Poesie (Mamiani)/Inni Sacri/A Santa Geltrude
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INNI SACRI.
Mirabilis in sanctis suis.
A SANTA GELTRUDE.
Fra gli altar coronati ei bei doppieri
Di luce sfavillanti e i vaporosi
Turiboli canoro inno s’intuoni
A te, sacra Geltrude, e gli risponda
5Col suon the pel tremante aere si spazia
L’organo dolce. Di ligustri intatti
E di molli gesmini abbian le soglie
Copioso un nembo, che fanciulli e ninfe
Con graziose man nevighin sempre
10Fuor dai colmi canestri. Incedan gli altri
Nel pio sacrario della diva e il crine.
Fioriscano di gigli. Ai testimoni
Della fè generosi e a quei che il brando
Nudâr per Cristo, l’odorato seno
15Apron le rose che invermiglia aprilè;
Il campestre papavero e lo schietto
Umile isopo ai cittadini è caro
Della muta Tebaida, e al contemplante
In gelid’alpe o tra i boschetti ombrosi
20Dei gioghi di Fenicia e di Soria.
Ma alle vergini pure offerto è il mondo
Giglio che in valle di Saròn biancheggia:
E fu Geltrude vergine sorella
Che la fronte serena e i bei crin d’oro
25Chiuse in mistiche bende. — Assai da prima
Che le scuotesse il petto aura di vita,
L’egregio solitario, onde Cassino
Tanto grido movea, di lei s’accorse
Fatto profeta e sulla sua virtude
30Maraviglio. Per entro un cavo speco,
Dalle balze fasciato e dalle ripe
Dei simbrüini stagni, imberbe ancora,
Mentre con frutto di silvestri fronde
Suoi digiuni temprava, al ciel rapito
35Fu un giorno e vide memorande cose.
Vide una chiara insegna ir per lo cielo
E con essa più genti in bianca stola,
Di fioraliso ghirlandate, e sparse
Di luce tal che non v’aggiunge il sole.
40Caste giovani e belle empiean la fronte
Della soave schiera, a cui per duce
La propria affigurò nobil sirocchia,
E Geltrude con ella, in amistanza
Si dolce intrinsecate che sovente
45Baciavansi nel volto e si fean cambio
Delle corone. Al sommo è celebrata
Però l’alma Geltrude, e suonar tutti
Del suo gran nome i penetrali ascolti,
Ove tacite in lei specchian lor mente
50Le vergini romite, e a farle onore
I devoti recessi ornan d’allegri
Pendenti serti e di purpuree sete.
Perciò qual di sue lodi a correr prende
Tuttii vasti sentieri, a largo subbio
55Difficil tela e interminata avvolge:
E se il meglio ne cerca, è all’operosa
Ape simíl che va di fiore in fiore,
Quando l’erbe sen fan gremite e piene,
E mille ne preliba e fra cotanti
60Nettarei succhi dubitosa pende.
Ma fia degno narrar come schiudea,
Di gran sangue germoglio, al sol le luci?
Come in argentea culla e in ben trapunte
Seriche fasce sotto i larghi tetti
65Si giacque e ne gioir l’austrasie terre,
Conesso la real valle di Schelda?
Come d’Otèno le superbe torri
Raggiâr d’armi e d’insegne, e le dorate
Gotiche sale risuonâr del canto
70De’ trovatori che augural sirventa
Sciogliean sull’arpe? Questi pregi un riso
Son di labil ventura, e non li guarda
L’occhio del nume: di Geltrude al core
Salirà più diletto assai quel carme
75Il qual dirà come con lingua appena
Scompagnata dal latte incliti sensi
D’onore profferiva, onde le genti
Prese di dolce maraviglia spesso
L’uno a l’altro dicean: di tal fanciulla
80Noi vedrem riuscir cose divine.
Fuor di costume puerile ingrati
L’erano i giuochi, e non prendea diletto
A gir cantando con le ninfe a schiera,
O d’un gaio levrier le snelle piante
85Sciogliere al corso, o lungo un mobil rivo
Intesser ghirlandette, avvolger balli,
O simil ludo. Risuonavan sempre
Ne’ paterni castelli argentee trombe
E teneri lïuti, e visto appena
90Da lunge scintillar ferrato usbergo
Di cavaliero, giù chinargli il ponte,
Accoglierlo, onorarlo era il perenne
Uffizio là degli ospitali alberghi;
Poi del suo nome e del valor far prova
95Seco armeggiando: ma da giostre e prandj,
Da grida popolesche e da tripudio
La fanciulla involavasi, condotta
Dal suo desir solingo or sotto l’ombra
D’un ameno mirteto, or in muscosa
100Gelida grotta, dove un piccol fonte
Zampillando piovea dai rotti selci.
