Patria Esercito Re/Parte prima/I volontari
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I Volontari
I.
Fino dall’alba 1859, una specie di corrente elettrica sotterranea, misteriosa, correva per le vene, vibrava nei polsi del popolo Milanese. Ogni dì che Dio mandava in terra era apportatore di una grande, o piccola, dimostrazione. A intendersi bastava, in quei giorni, una parola, un cenno, un batter di ciglio. Cotesta corrente magnetica non si limitava solamente alle piazze, agli intimi ritrovi, ma scaturiva nelle feste, nei balli; e, sovratutto, nei teatri.
È ormai nel dominio della Storia, il grande commovente spettacolo, offerto — non dal palcoscenico, ma dalla platea del teatro alla Scala — la memorabile sera del 29 gennaio 1859.
Quella sera, là sulla scena, le sorelle Marchisio, il Pancani e il Laterza cantavano nella Norma — stupenda lirica di Felice Romani, sublime creazione del genio di Bellini — che quella sera si offriva a pretesto di una delle più meravigliose dimostrazioni patriottiche che la mente più fervida possa immaginare.
Il teatro era pieno zeppo, così nella platea che nei palchi. Le tre prime file, dopo l’orchestra, spiccavano candide e scintillanti per le bianche uniformi degli ufficiali Austriaci ivi schierati, per gli ornamenti dorati, i bottoni, e l’elsa lucente delle loro sciabole; e facevano uno strano contrasto colla massa nera borghese, che pigiata come l’uva nel tino, sedeva dietro di loro. Qua e là, altri ufficiali — per la maggior parte Ussari eleganti — stavano aristocraticamente distribuiti nelle loggie di prima fila; alle quali se ne aggiungeva una, a sinistra entrando, la più delle altre rimarchevole e rimarcata — quella loggia che ora è frequentata dagli Assessori municipali — nella quale, circondato da un numeroso Stato Maggiore, troneggiava il biondo Generale d’artiglieria, conte Giulay, nella sua uniforme colore carta assorbente azzurrognola, coi suoi impertinenti mustacchi a uncino, ed i famosi suoi scopettoni, che gli ornavano le guance rosse come i peperoni.
L’aria, in mancanza d’ossigeno, era satura di elettricità.
Prevedere quello che sarebbe accaduto là dentro, a nessuno era dato; ma tutti sentivano, per intuito, che qualche cosa di grosso si stava preparando.
E quel qualche cosa, eccolo scoppiare fulmineo, formidabile, quando sul palcoscenico, Druidi, Bardi.... e altri armati — all’appello mistico di Norma — intonano l’inno guerriero di Felice Romani:
― Guerra, Guerra! le galliche selve.... — per riprendere terribile irrefrenato al:
— Sangue, sangue! — della seconda strofa.
— Guerra, Guerra! — urlò scattando in piedi tutta quella imponente massa nera, che stava dietro la massa bianca delle prime tre file; simultaneamente spinte, l’una e l’altra, dal subito contrasto di opposti affetti indarno trattenuti.
— Guerra, Guerra! — era il grido che si sprigionava dalle loggie, dalla platea, dal loggione, dappertutto; mentre dai loro palchetti, ritte anch’esse in piedi, le belle e.... le meno belle, donne Lombarde, sventolavano febbrili le trine dei loro fazzoletti.
— Cuerra, Cuerra!.... — si urlò pure, con pronuncia tedesca, dal palchetto del generale: il quale, scattando anch’esso in piedi come il bau-bau che spaventa i bambini, si gingillava a sfoderare e rinfoderare un palmo di lama della sua durlindana, con aria provocatrice.
Figuriamoci il gran pubblico, a quella vista!
Questo si pose allora a battere le mani, a tempestare fragorosamente coi piedi; mentre tutta la ufficialità picchiava furiosamente, in atto di sfida, le sciabole sull’innocente pavimento di abete, marcando con quelle il tempo all’Inno guerriero meglio di qualunque Toscanini moderno.
Rossi i visi, di fiamma gli occhi.... era il quarantotto in teatro!
Ma frattanto, la polizia prendeva le sue note!....
E il dì dopo?.... Ecco principiare l’esodo della gioventù Milanese e Lombarda; così che nella prima metà di febbraio, si può dire che a Milano non passeggiassero più che le donne, i bimbi, i vecchi e gl’invalidi.
Da Como, da Magenta, dai monti, dai piani; chi a piedi, chi per barca, chi per baroccio, tutti ripararono sotto il libero orizzonte della ospitale Torino.
Non solamente, s’intende, milanesi, e lombardi furono i volontari che accorsero a Torino nel 1859; ma era il fior fiore della gioventù di tutta Italia, e specialmente della veneta.
Anzi, a proposito dei volontari della Venezia — uscita la prima edizione di questo libro — ricevemmo, anonima, la seguente lettera:
“Nell’interessante sua pubblicazione Patria-Esercito-Re, trovo menzionate alcune persone, indiscutibilmente degne di essere ricordate; ma ne rilevo ommesse altre di pari merito.
