero - rispose Stambecchi - Io sono il marchese di Filadelfia, e sono molto ricco.

La levatrice rischiarò la faccia rossa ad un sorriso di soddisfazione, e cominciò colle scuse.

— Niente, niente - disse Stambecchi, cercando di arrestarla. Ma l’altra seguitava.

— Capirà bene, signor marchese.... adesso ci sono tanti birbanti, che vanno per le case a tentar di rovinare la povera gente che...

— Ma se le dico che la mancanza fu da parte mia! Dovevo dirle chi ero prima di tutto.

— Quand’è così, sono tutt’orecchi, signor marchese.

— Come le dissi, io sono mandato da persona di cui lei si può fidare pienamente.

— Ed è?

Stambecchi stava per presentarle il biglietto di visita che aveva levato dalla jatte della contessa Rocca-Serena; ma prima che ella avesse potuto leggere quel nome lo ritirò prestamente e soggiunse:

— No. Commetterei un’imprudenza. Io non posso compromettere questa gran dama, prima di essere sicuro che ella, signora, si fida di me e promette di ajutarmi. [p. 212 modifica]

Questa reticenza, invece, di produrre sulla levatrice l’effetto che Stambecchi si aspettava, gli fu nociva.

La levatrice non capi la delicatezza del marchese di Filadelfia, si mise di nuovo in sospetto e lo guardò con diffidenza. Le puzzava di imboscata tutto quel rigiro di frasi e di precauzioni.

— È dunque una cosa pericolosa - disse quella che lei mi cerca?

— Tutt’altro! - rispose Stambecchi - Che pericolo vuol mai che ci sia, se noi c’intenderemo a quattr’occhi e se abbiamo la stessa ragione di tener celati i fatti nostri? Lei sa benissimo che, in ogni caso, tanto può valere il mio sì come il suo no.

— Ebbene, insomma, di che si tratta?

— Io avrei bisogno di un bambino appena nato.

— Per far che cosa?

— Per adottarlo.

La levatrice diede al marchese di Filadelfia un nuovo sguardo scrutatore. Poi disse:

— Se lei non si spiega meglio, io non posso darle risposta.

— Si tratterebbe di fare, insomma, quello che lei ha già fatto per la contessa Rocca-Serena. [p. 213 modifica]

— Chi è la contessa Rocca-Serena? - domandò la levatrice con accento di verità - Non l’ho mai sentita nominare.

— Vedo che lei non si fida di me - ripigliò Stambecchi dopo una piccola pausa - Ma se io le facessi vedere la prova che sono mandato da lei....

— Sarà benissimo, ma io le ripeto che non so chi sia.

— Ah, cara lei, questo è troppo! - sclamò Stambecchi cominciando a perdere la pazienza - La contessa mi disse che lei fu la levatrice che portò in chiesa il suo bambino e che fece da testimonio al battesimo del contino Eleuterio.

— Ah, l’Annetta! - sclamò allora la donna - ma a quel tempo non era ancora contessa!

— E che cos’era dunque?

— Era semplicemente la signora Annetta, ballerina. Non aveva ancora ereditato.

— Come! Non aveva già sposato il conte?

— Io credo di no. Almeno a me fecero credere di no.

— Bene, contessa o non contessa che fosse, è vero che lei fu la levatrice del suo primo parto?

— È verissimo.

— E vero o non è vero che quel parto fu finto? [p. 214 modifica]

— Finto? So bene che lei mi burla! Non lo auguro a lei. Fu un parto difficilissimo invece, e tutt’altro che finto.

— Ma allora come fece la contessa a darmi questo suo biglietto di visita per indirizzarmi a lei? - disse Stambecchi mostrando alla levatrice la carta di Annetta.

— Questo è un altro parlare! Io le posso aver detto che in un’occasione le avrei anche prestato... Si sa bene... quando si tratta di rendere un servizio a della gente... che non faccio per dire, hanno i milioni, e che si può star sicuri... Ma in quanto al figlio, è legittimo legittimissimo.

— Bene, ora vedo che cominciamo a intenderci. Lei deve dunque sapere che anch’io li ho i milioni.

— Che Dio la benedica, signor marchese!

— E che saprei ricompensare il servizio che lei mi potrebbe fare.

— Il signor marchese dunque vorrebbe avere un bambino da adottare?

— Sicuro.