Ivi partir con l’antro i suoi pensieri
Godeva insomma, avea d’infante nulla
Fuor che tempo e sembianza: onde mal paga
105Di sue splendide case e ancor d’etade
Novella, d’abitar prese consiglio
Per entro i claustri del silenzio amici,
Fra pie donzelle, e vi si ascose al modo
Che in sul giorno talora il più vezzoso
110Astro veggiamo, in ciel comparso appena,
D’una rosata nuvoletta in grembo
Penetrare e vanir. — Fra corto spazio
Qui degli anni l’aprile al chiaro viso
Accrebbe e alle tornite agili membra
115Una si vereconda, una si schietta
Leggiadria, che il parlar vince d’assai.
Molti lei desïavano scettrati
Prenci e garzoni di beltà famosi,
Perchè a scettrati prenci e a bei garzoni
120Della sua venustà corso era grido,
E del senno canuto in pargoletta
Tenera fronte a gran stupor racchiuso.
A celarla a tutt’uomo ombra non valse
D’eremitiche mura e il più secreto
125Recinto degli altar, chè troppo lungi
Invia la grazia giovanil suo lume,
Se a virtù l’accompagna, e spesso indarno
Le vaste arene d’oceàn profondo
La conchiglia eritrèa copron gelose.
130Ella però d’ogni mortal connubio
Alteramente schiva, i giorni e l’ore
Delle superne sponsalizie affretta;
E all’infule sospira e al venerando
Diadema che insegnar debbe alle genti
135Come fatta è celeste e il gran mistero
D’amor s’adempie. — Sbigottì tal nuova
La nobil madre e accelerando mosse
Al femmineo cenobio. Entro al capace
Atrio e le logge a più color distinte
140E a fin lavoro di moresco intaglio
Scolpite, lampeggiò schiera d’armati
Suoi siniscalchi e giovani donzelli
Con vergate divise e d’or gran fregi.
Al subito apparir della regale
145Matrona, incontro le si fêr cortesi
Le caste solitarie, avvolte in bianchi
Diffusi veli; ma seguia cammino
Poco attenta di lor l’altera donna,
Ed in secreto con la dolce figlia
150Si restrinse e le disse. — O del mio sangue
Parte diletta, o figlia unica amata,
Ch’io del mio sen nadriva e carezzando
E baciando addormia sovente in culla;
Una odïosa fama erra ed afferma
155Di te quel che temere unqua non volli,
Nè credo ancor che a temer s’abbia. Adunque
Fuggirai tu da queste braccia? E piena
D’etade come son, farai deserta
Di te la vita mia? Fra vili schiatte
160La possanza e il valor del nome nostro
Cadrà disperso? Coprirai di muta
Squallidezza la tua patria magione,
L’alta magion dei Brabanzesi? Otèno
Che baronaggio antico è del tuo sangue,
165E Lando che t’udia vagire infante,
Pur del dubbio s’accora, e ne van meste
Quante à guerriere plebi il suol ferace
Ch’è dal Varo precipite alle fredde
Acque di Loira, perocchè son tutte
170Al voler di colui del quale, o dolce
Figlia, t’ingenerai.1 Certo non dietti
Il ciel rare virtudi e sì veloce
Conoscimento e tal leggiadro aspetto,
Sol perchè in tenebrosi aditi il serri,
175Oblïando te stessa e disfiorando
Tra picciol tempo. Or vien, figlia, consola
Di tua presenza i lari tuoi, consola
Del tuo talamo un prode a cui fortuna
E amor sorrida: molti prenci sono
180Focosi d’acquistar le pellegrine
Tue forme, e pronti a misurar lor pregio
Con mostre di battaglia: entro la festa
Del mirabil tornéo pudica e altera
Tu siederai: vedrai bandiere ed elmi
185Piumati innanzi a te, figlia, inchinarsi:
Ed allor sentirò balzarmi il cuore
E fremer tutto di materno orgoglio.