“Io non so da quale critero V. S. I. sia partito, nella scelta dei nomi di tanti bravi giovani che, con molta abnegazione, e non pochi sacrifici, contribuirono efficacemente al riscatto nazionale; tuttavolta, se trattasi di semplice dimenticanza, permetta, a chi per delicatezza vuole serbare l’incognito, rammentarle dei nomi, i quali avrebbero dovuto trovare un posticino nel suo volume. Sono fra’ più distinti, ed Ella, se ne convincerà tosto, scorrendo l’elenco, che qui, a maggiore affermazione, le unisco.„
L’elenco anonimo portava solamente i nomi di: Paulo Fambri, che nel 1859 si arruolò nel Genio; di Alessandro Zeno, entrato in Piemonte Reale; di Giacomo Rossi, nello stesso reggimento; di Ferdinando Policreti, in Genova, di Augusto Avogaro, arruolato nei Lancieri Vittorio Emanuele; e, nello stesso reggimento, Annibale Brandolin. Più, aggiungeva i nomi di Giuseppe Galvagna e di Nicolò Papadopoli, arruolati nel reggimento Lancieri d’Aosta, e di Ferdinando Guiccioli, nei Cavalleggeri di Monferrato; i quali entrarono nell’Esercito italiano fra il 1859 e il 1866.
L’anonimo scrittore ci chiede se si è trattato, da parte nostra, di semplice dimenticanza.
Rispondiamo.
Dimenticanza?!.... Nè anche in sogno! Che se esso avesse scorso, con un po’ più di attenzione, il volume incriminato, si sarebbe accorto, di per sè, che l’autore di quello, essendosi limitato soltanto ai nomi di volontari, quasi tutti milanesi, o lombardi — specialmente arruolati in cavalleria — non aveva avuto campo, nè modo, di estendersi a tutti quei bravi volontari Veneti, arruolati allora o venuti poi, fra’ i quali si onorava di contare tanti buoni amici, e anche qualche parente. Anzi, di alcuno di essi offre qui il ritratto, quale lo trovò nei suoi vecchi albums. Sono parecchi Conte Alessandro Zeno.quelli del 59, pochi del 66.
Questo diciamo, non per giustificare dimenticanze che non potevano esistere; ma per profittare dell’opportunità di farci, diremo così, critici del critico; provando che, se dimenticanza ci fu, questa non fu certo da parte nostra!
Riempiamo perciò la lacuna dell’anonimo con molti altri nomi di volontari Veneti, da lui lasciati nella penna: Dolfin, Michiel, Grimani, Miniscalchi, Guerrieri, Da Persico, Porto, Baffo, Priuli, Balbi-Valier, Contarini, Felissent, Somaglia-Stopazzola, Salvadego, Alberti, Giuliari, Cavazzocca, Murari, Portalupi, Bottagisio, Rosini, Pellegrini, Tacchetti, Giacomelli, Merriweather, i due fratelli Ecchelli dal Dosso, di Prampero, Tecchio, E. Braida, e tanti altri, che la nostra ormai stanca e vecchia memoria, non ricorda. Ma, come prova che dimenticanza, o anche ignoranza, non fu, aggiungeremo, per esempio, che lo stesso conte Alessandro Zeno,
Conte Zeno nei Lancieri d’Aosta.passato ufficiale nei Lancieri di Aosta, venne assunto, dopo lasciato il servizio, a gentiluomo d’onore di Sua Maestà la Regina Margherita; che di Sua Maestà stessa, venne pure nominato primo Gentiluomo d’onore, il marchese Ferdinando Guiccioli, dianzi volontario nel reggimento Cavalleggeri di Monferrato. Aggiungeremo che, dei Lancieri d’Aosta fu pure brillante ufficiale il barone Giuseppe Galvagna, e che il conte Annibale Brandolin, morto da pochi anni, fu un brillante capitano degli Ussari di Piacenza, ed ufficiale d’ordinanza onorario di S. M. Vittorio Emanuele. Diremo che il conte Nicolò Papadopoli, arruolato nel 1866, e passato anch’egli
Conte Marco Miniscalchi Erizzo.
Presidente della Croce Rossa; Sezione di Verona.ufficiale nei Lancieri d’Aosta, è ora Senatore del Regno. Finalmente, che il Tacchetti, e il Rasini, dei quali parliamo più avanti, portano sul petto i gloriosi segni del valore; e che il conte Marco Miniscalchi Erizzo — l’instancabile presidente della Croce Rossa veronese — era tenente nei Cavalleggeri di Lucca, e si segnalò a Medole nel 1866.
Egli, lasciato il servizio, fu per nove legislature deputato di Verona e della sua provincia, per parecchi anni, segretario della Camera; e nella innondazione di Verona del 1882, e nella invasione colerica del 1886, guadagnò due Medaglie d’Argento. La sua morte recente fu un lutto veronese e italiano. Ora, seguono altri volontari:
volontari veneti del 1859
Conte Augusto Avogaro. | Nob. G. B. Baffo, venuto dalla Toscana. |
Conte Felissent, passato in cavalleria. | Conte Giuseppe Medin, col padre. |
volontari veneti del 1859 e 1866
Nob. Domenico Ferrari Bravo, 1859. | Barone G. Galvagna, 1866. |
Giorgio Merriweather, 1859. | Conte Marco Miniscalchi Erizzo, 1866. |
volontari veneti del 1866
Leopoldo Pullè, 1848-49-59-66. | Balbi, Zeno, Della Chiesa, Rizzini, Conte Benevello, ecc. Gruppo di volontari fatto a Pinerolo, 1859. |
Luigi Rosini, 1866. | Nob. Vincenzo Tacchetti, 1848-49-59-66. |
II.
