Parte seconda del Re Enrico IV/Atto primo

Atto primo

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Prologo Atto secondo
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ATTO PRIMO



SCENA I.

La stessa.


Il portiere alla entrata; viene lord Bardolfo.

Bard. Olà! Chi veglia costà! Dov’è il conte?

Port. Con qual nome v’annuzzierò io?

Hard. Di’ al conte che lord Bardolfo lo aspetta qui.

Port. Sua Grazia è ita a passeggiare nel parco. Vogliate voi stesso battere alla porta, e vi risponderà.

(entra Northumberland)

Bard. Egli qui viene.

Nort. Quali notizie, lord Bardolfo? Ogni minuto deve produr oggi qualche avvenimento. I tempi son pieni di torbidi, e la discordia, come corsiero infiammato da soverchio nutrimento, ha rotto il freno con furore, e abbatte tutto che incontra.

Bard. Nobile conte, io vi reco novelle certe dai Shrewsbury.

Nort. Voglia il Cielo che siano liete!

Bard. Liete quanto il cuore può desiderarle. — Il re è gravemente infermo, è quasi estinto, e per mano di milord, vostro figlio, il principe Enrico è stato ucciso; i due Blunt caddero sotto Douglas, il Giovine principe Giovanni Westmoreland, e Stafford, fuggirono dal campo; e quel pingue maiale che seguiva i passi d’Enrico, quel corpulento Falstaff, è divenuto prigioniero di vostro figlio. Oh! non mai fu visto ugual giorno, simile combattimento; non mai vittoria più fulgida illustrò un secolo dai tempi del fortunato Cesare in poi.

Nort. Da cui derivano tali novelle? Vedeste voi il campo? Venite da Shrewsbury?

Bard. Ho parlato, milord, con un guerriero che ne giungeva, con un uomo bennato, di nome chiaro, che mi die’ queste notizie per vero.

Nort. Veggo il mio fedel Travers che avevo spedito lo scorso martedì per raccogliere novelle.

Bard. Milord, il mio cavallo ha preceduto il suo ed egli non vi reca nulla di sicuro, nulla di più di quello che io stesso vi ho detto.     (entra Travers) [p. 222 modifica]

Nort. Ebbene, Travers? Quali fausti annunzi! rechi?

Trav. Milord, sir Giovanni Umfrevile mi ha fatto tornare indietro con buone notizie. Essendo egli sopra miglior corsiero, mi avea preceduto. Dopo lui giunse, a colpi raddoppiati di scudiscio, un cavaliere quasi esausto dal corso, che si è fermato accanto a noi per dar lena al suo cavallo, e m’ha chiesto della via di Chester. Da questi ho saputo che il partito dei ribelli non era stato fortunato, e che lo sperone del giovine Enrico Percy1 era freddo ed immobile. Ciò dicendo, ei lasciò le brìglie al suo corridore animoso, e curvato all’innanzi die’ dei calcagni nei fianchi anelanti della bestia, talchè così trasportato, senza attendere ad altre dimande, pareva divorare la via.

Nort. Ah! Ripeti. — Ei ti disse che lo sperone del giovine Percy era freddo? Che i ribelli erano riesciti a male?

Bard. Milord, ascoltatemi. Se il mio giovine signore, vostro figlio, non ottenne il vantaggio, sull’onor mio acconsento a cedere tutti i miei dominii per un laccio di seta; non se ne parli più.

Nort. Ma perchè il cavaliere che ha incontrato Travers gli avrebbe parlato d’una disfatta?

Bard. Colui era qualche miserabile, che aveva derubato il cavallo su cui stava, e che, sulla vita mia, parlò a casaccio, Ma ecco altre novelle. (entra Morton)

Nort. La fronte di quell’uomo, come il nero frontispizio di un libro, annunzia che tutto il soggetto del volume è tragico. Così la sabbia, umida ancora, mostra le vestigia dell’usurpazione dei flutti. Parla, Morton; vieni tu da Shrewsbury?

Mor. Sì, mio nobile lord, vengo da Shrewsbury, dove l’esecrabile morte si è mostrata sotto le sembianze più spaventose, e più atte ad atterrire il nostro partito.