Potrai libera intanto aver consiglio
Fra te di te medesma, e a pien tuo grado
190Qualunque estimerai vincer per senno
E per sembianze condurrai beato
Alle tue braccia, o di ricchezze avite
Goda antico splendore e di superbo
Reame, ovvero il doterai tu stessa
195In guisa che non fia minor d’alcuno:
Molt’oro avrà, terrà con teco il regno
Della scoscesa Otèno e sovra dieci
Altre forti castella. — In cotai voci
Miste d’amplessi prorompea la donna,
200E lacrimando alla risposta attese.
Palpita di rincontro e si smarrisce
L’onesta donzelletta, e in viva grana
Colorando le gote, a terra affigge
I parlanti occhj; ma sottile un foco
205L’entra nel petto e lieve si propaga
Per li menomi polsi: allor secura
Rompe il silenzio, e quale il cor gli inspira
Cotai forma gli accenti. — O madre, tutto
Che m’offri, altrove posseder m’attendo
210E più vago e più saldo e più perfetto.
Non dir che le onoranze io mi dispoglio
Del chiarissimo sangue onde per sorte
Concetta fui, nè che struggendo il vezzo
Vo di mia gioventude: un maritaggio
215Prescelsi, a petto il qual nozze terrene
Son ombra e pianto; a così fatto sposo
Mi dioi che la beltà nostra fugace
Vuol radiosa di perpetuo fiore.
Or di che giostre parli e di famosi
220Paladini e di pompe? affanno e lutto
Costan di plebe poverella e nuda
Le borïose dilettanze nostre.
Ai padiglioni intorno ed alle mense
Macera di fatiche e di digiuno
225Erra intanto l’affitta, e ai corsier vostri
Le mangiatoje invidia, invidia il sonno
Ai blanditi sparvier gioja de’ grandi.
Che ministrare a me trepidi io scorga
I miei fratelli, con vendute affrante
230Membra di schiavo, e ch’io ne beva il pianto
Nelle patere d’or, mentre i lor fiochi
Gemiti copre del giullar la voce
Con motti e scede? Ah nol consenta Iddio!
Me sopra i monti suoi me paurosa
235Tortore ei chiama dalle valli infette
Di sangue e di peccato, e quivi a lui
Supplicherò per gl’infelici oppressi,
Madre, per te supplicherò perdono. —
Tacque e maggior della persona apparse,
240Raggiò lume all’intorno e sconosciute
Fragranze pel commosso aere diffuse.
Solleciti consigli, accorte e blande
Lusinghe, i doni, le preghiere, i caldi
E iterati abbracciar fur nulla; e quale
245Indica gemma che il vigor respinge
Di ferrea punta, o qual per entro al fuoco
Intatto asbesto che il poter combatte
Del nemico elemento, a simil guisa
Nel suo saldo pensier reggea la virgo.
250Invan più che l’usato a feste, a giochi,
A mestre d’armi, a musiche, a conviti
Lungo tempo s’addier le ville intorno;
E per le piagge apriche e per li boschi
Che frondeggian vicino al penitente
255Ginecèo, risuonò più giorni a vuoto
Il corno della caccia. Attraversando
Le folte macchie e i poggi attorneggiando
Sopra agili destrier giva una turba
Di garzonetti, chi perito il volo
260A regger de’ falconi e chi prescelto
De’ molossi a instigar la rabbia e il morso,
Chi d’arbalestre e di zagaglie a trarre
Subiti colpi. L’annitrir dei caldi
Corsieri, lo stormir della foresta,
265Le trombe, i gridi, il plauso a gran distanza
Ferian l’orecchio e del romito albergo
La quiete rompean: poi quando il sole
Cerca l’occaso e a quei silenti claustri
D’ultimo raggio percuotea l’acute
270Finestre effigïate a color mille,
Fra i platani frondosi ond’era cinto
Il monistero, comparia seletto
Un giovine real di vigorosa,
Fresca avvenenza e con un misto in volto
275Di fierezza e d’amor soave piglio;
Sul ben frenato corridor sedeva
Eretto, e in modi graziosi e alteri
Il biondo capo ad or ad or volgea,
Procacciando senoprir col mobil guardo
280Entro il devoto ostello alcun sembiante
Da lui diletto: ma non passa al cuore
Di Geltrude oggi più forma terrena,
Poichè tutto il segnår di loro stampa
E di lor fuoco le bellezze eterne.