Ma, poichè ci siamo messi sulla via delle aggiunte, o, diremo meglio, delle riparazioni; prima di procedere oltre, e per non usare due pesi e due misure, chiediamo il permesso al lettore di ricordare anche i nomi di altri volontari, i quali, ingiustamente dimenticati in recenti pubblicazioni, che trattano delle vicende e degli avvenimenti del patrio risorgimento, specialmente del 1859, avrebbero dovuto tenere il primo posto.
Sono nomi di giovani milanesi arruolati nelle diverse armi, per la maggior parte nell’arma di cavalleria, i quali parteciparono alle campagne 1859-66 — alcuni a quelle del 1848-49 — nomi che, chiedendo venia per gli inevitabili oblii, qui registriamo in ordine alfabetico.... per non fare torto a nessuno! — Eccoli:
Giulio Ricordi. | Lo stesso, passato nello Stato Maggiore. |
Molti di questi fecero anche la campagna del 1866. Alcuni, come l’Adamoli, il Bizzoni Achille, il Besana, il De Albertis, il Robecchi, passarono prima, o poi, nell’Esercito garibaldino. Altri, entrarono in Artiglieria, come il Venino, San Severino, Giulio Vigoni, Pestagalli, Meraviglia, Parravicini, Belgiojoso, Boselli, Buttafava; altri ancora nelle Guardie, come Girolamo e Giacomo Sala, Caccia, Dal Verme, Taverna e Viola. Molti in fanteria, fra i quali il Negri.
Pochi nel Genio, come Alberto Gabba e Giuseppe Brini; e ne’ Bersaglieri, come Ricordi, Marinetti, Della Porta, ecc. ecc.
A completare questo rapido volo dentro le pagine degli antichi Annuari militari, per diseppellirvi i nomi di tanti volontari del 1859 — nomi cari alla patria — crediamo opportuno e doveroso di ricordare anche quelli che toccarono i più alti gradi nell’Esercito, la maggior parte dei quali vivono ancora, ma fuori di servizio.
Sono oggi in servizio attivo i Tenenti Generali Comandanti un Corpo d’Armata: Luigi Majnoni, Ettore Pedotti, Luigi Bisesti — gli altri due Lamberti e Bellati, non sono milanesi. — Dopo di questi vengono subito i Tenenti Generali, non più in servizio: Francesco Pistoia, Giovanni Riva Palazzi, Zaccaria Finardi, Filippo Gazzurelli, Gerolamo Pezzoli, Giov. Battista Guerrini, Antonio Trotti Bentivoglio, Giuseppe Casati, Giov. Battista Anderloni, Settimo Del Frate, Filippo Terzaghi.
Col grado di Maggiori Generali: Francesco Tecchio — veneto, ma residente a Milano — Franceso Pino, Ferdinando Restellini, Erminio Tessera, Dionigi Tornaghi, Ettore Zuffi, Emilio Clericetti, Emilio Pesenti, Giuseppe Gatti, Amilcare Mazè.
Colonnelli: Clemente Ravina, Francesco Bellini, Celeste Folli, Giuseppe Garavaglio, Euclide Voghera, Carlo Vergani, Giovanni Castelli, Edoardo Mauri, Giorgio Mazzalorso, Luigi Bassi, Antonino Prampero, Francesco Locatelli, Luigi Bonzi, Cesare Ruggeri, Giovanni Villa, e colui che scrive.
Dei sudetti, due non sono lombardi: il Tecchio, figlio del Presidente del Senato e il conte Antonino di Prampero, da Udine, Senatore del Regno.
Finalmente, un tenente Colonnello: Angelo Segala.
L’elenco nominativo dei volontari del 1859 porta, alfabeticamente ultimo, il nome di un benemerito cittadino milanese, morto da non molto tempo, e sempre rimpianto, il duca Guido Visconti di Modrone. Questo nome caro ci offre l’occasione di narrare un aneddoto, abbastanza originale, della sua vita di soldato volontario.
Subito dopo la guerra del 1859, alla quale il giovane Guido prese parte, arruolandosi semplice soldato — uno fra’ primi — in un reggimento di cavalleria, venne, dopo la campagna, insieme a parecchi altri volontari, mandato alla Scuola di Pinerolo in attesa della promozione ad ufficiale.
Il soldato volontario Guido Visconti, anima delicata per natura e per educazione, non fece mai sfoggio, in mezzo agli altri, delle sue ricchezze: benchè fosse allora in quella fase giovanile della vita dove è tanto facile perdere la misura delle cose.
Aitante della persona, bellissimo per linee ed espressione del volto, egli ci dormiva vicino di branda, nel camerone che raccoglieva tutt’i volontari. Cotesta branda era corta corta, così ch’egli, il più alto di tutti noi, era costretto a tenere fuori di quella i piedi, se non voleva dormire acciambellato come in una cuccia.
Quella branda poteva paragonarsi ai famosi letti del masnadiero Damaste Procuste, ucciso da Teseo, il quale tagliava le gambe, o allungava il collo a’ suoi ospiti, per ridurli alla misura dei letti.
Duca Guido Visconti di Modrone.
