Quattro Milioni/XI
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XI.
Questi crollò la testa in segno di scontento e gli confermò la fatale notizia.
Si sarebbe potuto tentar la lite, ma l’esito no era assai dubbio, e ci volevano quattrini.
Egli si trovò come prima al regime di venti franchi al giorno.
— Che mi resterebbe a fare?
Eh, ora si che sarebbe il caso di tentar di mandare a monte il testamento. Allora, a cose nuove, il vostro diritto risulterebbe non vulnerato da questa imprudente accettazione di quiescenza e sareste certo della vostra parte.
Stambecchi diventò caldissimo fautore di suo cognato il vecchio Rocca-Serena e di suo nipote Cesare Vallieri nemici di Dario, e cominciò a dire a tutti che sua moglie Eleuteria era sempre stata pazza da legare.
— E dunque quand’è che si comincia questa causa contro il testamento? - domandò Stambecchi a suo nipote Cesare, ch’egli era andato a cercare.
— Pare che lo zio Rocca-Serena abbia rinunciato alla idea. E io non ho forza per tentarla da me solo. E poi, consultati gli avvocati, tutti ci dissero che la era una causa spallata, perchè ci sarebbe stato impossibile di provare che tua moglie era pazza.
— Ma non mi dicesti tu che la mia testimonianza sarebbe bastata?
— Lo credevo, mi pareva, ma mi ingannavo. La tua testimonianza sarebbe molto sospetta, giacchè tu avresti troppo interesse a veder annullato il testamento.
Stambecchi era desolato.
Non aveva più speranze e non aveva più un soldo, e prima di toccare i seicento franchi mensili dovevano passare altri nove mesi.
Una sera si trovava in un’osteria, quando il nome di Annetta gli fece alzar il capo. Era un ubbriaco che parlava a mezza bocca colla lingua imbrigliata.
— Se qualcheduno sapesse quello che so io.... Lingua, taci!
E si dava sulla bocca un colpetto colla mano aperta.
— Che cosa devi mai saper tu?
— Io so che il figlio di mia sorella è un figlio comprato e non è suo - disse l’ubbriaco.
Stambecchi spalancò le orecchie fingendo di appisolarsi.
— Ma chi lo dice?
Io lo dico, e se dovessi parlar io e insegnare a quella sgualdrina infame ad avere maggiori riguardi con suo fratello che sa tutto, o che sì o che no...
Il compagno lo prese per un braccio, lo fece alzar dalla tavola e lo trascinò fuori del negozio.
Stambecchi si rivolse all’oste:
— Chi è quel giovinetto mezzo ubbriaco, che mi pare di conoscere?
— È un certo Lattuga, fratello della contessa Rocca-Serena, quella che prima di sposar il conte, che tempo fa è diventato un gran signore, faceva la ballerina. È uscito ieri dalle carceri, dove stette due mesi per ferimento.
Stambecchi ne ebbe abbastanza.
Uscì in preda a mille pensieri turbinosi e corse di nuovo dall’avvocato.
— Torno da lei per essere certo del fatto mio. Se per esempio si potesse provare che il figlio del conte Dario, che, come lei sa, è l’erede universale di mia moglie, non è veramente suo figlio ma fu comprato per aver modo di avere la eredità, che cosa accadrebbe?
— Accadrebbe che il testamento diventerebbe irrito e nullo.
— E allora?
— Allora, sarebbe come se la contessa fosse morta intestata.
— E a me allora toccherebbe proprio la terza parte?
— Certamente.
— Ebbene, allora io dico e sostengo che il figlio del conte Dario non è suo figlio, ma fu supposto per truffare tutti gli altri parenti.
— La difficoltà sarà di provarlo - disse l’avvocato.
— A questo ci penso io. E vado difilato a fare il primo tentativo.
Erano le cinque.
S’avvio verso casa Rocca-Serena.
C’era la solita compagnia screziata e macchiata a varii colori.
Soltanto che questa volta c’era anche un commensale di più.