285Salve, beata; non è vol d’ingegno,
O di favella che al concetto arrivi
Di tue lodi sovrane e appien ricordi
L’opre leggiadre, poi che il santo velo
Fece ombra al fior degli anni tuoi: qual primo
290Dirò dei merti e qual secondo? I folti
Sospir dirò del consapevol petto,
E le lacrime belle in urne d’oro
Da amico angiol riposte e su nel cielo
Discoperte al Signor che inanellata,
295Disposando, l’avea d’eterea gemma?
O pur dirò l’illustre ingegno e quale
Profonda vena di saper v’ascose,
Tesaurizzando il senno d’ogni etade?
Fin da’ suoi tenerelli anni la prese
300Magnanimo desio di cercar tutto
Quel nobil magisterio, onde a l’idea
Del suo fatter rispose ogni fattura:
Sudò sopra le carte, e di notturna
Lampada al lume iscolorando il volto,
305L’invitta del pensiero ala distese
Per lo gran mar dell’essere che tutte
Cela sue prode, e ne tentò gli abissi.
Nè l’ardue rocche e i penetrali solo
Visitò di Sofia, ma la faconda
310Arte conobbe d’ogni cor regina,
Possente a fabbricar dorati nodi
Pei più schivi intelletti, e a lei dal labbro
Stillavan dolci d’eloquenza i fiumi:
Poscia, di vere in ver, di lume in lume,
315Sopravanzando il termin di natura,
Nel primo vero alzò la mentè e quivi
Sciolta d’ogni mortal cura la immerse.
Così talor di forte aquila il figlio,
Inesperto del volo, i bassi gioghi
320Rade da prima e più e più s’infranca,
Fin che l’Alpi possiede, e visto il sole
Che pur tanto sull’Alpi eccelso splende,
Al sole aspira e vi profonda il guardo.
Ave, Geltrude: qual del ciel t’accoglie
325Parte serena, e quale si dipinge
Di tue care sembianze? Ài tu lo scanno
Là nel quarto epiciclo e cresci il gaudio
Di lor ch’apriro del saper le fonti
E lieti n’irrigâr l’avide menti?
330O sei nella remota e tarda sfera,
Cui notò del suo nome il favoloso
Autor del tempo, e in cui di terra assunto
Splende l’abitator del sacro speco
E il meditante suo popol conduce
335Sa per l’aureo scaléo? Forse t’allieta
La chiarezza che fan gli astri conserti
Per l’immenso cristallo, o tua gran lode
Più ancor t’incela, e prossima trionfi
Ove la maestà s’apre del Nume
340Fra gli alti troni? Favorevol guarda
Dai regni dëiformi il travagliato
Mortale, e il suon di nostre preci ascolta.
Me pur, me, diva, ascolta e per fiorito
Sentier di filosofica dottrina
345Trammi a gustar del cibo, onde si larga
Mensa imbandivi al tuo dedaleo ingegno.
Fa tu pietosa almen che non m’asseti
Il venefico nappo, al qual chi beve,
Scorda la nobiltà di sua natura,
350Tra i bruti si rassegna e delle cose
Al governo ripon muti elementi
Che forman gli astri e lo perchè non sanno.
Spirami in petto, o santa, il generoso
Pensier che vola oltre i sepolcri, e scuopri
355Di me medesmo a me l’ente sublime.
Allor, quante sul mondo errano schiatte
D’umani, e quante no scaldò già il Sole
O saran per li tempi, aride foglie
Non mi parranno, che dispiega aprile
360E abbatte il verno; di durevol seme
In lor conoscerò l’egregie stirpi,
L’esser diffuso e l’animate membra
Del civile universo, entro cui ferve
Una provvida mente, un sacro spiro
365Che in meglio il volge e per veloce arcano
Giro di sorti il suo destin matura.
Allor, qual chiusa in rame onda che turge
Per le fiamme supposte e fuor trabocca,
Nel comun bene io verserò l’intera
370Alma commossa, e nella patria sola
Avrò le cure, dispettando il vile
Oro che fatto delle genti è nume.
Per si povera età, per si bugiarde
D’onor divise, tra l’infamia e il lezzo
375Di soppiatte libidini e d’orditi
Crudeli inganni, come irondin vola
Sullo stagno fangoso e mai nol tocca,
Cotal mi scorgi drittamente illeso
D’ogni servaggio e d’ogni larva ignudo:
380Vegga il mondo per te che sapiente,
Chiaro intelletto non contrasta al cielo,
E che virtute e il ver sono una cosa.
Note
- ↑ Vedi le Note a pag. 462.