E non era questo il solo tormento di quei giacigli. Ce n’era un altro — forse non noto agli ospiti disgraziati del crudele Procuste — certi animaletti immondi, e insidiosi, che ci obbligavano alla insonnia, per dar loro la caccia notturna. Una caccia, uno sport di nuovo genere; il quale consisteva nel far gocciolare il liquido caldo dei nostri mozziconi di candele steariche, dentro tutti i fori, e forellini visibili della branda; facendone una poco olezzante miscela; una specie di fusione cui, fino allora, nè l’arte dei profumieri, nè quella dei fonditori, era arrivata.
Guido Visconti faceva quella operazione in camicia e mutande; delle quali aveva stretti i lacci in modo da fermare la circolazione del sangue, per impedirvi l’entrata agli incomodi inquilini..... superstiti, della branda.
Si tirava qualche moccolo.... patriottico, si rideva.... ma poi si finiva a dormire saporitamente, come si dorme a vent’anni; colla coscienza di fare, anche in ciò, il proprio dovere di cittadini e di soldati.Ora, ve lo figurate voi, o lettori, il duca Visconti di Modrone — futuro Senatore del Regno — di notte, col mozzicone di candela in mano, poco vestito, fare nel camerone dei volontari, intorno alla branda, una operazione di simil genere?....
Guido Visconti, essendosi ritirato dall’esercito regolare subito dopo la guerra del 1859, partecipò pure a quella del 1866, arruolandosi nelle Guide di Garibaldi; come vediamo dal bel ritratto che di lui pubblichiamo nella sua nuova uniforme.
E fu, per l’appunto, durante que’ mesi di vita comune, che Guido Visconti non volle in nessun modo distinguersi, per trattamento giornaliero di vita, da nessuno de’ suoi compagni.... non tutti ricchi quanto lui.
A Pinerolo, egli avrebbe potuto darsi il lusso di pranzi e colazioni luculliane, serviti dai migliori nettari di Francia e del Reno.... ma non volle. Soldato come noi, egli invece ascrisse ad onore di potere con noi spezzare il pane.... e dividere il vino.... per quanto annacquato!
Perocchè, in otto o dieci volontari, s’era allora combinata una specie di mensa a pensione fissa, in una casa privata; dove si pagava poco, è vero, ma, in compenso, si mangiava molto poco.... e molto male. Guido Visconti era di quel numero; e non vi dico le risate e, insieme, i brontolamenti che si facevano, quando l’appetito dei vent’anni superava la magra imbandigione, e ci si doveva rifare sopra una innocente vittima, un pezzo di formaggio, battezzato dal Visconti, il Tu me la pagherai!
Ed ora, eccoci ad altri volontari milanesi del 1859.III.
Gruppo di volontari nei Cavalleggeri di Monferrato
fatto a Vigevano il 7 febbraio del 1859.
Franco Fadini, G. B. Nava, Leopoldo Pullè, Luigi Crescio, Ernesto Turati, Max Fadini di Piemonte Reale, Luigi Esengrini, Luigi Mazzoni, Augusto Verga.
Gruppo di volontari in Piemonte Reale, eseguito nel febbraio 1859.
Volontari milanesi, e lombardi, del 1859;
la maggior parte dei quali non figurano in altra parte del libro.
Marchese Luigi d’Adda Salvaterra, 1848-49-59. | Nob. Giuseppe Arici. |
Marchese Adalberto Barbò. | Nob. Alessandro Besozzi. |
Luigi Bisesti. | Giuseppe Bizzoni. |
Conte Emanuele Borromeo, 1848-49-59-66. | Conte Enrico Borromeo. |
Giuseppe Brini. | Camillo Caccianino. |
Antonio Caccianino. | Manfredo Camperio, 1848-49-59-66. |
Enrico Caporali. | Alessandro Carissimi (Guide Garibaldi). |
Nob. Giuseppe Carcano. | Conte Luchino Del Maino. |
Conte Luchino Dal Verme. | Lo stesso nello stato maggiore. |
Nob. Luigi Del Mayno. | Paolo Frigerio. |
Edoardo Frigerio. | Riccardo Gavazzi. |
Conte Antonio Greppi. | Nob. Lorenzo Greppi. |
Cesare Marocco. | Cesare Menghini (Mantova). |
Nob. Giovanni Mozzoni. | Conte Diego Melzi. |
Nob. Luigi Majnoni d’Intignano (Guide). | Nob. Stefano Majnoni d’Intignano (Guide). |
Nob. Cristoforo Manzi-Fè. | Carlo Marinetti. |
Flaminio Monti. | G. B. Nava. |
Gaetano Negri. Due medaglie al valor militare. | Domenico Oldani. |
Nob. Gerolamo Padulli. | Nob. Gian Luca Padulli, morto sul campo. |
Gaetano Parravicini. | Conte Uberto Clavello Pallavicino (Ussari). |
Giulio Pavia. | Enrico Pizzagalli, morto fra’ briganti. |
Pompeo Praga. ― G. B. Rognoni. | Conte Leopoldo Pullè. |
Cesare Regazzoni. | Michele Radaelli. |
Conte Gian Pietro Cicogna. Due medaglie d’argento a valore militare e una Menzione ― campagna 1860. | Nob. Giacomo Sala. |
Gerolamo Sala. | Conte Annibale Sanseverino. |
Conte Francesco Scaccabarozzi. | Giuseppe Tamburini. |
Cirillo Tamburini. | Conte Rinaldo Taverna in uniforme delle guardie. |
M. Lodovico Trotti. — Costume del torneo 1864. | S. A. Umberto — Alfredo Ulrich. |
Conte Giulio Venino. | Augusto Verga (Guide). |
Nob. Giulio Vigoni. | Conte Alfonso Visconti di Saliceto. |
IV.