— E quanto sarebbe disposto a spendere?

— Quello che lei mi domanderà.

— Ma, se debbo dir il vero, sarebbe la prima volta, e io non saprei...

— La sputi, via; non sarà la cifra che farà [p. 215 modifica] la difficoltà. Quanto le diede la contessa Rocca-Serena?

La levatrice non rispose subito.

— Che c’entra mai? Quello fu un parto ordinario e non ha niente a fare con ciò che lei mi viene a richiedere!

— Via! - disse Stambecchi - ammiro la sua discrezione, e sono felice, perchè ora so con chi ho a fare e sto sicuro che se combineremo ella avrà per me altrettanti riguardi di quelli che mostra di avere per la contessa. Io non cercavo di meglio. Aspetto dunque che mi dica la cifra.

— Ma, caro... una cifra proprio fissa non si può dire, giacchè per trovare un bambino in queste circostanze è necessario portarlo via ad una madre prima che sia stato notificato.

— Questo s’intende! Ma lei è tanto brava! La contessa, che mi manda da lei, mi ha detto che lei ne ha sempre qualcuno sotto mano.

— Mi par proprio impossibile che la contessa le abbia potuto dire questa cosa! - sclamò la levatrice - Dove vuol mai che io trovi delle madri pronte a cedere i loro bambini? Neanche se fossero tigri o jene. E poi si sa... queste cose bisogna farle a tempo giusto. Bisogna trovare la madre che partorisce precisamente nel giorno in cui abbisogna il bambino. [p. 216 modifica]

— Andiamo, via, mi dica questa somma. E cento più, cento meno, a me non importa.

— Io, già, dico il vero, non potrei a meno di otto mila lire...

— Vada dunque per le otto mila lire. Io le dico la verità, credevo ch’ella mi dovesse chiedere molto di più.

La levatrice si morse le labbra e si diede internamente della minchiona.

— E per che giorno avrebbe bisogno di questo bambino?

— Fra quindici giorni al più tardi.

— Quindici giorni! Madonna santa! Ma perchè allora è venuto da me soltanto adesso?

— Che vuole! Sono arrivato a Milano da due giorni solamente.

— In quindici giorni sarà molto difficile che io lo serva.

— Però non impossibile?

— Sicuro che non c’è niente di impossibile a questo mondo! Ma è tardi, tardi, tardi...

— Eppure, la contessa mi disse che il piccolo Eleuterio gliel’ha trovato in pochi giorni.

— E dàlli! - sclamò la levatrice - Ma in grazia, confidenza per confidenza, ella sarebbe mai l’amante dell’Annetta?

— Faccia conto che io lo sia. [p. 217 modifica]

— Ma allora come fa a cercar un bambino per un’altra donna?

— Mio Dio! - sclamò Stambecchi, abbassando il capo - metta che questa donna fosse la principessa mia sorella...

— Ah! - sclamò, tirando il fiato in bocca, la levatrice - allora non parlo più.

— Quand’è, dunque, che io potrei tornare per avere una risposta decisiva? Altrimenti sarei obbligato di rivolgermi a un’altra levatrice.

— No, no, so bene ch’ella mi burla. Lei andrebbe a compromettersi inutilmente. Quello che possono fare le altre lo posso fare anche io. Torni dopo domani, e spero di averle trovato quello che le farà bisogno. Ho già messo gli occhi su una certa... Basta, torni dopo domani.

— E che cosa dovrò dire alla contessa?

— Alla, contessa... Ma... me la saluti tanto e le dica di esser prudente.

Stambecchi era tutt’altro che contento del risultato della sua visita; ma quell’ultima frase lo rianimò.

— Glielo dirò - disse, accennando di accomiatarsi - ma creda pure che sarebbe un consiglio inutile, giacche le confidenze fatte a me sono più segreto di quelle che si fanno al [p. 218 modifica] confessore. Capperi! Lì si tratta di quattro milioni, e non si scherza.

— Ah, si vede che lei è proprio bene informato, allora - disse la levatrice.

— Anzi, le dirò una cosa che forse lei non sa.

— Quale?

— La contessa è continuamente sopra pensiero nella paura che poi un giorno o l’altro la vera madre di Eleuterio possa andare a reclamare suo figlio.

— Giusto! - sclamò la Marchisella - Ma se la madre non sa neanche dove sia andato a finire suo figlio!

