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inni sacri. 29

Non dir che le onoranze io mi dispoglio
Del chiarissimo sangue onde per sorte
Concetta fui, nè che struggendo il vezzo
Vo di mia gioventude: un maritaggio
215Prescelsi, a petto il qual nozze terrene
Son ombra e pianto; a così fatto sposo
Mi dioi che la beltà nostra fugace
Vuol radiosa di perpetuo fiore.
Or di che giostre parli e di famosi
220Paladini e di pompe? affanno e lutto
Costan di plebe poverella e nuda
Le borïose dilettanze nostre.
Ai padiglioni intorno ed alle mense
Macera di fatiche e di digiuno
225Erra intanto l’affitta, e ai corsier vostri
Le mangiatoje invidia, invidia il sonno
Ai blanditi sparvier gioja de’ grandi.
Che ministrare a me trepidi io scorga
I miei fratelli, con vendute affrante
230Membra di schiavo, e ch’io ne beva il pianto
Nelle patere d’or, mentre i lor fiochi
Gemiti copre del giullar la voce
Con motti e scede? Ah nol consenta Iddio!
Me sopra i monti suoi me paurosa
235Tortore ei chiama dalle valli infette
Di sangue e di peccato, e quivi a lui
Supplicherò per gl’infelici oppressi,
Madre, per te supplicherò perdono. —
Tacque e maggior della persona apparse,
240Raggiò lume all’intorno e sconosciute
Fragranze pel commosso aere diffuse.
     Solleciti consigli, accorte e blande
Lusinghe, i doni, le preghiere, i caldi
E iterati abbracciar fur nulla; e quale
245Indica gemma che il vigor respinge
Di ferrea punta, o qual per entro al fuoco
Intatto asbesto che il poter combatte
Del nemico elemento, a simil guisa