Ed ora ecco altri volontari, arruolati soldati nei reggimenti, o entrati nella scuola militare, fra il 1859 e 1866, ma che vestirono quasi tutti l’uniforme d’ufficiale. Segniamo i volontari in corsivo:
Emanuele d’Adda, Gioacchimo d’Adda, Arturo Annat-Hagy, Achille Arese, Carlo Balabio, Eugenio e Giovanni Besana, Carlo Bollini, Francesco Brambilla, Carlo Lavelli de Capitani, Riccardo Badoni, Giberto Brambilla, Giulio Biraghi, Carlo Calvi, Michele Cajrati, Angelo Cattaneo, Cesare Galluzzi, Gian Franco Litta Modignani, Giovanni Litta Modignani, Max Majnoni, Giorgio Casati, Giuseppe Parola, Giuseppe Pirovano, Antonio Tagliabò, Carlo Sormani, Venceslao Cavalletti, Vincenzo Tosi, Cesare Stucchi, Enea Torelli, Ignazio Piantanida, Andrea Sola, Ludovico Carcano, morto a Custoza; Ignazio Prinetti Schlick, morto per ferita; Costantino Arpegiani, Pippo Vigoni, Rinaldo Casati, Giulio Simonetta, Giuseppe e Pippo Manara, Pio e Egidio Gavazzi, Guiscardo Pietrasanta, Emilio Marzorati, Gerolamo Trovati, Giovanni Brambilla, Gerolamo Calderoni, Francesco Navarra, Giulio Valerio.
Venuta la pace, abbandonò le armi, e colla coscienza d’aver fatto il proprio dovere, tornò al fiorente suo studio d’ingegnere.
E qui ci fermiamo, perchè se si dovesse registrare tutti quei giovani che vollero portare il contributo del loro sangue all’unità della patria, nel 1859 come nel 1866, e in tutte le imprese che vennero poi, non la finiremo più. E ci limitiamo ad esumare — come abbiamo fatto pei volontari del 1859 — dai nostri vecchi albums di mezzo secolo fa, alcuni altri ritratti di quei giovani milanesi che, come si è detto dianzi, presero parte alla campagna di guerra del 1866. — Eccoli:
Marchese Emanuele d’Adda. | Marchese Gioachino d’Adda Salvaterra. |
Nob. Ludovico Carcano, morto sul campo. | Max Majnoni, morto per caduta da cavallo nel 1872. |
Conte Achille Arese. | Nob. Francesco Bassi. |
Giovanni Besana. | Eugenio Besana. |
Nob. Francesco Brambilla. | Michele Cairati. |
Angelo Cattaneo. | Carlo Lovelli De Capitani. |
Nob. Pippo Manara. | Marchese Nob. Gianfranco Litta Modignani. |
Francesco Ricciardelli. | Nob. Giovanni Litta Modignani e Conte Andrea Sola. |
V.
Fra i primi a partire fu pure Luigi Esengrini.
Colui che scrive s’incontrò con esso, per la prima volta, nella cabina del battello a vapore che dalla Svizzera, dove eravamo faticosamente e pericolosamente giunti, doveva condurci sul sospirato suolo Piemontese. Egli era allora un giovanetto biondo, roseo, bello di forme, ornate le gote da una incipiente lanugine lumeggiata d’oro. Semplice nei modi, nell’aspetto un po’ timido; così, a occhio e croce, non mostrava più di diciotto anni.
Non ci volle grande acume a indovinare quale fosse la mèta cui tendeva anche il giovinetto profugo. Ci confessammo a vicenda, e si strinse subito fra noi un’intima e fraterna amicizia. Perocchè, allora, il pensiero della patria aftratellava in un sentimento solo tutti i cuori italiani, e li trascinava per naturale istinto a un subitaneo e caldo amore.
— Come sei fuggito? — io gli chiesi.
— Traversando il Ticino.... dentro una barca di pescatori.... E tu?
— Io valicando il Monte Generoso. Guarda come sono conciato! — E così dicendo, gli mostrai i miei poveri stivali di città verniciati, che facevano acqua e ridevano da tutte le parti per essersi, lungo tutta una notte, sprofondati nella neve alta più di un metro.
— Dal Monte Generoso?! E perchè da un valico tanto faticoso?
— Per maggior sicurezza. Se fossi stato preso, per me sarebbe stata una doppia disgrazia. Ecco perchè ho cercato una via matematicamente sicura.
— Ho capito! — disse l’Esengrini, e sorrise.
Poi soggiunse con una certa titubanza:
— Ma.... e tuo padre?
— Fu lui che mi diede i mezzi per fuggire.
— Davvero?... Ci ho proprio piacere.
In queste brevi botta e risposta, vi era tutto un dramma intimo. Seguì un momento di silenzio; dopo il quale l’amico continuò:
— A prender così difficile via nessuno ti aiutò?
— Altro!... Mi aiutò un provvidenziale amico.
— Chi?
— Giulio Ricordi.
— Ma.... lui non partiva?
— Partiva il dì dopo.
— Perchè non venne con te? — Perchè aveva il viaggio più comodo.... Poche ore di ferrovia.... e tanto di passaporto.
— Beato lui!... E come l’ottenne?