Nort. Come stanno mio figlio e mio fratello? Tu tremi, e il pallore delle tue guancie, più alacre che la tua lingua, mi rivela il tuo messaggio. Tu sembri quel Troiano che, senza voce e senza lena, vacillante e mesto, colla morte negli occhi e la disperazione in tutti i lineamenti, apriva le cortine di Priamo, fra le ombre della notte profonda, e si sforzava di dirgli che Troia era a metà incendiata. Priamo trovò la fiamma, prima che il messaggiero trovasse la voce: così io veggo la morte di mio figlio Percy avanti che tu me l’annunzi. Veggo che vorresti dirmi: vostro figlio fece questo e questo fatto: vostro fratello così combattè: così il nobile Douglas: e vorresti empiere la mia avida [p. 223 modifica]orecchia col racconto delle loro nobili gesta, serbando pel fine del discorso un profondo sospiro che corromperebbe la dolcezza di ogni tua lode, volendo con quello significare: vostro fratello, vostro figlio, tutti son morti.

Mor. Douglas è vivo, e vostro fratello ancora: ma vostro figlio.....

Nort. Egli è spento! Vedi quanto l’occhio del sospetto è vivo e penetrante! E’ basta che un uomo tema una sventura, e un rapido istinto lo rischiara; e dagli sguardi altrui tragge la certezza che quella sventura è accaduta. Nullameno, Morton, parla; di’ al tuo conte ch’ei s’inganna; smentisci solennemente la sua congettura. Il tuo insulto sarà ricevuto con ebrezza e ti verrà compensato con ogni favore.

Mor. Voi siete troppo grande perch’io v’inganni. Il vostro presagio è fatalmente vero: i vostri timori sono fondati.

Bard. Ma con tuttociò tu non dici che Percy sia morto.

Nort. Ne leggo la cruda confessione ne’ tuoi sguardi: tu scuoti il capo e temi di dire il vero, come temeresti un pericolo o un delitto. Se egli è ucciso, favella. La voce che mi annunzia la sua morte non mi offende. Delitto è calunniar gli estinti; ma non si fa oltraggio ad essi dicendo che più non vivono.

Mor. Nondimeno è pur certo che il primo messaggiere di una sinistra novella assume un uffizio funesto e pericoloso. La sua voce acquista il suono lugubre di una squilla tetra che vi richiama il terribile istante della perdita di un amico.

Bard. No, milord, non posso credere che vostro figlio sia estinto.

Mor. Sono dolente d’esser costretto ad obbligarvi a prestar fede a ciò che, dinanzi al Cielo che mi ascolta, non vorrei aver veduto. Ma i miei occhi lo mirarono sanguinoso, sfinito, e senza lena, mentre respingeva con debole mano i colpi di Enrico Monmouth, il di cui furore avea atterrato quel garzone fino allora invitto, impedendogli per sempre di rialzarsi. La morte di quell’eroe, il di cui coraggio infiammava i più stupidi bifolchi, una volta divulgata pel campo, agghiacciò l’ardore de’ più intrepidi avvegnachè ei fosse come la molla del suo partito che, rotta, lo ha con sè trascinato; onde ognuno ha cercato salvezza nella fuga. Allora il nobile Worcester fu fatto prigioniero; allora quel bollente Scozzese, quel prode Douglas, la di cui spada uccisi avea tre re bugiardi, cominciò ad ammollirsi, a rimettere del proprio cuore, e animar lo si vide col suo esempio i fuggiaschi al corso. Nell’ansia di questo ei cadde, e fu preso. In breve: il [p. 224 modifica]re è restato vittorioso e manda molte squadre contro di voi, milord, sotto la condotta del giovine Lancastro e di Westmoreland. Queste sono le novelle vere.