Stambecchi riconobbe in lui il giovinetto ubbriaco, il Lattuga, che aveva udito parlare la sera prima nell’osteria: il Lattuga, magro come uno zingaro, allampanato, e vestito con una certa eleganza borghese, che si capiva uscita poche ore dianzi da qualche magazzino di abiti fatti e che non gli stava ammodo, un po’ perchè quegli abiti non erano fatti a suo dosso, e un po’ perchè erano in perfetto contrasto col suo viso da forlina - come dicono a Milano, e co’ suoi modi ignobilissimi.
Egli tirò giù un’enorme fetta di carne e la tagliò tutta quanta a pezzettini prima di mettersi a mangiarne. S’era riempito il bicchiere e beveva allegramente tra una masticata e l’altra.
Stambecchi domandò alla contessa chi fosse, ed ella gli rispose:
— Oh bella, non lo conosce più? È mio fratello!
— Come! Antonio?
— Ma sì, Antonio.
— Chi l’avrebbe riconosciuto!
— Eh, sicuro. Quando lei andò in America, lui era un bardassa di otto o nove anni. Ora ne ha diciassette.
— Ma com’è che non l’avevo mai veduto finora?
— È arrivato ieri...! - rispose la contessa arrossendo.
— Era forse in campagna?
— Già. Era in collegio.
L’ex-ballerina chiamava collegio l’ergastolo.
n giovinetto macinava a due palmenti, senza occuparsi di quello che si diceva di lui. Le vicine a destra e a sinistra avrebbero ben potuto morir di sete entrambe, che egli non domandava loro se volevano nè acqua nè vino. Teneva abbassata la testa sul piatto e si andava riempiendo la bocca con dei bocconi enormi, i cui profili angolosi si vedevano comparire e scomparire sulle guance magre e senza peli, or di qua or di là nelle difficoltà della masticazione alterna. Egli aveva un pomo d’Adamo enorme, che andava anch’esso innanzi e indietro ad ogni inghiottimento. Quel collo sarebbe stato meglio fasciato da un foulard rosso a bandoliera, col cappio e senza solino.
Quando la balia entrò col piccolo Eleuterio, Stambecchi notò, come aveva già fatto per il passato, ma con altra intenzione, che sua madre non gli badava e lasciava che gli altri gli facessero la solita festa, piena di adulazioni.
— Assolutamente essa non l’ama! - pensò Stambecchi - E si capisce! Ecco un indizio!
Finito il pranzo e passati in salotto a prendere il caffè, Stambecchi si mise accanto ad uno specchio per spiare ogni mossa della contessa e del conte senz’esser veduto.
A un certo punto si accostò a suo nipote Dario e gli disse:
— Ne vuoi sentir una nuova?
— Fuori.
— Ieri ho sentito - fece egli ad alta voce e ridendo - Ho udito un tale che diceva che tuo figlio non è punto tuo figlio.
Il conte diventò leggermente pallido, e sorridendo sclamò:
— Sicuro! So che si dice anche questo per la città. Che vuoi? L’invidia fa straparlar la gente!
Il fratello della contessa, il Lattuga, che stava seduto li vicino e fumava colle mani in tasca, volse la testa verso Stambecchi, gli diede cogli occhi torbidi una breve occhiata, ma non disse nulla.
Stambecchi non aveva precisamente le doti che si richiedono per essere un valente poliziotto, ma possedeva astuzia bastante per non trovarsi imbrogliato a scoprire ciò che gli premeva tanto.
L’idea più naturale, l’idea ovvia, nel suo caso, era quella di far cantare Antonio, il fratello dell’Annetta, e di trovare col suo mezzo la levatrice che avrebbe portato a quella il bambino, se la cosa era vera.
Con questi due fili gli pareva che non gli sarebbe stato difficile di scoprire il mistero.
Tastò Lattuga, ma questi gli si mostrò così ignaro di tutto, che, per non guastare, tagliò corto. Evidentemente egli era stato esaudito da sua sorella, e teneva acqua in bocca!
Concentrò dunque tutte le sue forze morali e tutta la sua attenzione allo scopo di sapere chi avesse assistita la ex-ballerina nell’ora del parto.
Deciso a tirar un colpo secco, si accostò alla contessa e le disse accarezzando il bambino:
— Venendo qua, ho trovato in strada la levatrice, che vistomi entrare mi domandò se venivo da te e mi chiese notizie del contino.