— Colla musica!... Pare che questa cosa non sia sospetta all’Austria... Poi Giulio non era soggetto alla leva.
— Vedo.
— Però, nel far fuggire me, rischiò la pelle anche lui!
— Bravo Giulio!
— Lo conosci?
— Chi non conosce a Milano il buon Giulio Ricordi?... Ma non mi hai ancora detto come sei partito... E in qual modo Giulio ti ha aiutato...
Qui domandiamo perdono al lettore, se, per quel po’ ancora di modestia di che può essere capace un vecchio radoteur — trattandosi di cosa che personalmente lo tocca — egli, per soddisfare l’amico, preferisce di far narrare l’avventura dallo stesso Giulio Ricordi, saccheggiando, in parte, un suo brillante articolo che sotto il pseudonimo di Ixipsilonzeta pubblicava in un opuscolo intitolato Primavera della vita.
“.... Il Governo austriaco faceva sorvegliare attentamente i confini al punto che, dalla parte di Magenta, lungo il Ticino, era quasi impossibile sfuggire ai moltissimi gendarmi scaglionati presso il fiume. Anche il confine svizzero era sorvegliato: ma la regione montuosa, le straducole ben note ai contrabbandieri, il lungo sviluppo della linea di confine, vi rendevano più facile lo sfuggire agli occhi dei gendarmi o dei soldati austriaci. Dal Monte Olimpino, per Chiasso, il passaggio era facilissimo. Ma questa cuccagna durò poco, perchè ben presto quella parte di confine venne rigorosamente chiusa con numerose pattuglie. Bisognava allora tentare la via dei monti, la quale per la stagione invernale, era assai disagiata e pericolosa.
Una sera, in casa mia, uno de’ miei migliori amici mi dice:
— Ho deciso di andarmi ad arruolare nell’esercito piemontese.
— Bravissimo, a rivederci a Torino.
— Ma è affar serio l’andarsene! Con quanti mi sono confidato, nessuno mi seppe dare un consiglio pratico e tracciarmi una via sicura; se mi pigliano, sono certo d’essere deportato in Boemia od in Galizia, incorporato in qualche reggimento austriaco!
Certo, l’affare era serio: ma nulla v’era d’impossibile allora, ed a quella benedetta Torino bisognava assolutamente andarci, in un modo o nell’altro. — Dopo molto discutere, studiare, far piani, sclamai:
— Scapperai dal lago di Como! So come fare.... ci penso io!„ — E lì espongo il mio piano, e si decide la partenza pel posdomani.
“Non è possibile descrivere l’agitazione in cui ci trovammo tutti, anche per la responsabilità ch’io mi era assunta.
La sera prima della partenza l’amico venne a dare l’addio in casa mia. Pochi, pochissimi fidati amici, e tre o quattro signore. Il cuore di tutti batteva forte, per l’entusiasmo e la commozione. Finalmente suona mezzanotte!... E il momento degli addii.... abbracci, baci, auguri, benedizioni!
Mio padre, di soppiatto, fa scivolare nelle tasche del fuggitivo quattro o cinque napoleoni d’oro, e mia madre quattro paia di calze di lana... e quattro tavolette di cioccolatta. Oh, le mamme hanno talvolta delle idee piccine, che sono.... molto grandi!
Racconto anche questo particolare intimo perchè l’amico mio ha tanto talento, tanto spirito, che lo rammenta tuttora con singolare compiacenza.
Col primo treno per Camerlata, si parte in tre: il sottoscritto, l’amico, ed un altro giovanotto1 che io, in seguito a vivissime e fidate raccomandazioni, avevo accettato nella comitiva. — Eravamo ancora in inverno, e Milano era sepolta nella nebbia. — Giunti a Como, troviamo un tempo splendido, addirittura primaverile: le cime delle montagne, tutte bianche di neve, spiccavano sul cielo purissimo ed azzurro; il sole, brillando maestoso, ne avvolgeva in una atmosfera tiepida e quasi profumata.
Il battello a vapore ci doveva condurre a Cadenabbia: ma, per quanto si rimanesse tranquilli, e si facesse le viste di ammirare le belle sponde del Lario, avevamo già eccitato i sospetti di un Commissario di Polizia. Perchè convien sapere che ogni battello a vapore aveva sempre in quei giorni il suo bravo Commissario a bordo.
Guardandolo di sottocchi, lo vidi chiacchierare con qualcuno della ciurma, e capii subito che il tema del discorso erano i tre eleganti signori, i quali, in epoca affatto balzana, si davano il gusto di visitare il lago!
Giunti a Cadenabbia, mi abboccai con un vecchio e fidato ex-contrabbandiere, il quale s’incaricò di condurre i due compagni in Svizzera per il Monte Generoso, unico passo che presentasse probabilità di sfuggire alla vigilanza austriaca. Ma non assumeva responsabilità se non nel caso in cui all’indomani, per le 11 antimeridiane, i due si trovassero a un dato luogo, all’insù d’Argegno, nella Val d’Intelvi.
E la mattina seguente, alla 8, si parte per Argegno in un battello a tre rematori; ben inteso, nessun bagaglio, nè altro che potesse muovere sospetto: giunti ad Argegno vediamo due gendarmi che passeggiano in su e in giù lungo la riva e che adocchiano la nostra barca. — Ahi, si comincia male!... — pensai fra me. Smontiamo, e si va ad un una piccola osteria, al primo piano, cui si sale per una scaletta esterna. Ridendo, chiaccherando, ordiniamo la colazione. Mi affaccio alla finestra e vedo ancora i due gendarmi! Ma avevamo combinato il nostro piccolo piano strategico per ingannare gendarmi e poliziotti.