Nort. Non mi mancherà tempo per piangere tal disavventura. Nel veleno sta il rimedio. Se avessi posseduta buona salute, questa notizia me l’avrebbe tolta; ora che sono infermo, essa mi rende una specie di vigore. Come il tapino i di cui nervi indeboliti e commossi dalla febbre piegando sotto il peso dei mali, si slancia nell’accesso del suo delirio quasi dardo di fuoco e si scioglie dalle braccia di coloro che lo circondano, così le mie languide membra traggono dall’eccesso delle mie sventure e forza e rabbia. Via da me inutili sostegni. (gettando le gruccie) Ora è una manopola d’acciaio che dee rivestir questa mano. Lungi da me ancora tu, inutile benda, tutela troppo debole di una testa che principi, animati dallo spirito di conquista, intendono di abbattere. E col ferro che convien cingere la mia fronte. L’ora più disastrosa che possono condur i tempi e la vendetta, suoni e minacci Northumberland: il mio furore la disprezza! Oh! il cielo e la terra si confondano; la mano della natura non tenga più l’Oceano impetuoso nei suoi limiti; si spenga l’ordine dell’universo; e sopra questo teatro in cui la discordia langue, e non fa succeder che troppo lente le catastrofi, s’accenda repentinamente l’ira vendicatrice che infiammò l’anima di Caino, onde i cuori di tutti gli uomini sospinti ad atti sanguinosi, guidino rapidamente questo mondo al suo tragico fine, e le tenebre del caos avvolgano la nostra specie annientita!

Trav. Questo impeto violento aggrava il vostro male, milord.

Bar. Nobile conte, non ripudiate la vostra saviezza.

Mor. La vita di tutti i confederati che avete dipende dalla vostra; e se prorompete in questi eccessi, la vostra vita non durerà lungamente. Mio nobile lord, voi vi siete avventurato alle imprese guerresche; ne avete rassegnate tutte le eventualità prima di dire: formiamo un partito. Voi supponeste che vostro figlio dovesse perire nella mischia; sapevate che camminava sull’orlo di un precipizio, in cui era più facile il cadere che il ritrarsene; a voi era noto che ei non era invulnerabile, e che il suo bollente coraggio lo avrebbe fatto avventar sempre nei luoghi in cui più ferveva la battaglia; e nondimeno gli diceste: va. Nessuna di quelle considerazioni, così vivamente presenti alla vostra fantasia, ha potuto distogliervi dall’impresa già statuita. Che dunque è accaduto di straordinario? Che ha prodotto l’audace opera, se non ciò che era probabile producesse? [p. 225 modifica]

Bar. Noi tutti che ci contristiamo di questa perdita, sapevamo che il corso era in tal pelago, che poteva mettersi dieci contr’uno che vi avremmo lasciato la vita. Nondimeno ne abbiamo voluto i rischii. Per ottenere ciò che ci proponevamo, abbiamo soffocate le considerazioni del danno parvente. Ora che tocchiam lo scoglio, avventuriamoci ancora. Venite, porrem tutto all’azzardo; ricchezze, e vita.

Mor. Ne è più che tempo; ed ora, mio nobile e degno lord, vi porrò a parte d’una novella che mi fu data per certa. Il venerabile arcivescovo di York procede alla testa d’un esercito ben disciplinato; e un uomo è quello che lega a sè i suoi soggetti con doppio vincolo. Vostro figlio, milord, non aveva che ombre di soldati; perocchè la parola ribellione formava contraddizione fra i movimenti del loro corpo, e la volontà delle loro anime. Essi non combattevano che con ripugnanza, come uomini costretti a ingoiare una medicina disgustosa. Le armi che portavano sembravano sole del nostro partito; posciachè il loro coraggio e le loro anime fossero rimaste agghiacciate dalla parola di rivolta. Ma ora l’arcivescovo instaura e consacra l’insurrezione come atto religioso; e posciachè è riputato santo e mosso da motivi puri, tutti gli van dietro volenterosi. Egli ha raccolto il sangue dello sfortunato Riccardo sul suolo della fortezza di Pomfret, e ne colora la sua bandiera: fa discendere dal Cielo la sua querela e la sua causa, e dichiara a tutti che si è mosso per proteggere e cuoprire colle sue armi un regno conculcato, un regno che implora salvezza, gemente sotto l’oppressione del superbo Bolingbroke: alla sua voce, grandi e piccoli si radunano e van con lui.