Annetta, a questa uscita che puzzava di inverosimile, volse gli occhi rapidi verso suo marito, poi rispose in fretta a Stambecchi un: Grazie! - abbastanza gentile, ma secco.
E intonò tutt’altro discorso.
Il conte Dario si allontanò.
Poco dopo, Stambecchi arrischiò un altro colpo.
— Anzi - disse - io debbo fare a tuo marito un’imbasciata da parte della levatrice.
Annetta restò impassibile.
— Gliela farò io - disse - se può dirla a me.
— No no, non posso. Ella mi pregò di fargliela in segreto.
— Diamine! Che può mai aver di segreto la mia levatrice con mio marito? - sclamò ridendo la contessa colla più serena disinvoltura - Fortuna che è vecchia e brutta.
— Ma forse c’è equivoco! - sclamò Stambecchi - Di che levatrice intendi parlare tu, nipote bella?
— Ma della mia! E voi, bellissimo zio, di che levatrice intendevate parlare?
Stambecchi si trovò preso ne’ propri lacci.
Nondimeno rispose:
— Appunto appunto, della vecchia e brutta.
— Dunque, me lo potete dire o non me lo potete dire?
— No, non lo posso assolutamente - rispose Stambecchi.
— Pazienza! Sia per non detto - conchiuse la contessa.
E si mise a parlar d’altro con un vicino, voltando a lui le spalle.
Più tardi, Stambecchi, frugando cogli occhi di qua e di là, li lasciò cadere su una piccola montagna di biglietti di visita, che sorgeva da una jatte di porcellana che stava sul tavolo, in mezzo a due bei vasi del Giappone carichi di fiori e ad altri ninnoli di Sèvres, e lesse sur un d’essi il nome della contessa Anna Rocca-Serena, sormontato dalla sua brava corona a nove punte. Era una carta di visita di sua nipote, dimenticata là fra le altre. La pigliò in mano come per leggerla, e senza farsi scorgere la intascò.
Egli aveva formato il suo piano di guerra.
La mattina dopo si alzò per tempo e si mise in corsa.
Per trovare la levatrice della contessa, della quale non aveva potuto conoscere il nome da questa, come abbiamo veduto - egli non aveva a far altro che andar a cercare nei registri della parrocchia dove era stato battezzato il piccolo Eleuterio.
Entrò in sagrestia.
— Sono venuto - disse - a levare la fede di battesimo del contino Eleuterio Rocca-Serena figlio del signor conte Dario, che abita nel palazzo Tricomo.
— Ah, caro signore - gli rispose il prete al quale egli s’era indirizzato - noi non abbiamo avuto l’onore di battezzare il signor contino. Esso nacque qualche mese prima di venire ad abitare il palazzo ereditato da sua zia.
— È vero! - sclamò Stambecchi - non ci pensavo. La scusi.
— S’imagini!
Stambecchi stava per uscire, scornato ancora una volta, ma poi si volse e: - Saprebbe indicarmi dove abitasse prima il signor conte? - domandò al sagrista.
— No... non glielo saprei dire davvero!
Stambecchi era alla disperazione.
Allora pensò di rammentarsi dove abitassero Dario e sua moglie, quand’egli era partito per l’America. Erano passati nove anni da quel giorno.
A furia di starci sopra, ci riuscì, e andò di filo a quella casa.
La portinaja lo mandò ad un’altra; la portinaja di questa ad un’altra ancora, finchè giunse in porto.
L’aveva trovata. Cercò subito la parrocchia sotto la quale aveva abitato il conte prima di entrare nel palazzo Tricomo, e seppe finalmente il nome della levatrice della contessa Annetta Bocca-Serena.
Nel registro battesimale sotto la data del 12 febbraio 187... lesse il nome del suo nipotino alla lontana, Eleuterio Rocca-Serena, e fra i testimoni trovò quello del fratello di Anna. Antonio Lattuga, e quello di Orsola Marchisella levatrice approvata.
Finalmente la teneva!
Cercò in una Guida della città dove abitasse questa signora Marchisella e la trovò subito.
Allora tirò un gran sospiro e disse fra sè:
«Ora ci siete tutti quanti! E bazza a chi tocca!»