Piccolo mondo moderno/Capitolo terzo. Eclissi/I
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Eclissi
I
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CAPITOLO TERZO
Eclissi.
Alquanti consiglieri della maggioranza clericale dovevano riunirsi alle quattro in casa Záupa. La vecchia signora Záupa non voleva persuadersi che questo fosse un onore per lei, per il consigliere suo figlio, per sua nuora, per i nipoti, per tutte le frondi del prolifero ceppo Záupa. Perchè non si riunivano in casa del sindaco? “La porta pazienza, mama, per sta volta, ghe xe la so rason„, ripeteva l’onesto, piccoletto consigliere Záupa dirigendo con voce più sommessa ma più imperiosa, fra una presa di tabacco e l’altra, il lavoro docile e muto di una donnina esangue, sua moglie, e di un donnone polputo, la serva, che levavano il pepe e la canfora dalle poltrone, dai canapè del salotto, spolveravano i fiori di carta, le bomboniere. Alla vecchia signora Záupa, spettatrice accigliata, pareva che non fosse necessario ricevere i consiglieri in quell’augusta e sacra stanza, dove, grazie al pepe, alla canfora, alle prolisse camicie di tela turchina e alle tenebre perpetue, seggiole, poltrone, canapè, tavolini, specchi, vasi, candelabri, pendola e fiori di carta, entrativi per le nozze dei suoi defunti suoceri Záupa, serbavano ancora la freschezza del 1815.
“La porta pazienza, mama, la sia bona„, ripeteva l’omino, mellifluo; e brontolò invece alla sposa: “Carèghe! Andèmo!„ La mansueta creatura e il donnone cominciarono a portar dentro sedie. Alla quinta sedia la vecchia signora sbuffò: “Ma quanti mai xeli, po, sti b.......?„
“Sedese, mama, se i vien tuti„, rispose il figliuolo mansueto, ingoiando con una smorfia l’appellativo ingiurioso e la propria complicità in esso.
“Mi digo, sior, che faressi megio a tender al vostro mezà, con tuti quei tosi; che zà gnanca in Paradiso per el scalon del Municipio no ghe andè„.
La vecchia diede le spalle a quelle fastidiose novità della sua casa e brontolando “no ghe andè, no ghe andè„ si allontanò. Subito la esangue signora Záupa juniore osò metter fuori la sua voce flebile per osservare a Matìo ch’era presto, ch’erano appena le due e mezzo; il donnone alzò una tendina della finestra, sorrise alla fruttivendola di faccia; e Matìo Záupa, senza rispondere alla sposa, si mise a trottare per la camera, ripetendo “ga d’essere, ga d’essere, ga d’essere„ fino a che gli capitò sotto gli occhi miopi una piccola, poco vestita donnetta di porcellana, già difesa contro le sue verecondie iconoclaste dalla vecchia signora Záupa che le chiamava “stomeghezzi„. Matío si cacciò la donnetta in una delle tasche posteriori dell’abito, dove poi la dimenticò e il donnone ebbe a pescarla l’indomani mattina col più complicato stupore.
Alle tre meno cinque minuti un discretissimo tocco di campanello fece trasalire l’onesto consigliere. Presto qua, presto là, caccia la serva ad aprire, mette in fuga la moglie dalla parte opposta, “via, via, via!„ s’incammina piano piano, in punta di piedi, verso l’anticamera, si ferma, torce e china il capo, mette una mano all’orecchio, riconosce i passi e le voci di chi sale la scala, si soffia il naso a precipizio.
Entrano due persone dall’aria piuttosto misteriosa, un laico e un prete. Il laico cava l’orologio e dice a Záupa: “Le pare?„ Záupa risponde tutto sorridente, facendo frettolosi inchini e fregandosi le mani: “Puntualissimi, puntualissimi!„ e introduce i visitatori nel salotto sacro. Il prete, figurina smilza dal viso fine, dagli occhi beffardi, era un capoccia occulto del partito, uno dei tre o quattro che, stando nell’ombra, movevano sullo scacchiere con occulte fila i vittoriosi pezzi neri. L’altro, bell’uomo sulla quarantina, dai modi signorili, dall’aria intelligente e benevola, era il cavalier Soldini, lombardo, direttore del giornale clericale.