Nort. Lo sapevo anche prima, ma il mio dolore me l’avea tolto di mente. Venite con me, e ognuno porga il suo consiglio sui mezzi più acconci a tutelare la nostra salute e la nostra vendetta. Non siamo parchi di corrieri nè di lettere; affrettiamoci a farci amici per tutto: non mai ne avemmo così pochi, nè mai con maggior bisogno.     (escono)

SCENA II.

Londra. — Una strada.

Entra sir Giovanni Falstaff col suo paggio che gli porta spada e scudo.

Fal. Ebbene, gigante, che disse il dottore della mia urina?

Pag. Signore, disse che era in se stessa buona e salubre; ma [p. 226 modifica]che la persona da cui esciva sembrava essere attaccata da più malattie ch’ei stesso non imaginava.

Fal. Gli uomini di tutte le specie si fanno una gloria in dir male di me. Il cervello della pazza bestia, che si chiama uomo, non è atto ad inventar nulla di piacevole, fuor di quello che invento io stesso, o che s’inventa sul mio conto. Non solo son faceto, ma sono ancora cagione di tutte le arguzie che possono dir gli altri. — Marciando dinanzi a te (al paggio) somiglio a una troia che ha uccisi tutti i suoi piccoli, fuori di uno che la segue. Se il principe, mettendoti a’ miei stipendii, ha avuta altra intenzione tranne quella di farti servire in contrapposto a me, confesso ch’io non ho dramma di giudizio. Tu piccolo automa, aborto d’una meretrice, tu splenderesti meglio in forma di bottone sul mio cappello, che azzimato da valletto seguendo i miei talloni. In fede, fin qui non avevo avuto l’onore di portare un’amatista. Ma tu potresti servirmi d’anello, sebbene non ti facessi legar nè in oro, nè in argento, ma avvilupparti soltanto in pessime bende, fra cui ti manderei, quasi gioiello, al tuo signore, a quel miserabile garzone, a quel povero principe, il di cui mento nudo non è adorno della più lieve lanuggine; e credo vedrò spuntare prima la barba sulla palma della mia mano, di quello che un pelo sulle sue gote. Nondimeno ei non arrossisce di dire che il suo volto è un volto da re. Il buon Dio voglia porci la mano per finirgli quel volto allorchè gli piacerà. In fino ad ora esso non ha perduto nulla sotto il rasoio, e può serbar la sua effigie per l’impressione delle monete; perocchè giuro che non farà mai guadagnar sei soldi ad un barbiere, quantunque chi la porta la faccia da gallo come se da venti anni fosse già uomo, cioè a dire dal tempo che suo padre era un garzoncello. Sull’onor mio, si tenga le sue grazie, e il suo merito; per me l’assicuro che gli ho tolte le mie. — E che disse messer Dumbleton della seta che gli ho dimandata per farmi un mantello, e le calze alla marinala?

Pag. Disse, signore, che convien gli diate miglior cauzione che non è Bardolfo: ei non la vuole; le sicurtà non gli piacciono.

Fal. Vada dannato come un ghiottone! Gli sia arroventata la lingua! Scellerato, indegno Achitofele! miserabile abbietto che tiene un cavaliere col becco in acqua, e gli ciancia di cauzioni! Coteste ignobili teste calve non portano più che scarpe coi talloni alti, e fasci di chiavi al cinto; talchè se un valentuomo si presenta per chieder le loro merci, gli sciagurati si trincerano entro le loro sicurtà. Preferirei mi mettessero veleno da topi in bocca primachè venirmi a parlare di sicurtà. Credeva mi [p. 227 modifica]mandasse ventidue aune di seta: sul mio Dio, come è vero che son leale cavaliero, lo credevo, e lo sciagurato mi parla di cauzioni! Ebbene, dorma sicuro, perocchè a lui sorride il corno dell’abbondanza datogli in dote da sua moglie, quantunque nulla ne vegga in onta della lanterna che porta per rischiararsi. Dov’è Bardolfo?