Terminata la colazione, si comincia a fare un baccano indiavolato. Domandiamo delle carte da giuoco. Si giuoca un po’, si grida: poi ci affacciamo e chiamiamo i nostri tre barcaioli:
— Su, su, venite qui! Vogliamo che ci insegnate la morra!
I tre salgono, e lì ha principio una partita di morra veramente mastodontica:
. . . . Quatter! Sett! Duu!... Tucc alla morra!
Ma i due gendarmi erano sempre in funzione!
Intanto, l’amico mio mi dà una stretta eloquente di mano; lui ed il compagno, quatti, quatti, escono da una finestra posteriore che dava in un orticello; di lì, per le anguste strade d’Argegno, dovevano svignarsela prestamente su pei monti, per portarsi al posto di ritrovo prestabilito.
I due gendarmi erano sempre giù in strada.... E, su, nella cameretta dell’osteria, rimasto io solo coi barcaiuoli, si raddoppiavano le grida, le risate, ed il giuoco continuava animato più che mai. I pugni sul tavolo non erano altro che commedia, e noi quattro rimasti ci guardavamo intanto trepidanti, ansiosi, pensando ai due che in quel momento s’arrampicavano su per i sentieri del monte.
Passò così una mezz’ora. Nulla essendovi di nuovo, eravamo certi che i due fuggitivi avevano ormai raggiunto la guida.... M’affaccio alla finestra, e respiro. I due gendarmi, rassicurati e stanchi della lunga fazione, scantonarono tranquillamente, lasciando libero il passo.
A Cadenabbia riprendo il battello a vapore, ma a dir il vero, temevo d’incontrarmi col Commissario del giorno innanzi, il quale avrebbe potuto canticchiarmi: “Eran tre ed ora è uno!„ Ma la fortuna mi aiutava. Il Commissario c’era, ma non era lo stesso.
A Milano si rimase inquieti cinque giorni, durante i quali non ci pervenne notizia alcuna! Finalmente si ebbe lettera da Torino: i due fuggitivi vi erano giunti: ma il viaggio era stato lungo e difficile! Ad un certo punto, avendo corso il rischio d’essere scoperti dai doganieri, erano stati obbligati a nascondersi per quasi un’ora fra i massi del monte, in mezzo alla neve. Tranne il soprabito, ai fuggitivi non restava altro per coprirsi. L’amico mio s’era sentito vincere dal freddo e aveva perduto le forze, dichiarando d’essere incapace di più oltre proseguire! Figuratevi che momenti! Non potevano pensare ad accendere fuoco, perchè sarebbe stato come un dare l’allarme ai doganieri: aiutato, sorretto dalle guide, gli si bagnarono le labbra colla buccia del limone, per rianimarlo.... L’amico tentò allora uno sforzo supremo... e quando sentì che il confine era poco lontano, fu tanta la sua gioia, che i suoi muscoli si rinvigorirono, ripresero nuova lena; e così, contornando le tre vette del Generoso e scendendo per ertissimo sentiero, tutta la comitiva vi era arrivata sana e salva a Mendrisio.„
Certi che il nostro buon amico Giulio non vorrà intentarci una causa per diritto d’autore, torniamo sul battello a vapore, riprendiamo il colloquio troncato a metà, e ridiamo la parola al profugo compagno di viaggio.
— Vai dunque ad arruolarti? — chiese l’Esengrini.
— S’intende.
— In che arma?
— Possibilmente in cavalleria.
— Come me! — esclamò egli, contento di trovare un compagno.
— Hai già scelto il reggimento?
— Sì; Cavalleggeri di Monferrato.
— Perchè in Monferrato?
— Perchè in quel reggimento serve un fratello di mia madre: il capitano Ristori.
— E allora, in Monferrato ci vengo anch’io. Faremo il soldato insieme. La tua compagnia mi sarà di lieto augurio.
Ed ecco che, da Torino recatici a Vigevano, dove il reggimento era di guarnigione, ci arruolammo; e, insieme, dopo pochi giorni, prestammo il giuramento. — Quel giuramento che, allora si faceva in chiesa, con una certa solennità, davanti all’altare di Dio. Quello che, allora, rappresentava l’altare della patria!
Intanto a Vigevano ci avevano preceduti: i due fratelli Majnoni, Stefano e Luigi; l’Ernesto Turati, l’Augusto Verga, Luigi Rosales, Luigi Mazzoni, Franco Fadini e G. B. Nava; de’ quali avremo occasione di parlare più avanti.
Alloggiati nello stesso camerone, mangiavamo tutti alla stessa mensa. Insieme vestiti, insieme istruiti da piedi e da cavallo. All’aprirsi della campagna, armati di sciabola, carabina, pistola, giberna, pastrano a tracolla, e tanti altri amminicoli, squillato dalle trombe l’a-cavallo, si partì in guerra.
Partimmo, un po’ impacciati, sotto il peso di tanto equipaggiamento, ma beati e allegri come se si andasse a nozze.
