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sere con lui e aiutarlo efficacemente. Là difficoltà sarebbe stata quella di accostarli e di affiatarsi con loro. Quegli aristocratici non l’aveano mai voluto riconoscere, ed egli non se la sentiva di andarsi, a presentare prima di aver nelle mani di che farsi onore.
Risolse dunque di non chiedere aiuto ad alcuno e di far tutto da sè.
E, per prima cosa, di conoscere la levatrice senza ch’ella sospettasse, di lui e de’ suoi progetti.
Un’idea luminosa gli attraversò la mente.
Per giungere al suo scopo. Stambecchi non indietreggiava dinanzi a nessuna turpitudine. Era fatto cosi!
Risolse di chiedere un’udienza al Questore.
Dopo colazione s’avviò verso là casa dove alberga il custode della pubblica sicurezza.
— In che posso servirla? - gli domandò il Questore, seduto nella sua poltrona dinanzi ad una immensa scrivania, invitandolo a prendere posto sul divano che stava alla sua destra, dove lui avrebbe ricevuto in faccia il chiarore che entrava dalla finestra.
— Credo ch’ella mi ravviserà. Io sono Alfonso Stambecchi, vedovo della contessa Tricomo dei Rocca-Serena morta or sono due mesi.