Pag. È andato a Smithfield a comperare un cavallo per Vostra Signoria.

Fal. L’ho comprato a San Paolo. Ed ei va a comprarne uno a Smithfield! Se potessi trovar soltanto una donna, ciò solo mi mancherebbe per esser fornito di tutto: avrei allora valletto, economa, e ronzino. (entra il lord capo della giustizia e uno del seguito)

Pag. Signore, s’avanza il lord che mandò il principe prigione per averlo battuto all’occasione di Bardolfo.

Fal. Non lasciarmi, non vuo’ vederlo.

Lord. Chi è quell’uomo?

Seg. È Falstaff, così piaccia a Vostra Signoria.

Lord. Come! Quello che ebbe parte nel furto?

Seg. Appunto, milord; ma da quel tempo ha molto ben servito a Shrewsbury, e a quanto ne so, partirà da Lancastro con ordini di Sua Altezza Reale.

Lord. Che! per York? Chiamatelo.

Seg. Sir Giovanni Falstaff!

Fal. Fanciullo, digli che son sordo.

Pag. Bisogna che parliate con voce più alta, il mio signore è sordo.

Lord. Son sicuro che lo è ad ogni buona cosa. Tiratelo pel gomito; bisogna che gli parli.

Seg. Sir Giovanni.....

Fal. Che! Così giovane mendicare! Non vi son guerre? Non vi sono impieghi? Il re non manca di sudditi? I ribelli di soldati? Sebbene non vi sia che un partito solo che si possa seguir con onore, è nondimeno di maggior vergogna il mendicare che il praticare il mestiere più cattivo, fosse ancora cento volte più odioso che il nome di ribellione non lo può rendere.

Seg. Voi errate sul mio conto, signore.

Fal. Perchè? Forse vi ho detto che siete un onest’uomo? Salvo rispetto che debbo alla qualità di cavaliere, e al mio stato militare, avrei mentito come un villano se lo avessi detto.

Seg. Ebbene, ve ne prego, mettete dunque la vostra qualità di cavaliere e il vostro stato militare da parte, e permettetemi [p. 228 modifica]di dirvi che avete mentito per la gola se intendeste affermare ch’io sia tutt’altro fuorchè un onest’uomo.

Fal. Ch’io ti lasci profferire simili improperii? Ch’io così obblii i titoli, che formano la mia esistenza? Vuo’ essere appeso dalle tue mani, se tu mai ottieni tal concessione da me: se tu osi prenderla di tuo senno, meglio sarebbe per te di esser tosto sparato. Via di qua, marrano sacrilego.

Seg. Signore, milord vorrebbe parlarvi.

Lord. Cavaliere Falstaff, dovrei dirvi una parola.

Fal. Mio buon lord! Dio accordi a Vostra Signoria il buon giorno: son lieto di veder Vossignoria per via: mi si era detta che Vossignoria era inferma. Certo che è per consiglio del medico che Vossignoria respira l’aria aperta. Quantunque Vossignoria non abbia ancora perduto la freschezza della gioventù, nondimeno ella è di una certa età, e comincia a sentire un poco gli assalti del tempo: permettete dunque che io supplichi vossignoria d’aver più cura della propria salute.

Lord. Sir Giovanni, vi avevo fatto pregare di venir da me, e qualche tempo, prima della vostra spedizione a Shrewsbury.

Fal. Con licenza di Vossignoria, si dice che Sua Maestà sia tornata malcontenta dal paese di Galles.

Lord. Non parlo di Sua Maestà. Voi non voleste venire, allorchè vi mandai a chiamare.

Fal. E si dice anche che Sua Maestà abbia avuto un nuovo attacco di quella dannata apoplessia.

Lord. Iddio abbia cura di lui! Udite quello che debbo dirvi.

Fal. L’apoplessia è, a quel che credo, una specie di letargia; non è così, milord? Sarebbe come un torpore del sangue. Ah! è una cosa trista e i dolori ne sono orribili!

Lord. Che cosa mi dite voi? Sia essa quello che vuole.