Luigi Esengrini fu un soldato modello per disciplina, per zelo, per valore. Prese parte anch’egli alle giornate di Montebello e S. Martino; insieme con noi venne nominato sottotenente di cavalleria l’11 dicembre 1859. Come tale, fu destinato ai cavalleggeri di Milano, reggimento di nuova formazione; e il 24 marzo 1861 — perocchè a quei tempi gli avanzamenti andavano coll’andatura del galoppo, e non con quella delle lumache come ora — entrò come luogotenente nei cavalleggeri di Lucca; quindi per disposizione ministeriale dell’11 luglio dello stesso anno, passò, con grande sua soddisfazione, nel bel reggimento Ussari di Piacenza, di desiderata memoria.
Chi rammenta Luigi Esengrini sotto quelle spoglie, ricorda certamente uno fra i più eleganti ufficiali del reggimento. Cosicchè, anche da un certo punto di vista estetico, si può dire che il generale Durando, scegliendolo a suo aiutante di campo, mostrasse d’avere molto buon gusto e mano assai felice. Perchè, all’avvenenza, Luigi Esengrini accoppiava il valore; valore che egli provò a Custoza nel 1866, sul campo bagnato dal sangue di molti altri suoi concittadini milanesi, vecchi volontari del 1859 — quali per esempio i due eroici ufficiali Armando Vitali e Camillo Dal Verme dei quali parleremo in altra parte di questo libro.
A Custoza l’Esengrini non volle essere da meno degli altri; onde, non avendo, come aiutante di campo, nessun comando di truppa, volle spontaneamente unirsi ad alcune cariche della cavalleria, percorrendo valorosamente la fronte dei combattenti tra i più gravi pericoli.
Per quel fatto ebbe la medaglia d’argento al valore militare.
Alberto Corbetta. |
Presso il generale Durando c’era pure, quale aiutante di campo, un altro giovane milanese, l’Alberto Corbetta; il quale, soldato volontario, indi ufficiale anch’esso nel 1859, benchè avesse lasciato il servizio da pochi anni, volle volontariamente prender parte alla campagna del 1866; trovandosi per tal modo, insieme all’Esengrini, nella cruenta giornata di Custoza.
Esengrini chiese l’aspettativa per motivi di famiglia nella primavera del 1868; ma non per rimanere nell’ozio molle e disutile che poteva offrirgli l’avita agiatezza; ma per profittare di quel tempo prezioso e recarsi, insieme a Enrico Besana — un altro patriota e soldato di quelli antichi — a visitare gli Stati Uniti d’America, l’India, la China e il Giappone; ritraendo dai suoi viaggi quel tesoro di cognizioni, di studi e di esperienza che gli furono poi guida, appoggio e conforto, nella sua vita di cittadino.
Ritornato in servizio il 27 luglio 1869, nel successivo mese di agosto ottiene il brevetto di capitano; e nel 1869, ha l’ambita soddisfazione d’essere nominato ufficiale di ordinanza onorario di S. M. Vittorio Emanuele. Toccò all’Esengrini un’altra grande fortuna: quella di entrare il 20 settembre 1870, come capitano al seguito del generale Masi, in Roma capitale!
Dal giorno in cui Luigi Esengrini lasciava il servizio militare, non abbandonò mai l’abitudine di farsi chiamare col nome di capitano; tanto che egli, in società, non era conosciuto che come il Capitano Esengrini. Perocchè l’antico affetto per l’esercito rimase sempre vivo nel suo cuore come nel bel tempo passato.
Durante la lunga malattia, e negli estremi momenti della vita, il suo pensiero tornava frequentemente ai militari ricordi. Ne parlava a mente serena, li rievocava durante i suoi momenti di delirio; e parlando con compiacenza della sua antica divisa di Ussaro, raccomandava — e si faceva promettere — che quella elegante uniforme sarebbe stata collocata nella bara accanto a lui.
Non volle fiori, tranne quelli che gli verrebbero offerti dal cuore dell’adorata consorte, contento soltanto degli onori militari che egli credeva gli venissero di diritto.
E la bella uniforme fu collocata accanto a lui nella cassa; e gli onori militari furono anche questi ordinati per telegrafo dal Ministero della guerra; il quale pensò che si potesse a buon diritto fare uno strappo alla legge della burocrazia, in omaggio a un prode soldato decorato di una medaglia al valore militare, e da S. M. Vittorio Emanuele insignito del grado di suo ufficiale d’ordinanza.
In quel quadro spiccano le figure di Vittorio Emanuele, del Sindaco conte Beretta, del conte Iacini, del marchese Ermes Visconti, del grande scudiere conte di Castellengo, del buon conte Giulio Litta Modignani, aiutante di S. M., dell’altro aiutante marchese Di Bagnasco, del generale Durando e del suo biondo aiutante di campo. Luigi Esengrini, nella fulgente uniforme di Ussaro di Piacenza.
Quanti morti in quel gruppo!... Quanti mesti pensieri!... I nostri occhi pur volendolo, non potevano distaccarsi dalla stupenda tela. Attratti da quella forza, intima e misteriosa, che alle volte trascina l’uomo a precipitare nel vuoto, stavano inchiodati su quell’Ussaro biondo, che nel fiore della gioventù e della forza, pareva in quel quadro sfidare la morte!
Ahimè! quella tela — opera insigne di un altro morto — è destinata a passare a traverso i secoli.... ma quell’ufficiale e quella uniforme noi non li vedremo mai più.
Note
- ↑ Era il giovane barone Cossa, che morì poi battendosi coi briganti.