“Dunque?„ fece Záupa.
I due si guardarono esitando, sorridendo, interrogandosi tacitamente. “Parli Lei„ disse il prete. E spiegò allo Záupa, poichè l’altro non si arrendeva, che non c’era tra loro un perfettissimo accordo e ch’egli preferiva parlare dopo. Allora il Soldini disse che stava bene e cominciò il suo discorso.
“Ecco qua. Dunque, disgraziatamente, nelle voci che corrono sul nostro sindaco e quella signora vi ha molto, per lo meno, del vero. C’è la passione dalle due parti e non silenziosa„.
“Eh!„ interruppe il prete. “Altro che silenziosa! Baci, abbracciamenti, in giardino, coram populo!„
“Diciamo coram nemori et lunae, se è vero. Ma poi, fino a qual punto le cose siano arrivate, nessuno...„
“Fa lo stesso„, brontolò il prete. “Del resto coram nemori, lunae et hortulano„.
“Sia! A me non pare che faccia lo stesso, ma tiriamo avanti. Premetto. Mia moglie e io siamo in buona relazione col sindaco e mia moglie visita poi anche la signora Dessalle che ha conosciuto a Roma„.
Záupa assentì ossequiosamente: “sissignor„. E il prete che ascoltava a capo chino fece una smorfia significativa.
“Io, però„, continuò il cavalier Soldini, “parlando di questo doloroso argomento sarò imparzialissimo e schiettissimo. Nessuno, dicevo, può sapere fino a qual punto le cose siano arrivate; ma mia moglie che in queste faccende è molto penetrante, non crede al peggio e non ci voglio credere neppure io„.
“Ben, ben„, fece Záupa, contento. Il prete brontolò “buone persone„. E soggiunse forte: “E il resto?„
“Il resto, sì; ora ci vengo. Siccome però il peggio si dice, avrei rimorso di tacere che la sorgente delle voci più velenose, raccolte subito, si sa, e diffuse rapidamente, con bisbigli pieni di prudenza ipocrita, da tanta gente che assapora con una voluttà particolare i peccati delle persone credute impeccabili e sopra tutto i peccati dei clericali, è l’ortolano di casa Dessalle, il quale ha particolari rancori, più o meno coperti, con il giardiniere, quel mezzo anarchico tutto propenso al sindaco che gli ha fatto nominare il figliuolo alla Biblioteca e lo ha protetto nel ridicolo affare dei calzoni filettati di bleu„. “Ridicolo?„ mormorò il prete. “Sentirà oggi, Quaiotto!„
“Ma sì, ridicolo, via! E spero che lo capiranno tutti! Spero che si seppellirà! Nell’interesse del partito, dico!„
“Eh, per me!„ disse il prete. “Bisogna persuadere Quaiotto!„
“Ebbene, bisognerà far intendere ragione anche al signor consigliere Quaiotto„.
Il buon Záupa che teneva in sospeso una presa di tabacco, si pose a menar in giro la mano con la presa, a menar in giro la testa come un baco maturo, tirandosi faticosamente in bocca un gruppo di parole che gli si udivano strisciar su per la gola.
“Me par anca a mi, me par anca a mi, pare anche a me. Ma bisogna che ghe la diga, bisogna che ce la dica: questi calzoni... il collega Quaiotto... me li ha mandati... precisamente per la seduta d’oggi... e io, come facevo?... li ho dovuti accettare, li ho dovuti, li ho. E sono qui„.
“Bruciamoli„, fece Soldini. E il prete: “Oh sì, bruciamoli! Non capisce che la parte ridicola la fanno i liberali?„
“A me pare che la facciamo un po’ tutti quanti; ma tiriamo via. E veniamo, come si diceva, al resto. Il resto è che venerdì scorso i Dessalle hanno dato a degli amici forestieri, in giardino un déjeûner di grasso e Maironi c’era„.
