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I Volontari


I.


Fino dall’alba 1859, una specie di corrente elettrica sotterranea, misteriosa, correva per le vene, vibrava nei polsi del popolo Milanese. Ogni dì che Dio mandava in terra era apportatore di una grande, o piccola, dimostrazione. A intendersi bastava, in quei giorni, una parola, un cenno, un batter di ciglio. Cotesta corrente magnetica non si limitava solamente alle piazze, agli intimi ritrovi, ma scaturiva nelle feste, nei balli; e, sovratutto, nei teatri.

È ormai nel dominio della Storia, il grande commovente spettacolo, offerto — non dal palcoscenico, ma dalla platea del teatro alla Scala — la memorabile sera del 29 gennaio 1859.

Quella sera, là sulla scena, le sorelle Marchisio, il Pancani e il Laterza cantavano nella Norma — stupenda lirica di Felice Romani, sublime creazione del genio di Bellini — che quella sera si offriva a pretesto di una delle più meravigliose dimostrazioni patriottiche che la mente più fervida possa immaginare.

Il teatro era pieno zeppo, così nella platea che nei palchi. Le tre prime file, dopo l’orchestra, spiccavano candide e scintillanti per le bianche uniformi degli ufficiali Austriaci ivi schierati, per gli ornamenti dorati, i bottoni, e l’elsa lucente delle loro sciabole; e facevano uno strano contrasto colla massa nera borghese, che pigiata come l’uva nel tino, sedeva dietro di loro. Qua e là, altri ufficiali — per la maggior parte Ussari eleganti — stavano aristocraticamente distribuiti nelle loggie di prima fila; alle quali se ne aggiungeva una, a sinistra entrando, la più delle altre rimarchevole e rimarcata — quella loggia che ora è frequentata dagli Assessori muni-