— S’intende. La contessa, infatti, finge di credere a questo, ma non ci crede, e ha continuamente dinanzi agli occhi lo spettro della madre che le si presenterà per riavere suo figlio.

— Bene, bene, la assicuri che non c’è pericolo, signor marchese.

— Lei me ne dà la sua più sacra parola?

— Non se ne parla neanche.

— Io vorrei avere qualche prova in proposito. Sentirla lei stessa, la madre, a parlare, e ottenere la certezza ch’ella non sa dove sia andato a finire suo figlio. [p. 219 modifica]

— Come si fa? Dinanzi ad un forestiero ella non vorrà cantare.

— A me basterebbe che, senza essere imboccata, ella avesse per esempio a dire che la sua speranza è che Eleuterio sia andato a star bene.

— È appunto ciò che dice sempre anche lei!

— Si potrebbe, per esempio, farla venir qui.

Io mi nasconderei in quell’armadio e sentirei. Ma però avrei bisogno di essere sicuro che lei non la imbocca...

— Io non imbocco nessuno - sclamò la levatrice offesa di quella supposizione - Che cosa me ne verrebbe poi in borsa a me? Lei capisce bene che io ho tutto l’interesse a tenere nascoste certe cose.

— Bene, mi fido pienamente. Allora, se io tornassi per esempio questa sera, lei la potrebbe far trovar qui?

— E impossibile! Bisogna che vada io a prenderla.

— Dove?

— Sta un po’ lontano.

— E se invece di farla venir qui andassimo noi a trovarla, così per caso, facendo mostra di cercare stanze ammobiliate?

— Si metterebbe in sospetto. Non avevamo detto che lei non deve essere presente? [p. 220 modifica]

— Ah, è vero! Allora sarà meglio farla venir qui da lei.

— Sì, sarà molto meglio.

— E quando potrò udirla parlare?

La levatrice stette a pensare. Poi, tornandole i sospetti e le resipiscenze, sclamò:

— Ma io non capisco bene... la scusi, veh... che interesse possa aver lei di sapere che quella donna non sa dove sia andata a finire suo figlio.

— Gliel’ho detto, mi pare. È per acquetare quella povera Annetta che teme sempre.

— No, no, no, è impossibile - disse la donna - la signora contessa Rocca-Serena non può aver nulla da temere. Io non vedo la cosa chiara.

— La scusi - ripostò Stambecchi con una perfetta calma - Io la voglio persuadere e farle vedere che invece la cosa è chiarissima e molto naturale. Io amo passionatamente l’Annetta, ed ella può imaginarsi se vedendola sempre inquieta e malinconica per questo timore, io non debba avere un grandissimo interesse a tranquillarla. Del resto, la madre non può essere compromessa in alcun modo. Ella non ha fatto altro che cedere a lei suo figlio, perchè fosse collocato in una famiglia dove sapeva che dovea vivere lautamente ed [p. 221 modifica] essere felice. Questa madre non ha commesso una cattiva azione distaccandosi dal proprio figlio. E quelle che li mettono alla ruota, allora, e senza neppur un segno per andarli a levare? Dunque, che difficoltà c’è che io la conosca?

— Lei parla bene, ma vede... ci sono tali disturbi... io ho molto lavoro...

— Ho capito! - sclamò Stambecchi - perchè non dirlo addirittura? Io mi sono scordato di parlare di ciò, ma lei ha perfettamente ragione di farmene, risovvenire. Ebbene - proseguì - io sono pronto a darle un biglietto di duecento cinquanta franchi se per domani a quest’ora lei è buona di far trovar qui la madre di Eleuterio e di nascondermi là in quell’armadio, giurandomi, ben inteso, sul suo santo protettore, che non m’ingannerà e che non la imboccherà.

— Io sono pronta a giurare su quello che vuol lei, perchè so di aver detta la verità, la pura verità e null’altro che la verità.

Si capiva che la levatrice era pratica di procedure criminali.

— Vuole una caparra? - domandò Stambecchi movendosi verso l’uscio.

— So bene che la mi burla, signor marchese. Una persona come lei! [p. 222 modifica]

— Bene, non dubiti. Tanto più che non ho nel portafogli che biglietti da mille.

— Allora, domani alle due.

— Domani alle due - ripetè Stambecchi, ed uscì.