“Hm, grossetta„, fece Záupa, contrito e mite nel tempo stesso. “Ma è poi sicuro che abbia mangiato?„
“Pur troppo e ci fu scandalo„, rispose Soldini, “perchè il solito ortolano ne ha parlato a una turba di gente„.
“Capisce!„ esclamò il prete guardando Záupa.
“Non mi meraviglio„, disse Záupa. “Non conoscevo questo particolare, ma che l’uomo... da qualche tempo... sia cambiato e non in bene, ecco, non in bene... bisogna ammetterlo, bisogna. Anche il suo contegno nell’affare dei calzoni, andiamo!... Non va, ecco, non va! E tante altre piccole cose ci sono, tanti altri piccoli fatti spiacevoli, per cui, già, specialmente dato il carattere di certi colleghi, non si va avanti, non si va, ecco!„
Allora il cavaliere, premesso che deplorava privatamente gli scandali Dessalle ma che a suo avviso era pericolosissimo, inopportunissimo di servirsene contro il sindaco, ammise che la sua permanenza in ufficio era diventata un grave impaccio per tutti e spiegò che il dissenso fra lui e l’ottimo abate riguardava soltanto la via di uscita. Secondo lui il contegno del sindaco nel famoso affare dei calzoni significava desiderio di provocare una crisi. Maironi voleva romperla con la Giunta, con la maggioranza e col partito, ma, probabilmente, romperla come e dove faceva comodo a lui. Voleva intanto, probabilmente, mettre les rieurs de son côté. Qui Záupa e l’abate si guardarono, si dissero con gli occhi: “avete capito, voi? Io no„. Voleva poi, proseguì Soldini, venir licenziato in modo che facesse torto ai cattolici, che giustificasse, o almeno scusasse, una successiva rottura maggiore ancora, un passaggio ad altre idee e ad altri uomini. Ora non conveniva ai cattolici di fare il suo giuoco; per niente! Conveniva romperla sopra una questione amministrativa.
“A questo modo„, conchiuse il sagace oratore, “eviterete di offendere i suoi sentimenti personali, non lo spingerete a reazioni estreme che sarebbero una rovina spirituale per lui, naturalmente, ma poi anche un colpo doloroso per il partito. Se quando voi, prudentemente, rispettosamente, lo avviate alla uscita dall’amministrazione egli vorrà invece pigliar l’uscita dalla Fede, suo danno. Voi non ne avrete colpa ed egli non ci farà una bella figura. No davvero! Nessuno approverà mai che si cambi fede politica e religiosa per una questione di cinta daziaria o di gas, o di stipendi alle levatrici comunali e nemmeno per una questione di amor proprio. Ma se non lo irritate, non credo che diserterà. Sta sotto il fascino di una donna, queste son cose umane e noi cattolici abbiamo forse il torto di non riconoscere abbastanza la fragilità sessuale, sto per dire, anche dei galantuomini e dei cristiani più convinti. Lasciate che la parabola del fascino si compia. Come certi tumori, questi sono mali che guai a operarli se non sono giunti a maturità. Io adesso dirò una cosa cruda che scandolezzerà qui il nostro buon dottor Záupa„.
“E me no?„ fece il prete.
“Lei meno, credo. Io, come non sono un mistico nè un asceta, così non sono un teologo e non so se dico un’eresia. S’è un’eresia, da buon cattolico la ritiro. Ragionando da uomo di mondo dico che se il desiderio della colpa estrema, non soddisfatto per difficoltà esterne, equivale, nel giudizio di Dio, al fatto, se per caso quest’uomo e questa signora si trovano in condizioni tali, sarebbe utile che il fatto si avverasse perchè la parabola della passione sarebbe più breve„.
Si vide l’esofago dell’ottimo dottor Záupa contrarsi nello sforzo d’inghiottire un boccone tanto smisurato per esso.
“E in questo caso„, disse il maligno beffardo abate, “cosa si dovrebbe far noi, per aiutare?„ Soldini esclamò ridendo: “per carità, per carità! Son cose che si dicono„. E venne alla conclusione del suo discorso. “Lasciamo queste chiacchiere. Voi scegliete oggi il terreno della crisi. Mi è venuto in mente ora che potrebbe esser l’aumento dello stipendio ai maestri delle scuole rurali. Voi assessori vi accordate oggi di sollevare la questione nella prima seduta di Giunta e di deliberare allora che l’istanza dei maestri sia portata in Consiglio con voto negativo. Il sindaco si è compromesso, come sapete, a questo proposito con le dichiarazioni che ha fatte quando si discuteva l’istanza degli spazzini. Si dimetterà. Subito voi vi dimettete pure, pro forma. Si raduna il Consiglio per le dimissioni e allora non si fanno complimenti, e non si rielegge il sindaco. Res finita est„.
“Eh sissignor„, fece Záupa. “Questa xe prudente. Xe prudente„.
“Finita male„, cominciò il prete, curando poco le opinioni di Záupa. Egli aveva idee diverse da quelle del cavaliere. Brutta, bruttissima cosa la relazione colla signora; inutile il ricercare, quando c’è scandalo, se vi sia o non vi sia, in fatto, tutto il male che la gente dice: ma insomma, via! concediamo per un momento che il fallo sia da imputare alla comune fragilità umana; e la infrazione pubblica del venerdì? Pazienza un cattolico qualunque! Ma il capo del partito? Passi per un banchetto ufficiale cui il sindaco potrebbe essere costretto d’intervenire. Può avere la dispensa dal Vescovo, può scegliere fra i piatti grassi e i magri, per ultima risorsa può far a meno di mangiare. Ma in una riunione di puro piacere e anche all’aperto! E il tavolino del sindaco si poteva vedere dal vigneto dove la gente lavorava! Non era una semplice violazione del precetto, era una sfida! Sarebbe un altro scandalo il non raccoglierla. Il signor sindaco era un membro malato della Chiesa e il membro malato si tronca senza misericordia. La misericordia giusta è di fare come san Paolo, di consegnare l’uomo e la sua sciarpa sindacale nelle mani di Satana, perchè l’anima si salvi nel giorno del Giudizio. Però, prima di arrivare a tanto bisogna richiamare il peccatore, fargli parlare da qualche persona molto autorevole, e poi se resiste andar da lui, dirgli che si desiderano le sue dimissioni.
“Eh!„ fece Záupa, immaginando di aversi a trovare anche lui fra i futuri portatori dell’ambasciata. “Questa xe dureta. Xe dureta. No ghe par?„.
“Eh, ciò!„ rispose il prete. “Lo so anca mi„.
Il cavaliere osservò ch’erano quasi le quattro, e che a loro conveniva di andarsene senza esser veduti dai consiglieri, i quali forse li pregherebbero di partecipare alla riunione, cosa non opportuna. Oramai il dottor Záupa sapeva e poteva regolarsi. Per parte sua il cavaliere aveva espresso una semplice opinione, desiderava si discutesse ma poi non si voleva imporre.
Nell’uscire l’abate mormorò all’orecchio di Záupa: “La tenete segreta questa riunione?„ E siccome Záupa rispose di soprassalto con tanto di cipiglio e di mani levate: “Euh, diamine!„ come se si fosse trattato di un complotto per ammazzare il Papa, l’altro crollò le spalle, infastidito, fece un gesto come per dire: “Parlate!„ e lasciò trasecolato l’ingenuo Záupa, gli rallentò la foga dei “servitor suo, servitor suo„, degl’interminabili inchini a scatto con i quali soleva accompagnare alla porta i suoi visitatori. Rimasto solo, il dottor Matìo si appuntò alla fronte l’indice della mano destra guardando con attenzione intensa la chiave dell’uscio. Quando gli parve aver trovato l’altra chiave ideale che cercava, dato un omaggio tacito alla finezza dell’abate, raccolse il pensiero nelle necessità dell’ora presente e chiamò la serva.
“Quele braghe?„
“Le xe in cusina, signor„.
“Ben, quando ca sonarò, portèle„.