Fal. Per lo più è prodotta dai dispiaceri, dal soverchio studio, dalle perturbazioni dello spirito. Ne vidi le cagioni notate da Galeno; è una specie di sordità.

Lord. Io credo in fede che voi abbiate un poco di tale sordità, perocchè non intendete nulla di quello che voglio dirvi.

Fal. Molto bene, milord, molto bene: o piuttosto, con vostra licenza, è la malattia del non ascoltare, del non porgere attenzione, quella da cui sono investito.

Lord. Purgandovi per le calcagna, le vostre orecchie guarirebbero; e desidererei quasi di diventare vostro medico.

Fal. Son povero come giobbe, milord; ma non così paziente. Vostra Signoria può ministrarmi la pozione dell’imprigionamento [p. 229 modifica]per rispetto alla mia povertà; ma quanto potessi durare a seguire le vostre prescrizioni, è ciò che non è noto.

Lord. Vi mandai a prendere perchè v’erano contro di voi lagnanze così gravi, che non si trattava di meno che della vostra vita.

Fal. Ma essendomi io consigliato col mio avvocato, versatissimo nelle leggi di questo paese, non venni.

Lord. Bene: il fatto è, sir Giovanni, che voi vivete con grande infamia.

Fal. Chiunque si cinge il mio budriere non potrà farne a meno.

Lord. I vostri mezzi sono scarsi, e il vostro consumo immenso.

Fal. Vorrei fosse altrimenti; onde i miei mezzi fossero molto grandi, e il mio consumo scarso.

Lord. Voi avete corrotto il giovine principe.

Fal. È il giovine principe che ha corrotto me: io sono l’uomo dal ventre grosso, ed egli il mio cane.

Lord. Sono avverso a riaprire una piaga che si è rammarginata da poco. E vostro servizio a Shrewsbury ha velate alcun poco le vostre geste notturne di Gadshill. Dovete ringraziare i torbidi dei nostri tempi, perocchè senza di essi non sareste di così buon umore.

Fal. Milord?

Lord. Ma poichè tutto è in pace, restate in essa voi pure e non svegliate il lupo che dorme.

Fal. Svegliar un lupo è pericoloso, come il fiutare una volpe.

Lord. Pensate che siete come una candela per tre quarti consunta.

Fal. Una candela festiva, milord, tutta di sego, e se avessi anche detto di cera2, la mia enorme vegetazione appoggerebbe la giustezza della parola.

Lord. Non v’è un pelo bianco in tutto il vostro volto, che non dovesse produr il suo effetto di saviezza; voi seguite il giovine principe per tutto, come il suo cattivo angelo.

Fal. V’ingannate, milord: il vostro cattivo angelo3 è leggero; ed io spero che chiunque considererà bene la mia persona, mi prenderà senza pesarmi: quantunque io pure, forse, fossi fuori di corso. — La virtù ha così poco prezzo in questo vil [p. 230 modifica]secolo di traffichi, che il vero coraggioso altro non è che un codardo. Allo spirito più fecondo, altro merito non resta che quella di valletto d’osteria, tutta la di cui scienza si mostra nella esposizione della lista del pranzo; e gli altri doni che appartengono all’uomo, al modo con cui la malvagità del secolo li volge in riso, non valgono più un bicchier di birra. Voi che siete vecchio, non tenete conto delle nostre facoltà giovanili: voi giudicate del calore del nostro fegato, dall’amarezza della nostra bile: ma noi che siamo nel bollore dell’età, pecchiamo talvolta, lo confesso per intemperanza.

Lord. Forse voi oserete porvi nel novero dei giovani, voi, su di cui la mano del tempo ha scritto in mille guise la decrepitezza? Il vostro occhio non è forse cisposo? Non è raggrinzita e scarna la vostra mano? Il vostro viso non è giallo? Non bianca la barba? Non incerta la gamba? Non grosso il ventre? Non rauca la voce? Non faticoso l’alito? Non doppio il mento? Non alienato lo spirito? Tutto infine non è in voi logoro dalla vecchiaia? E ardite farla da giovine; Vergogna, vergogna, sir Giovanni.

Fal. Milord, io nacqui tre ore dopo il pranzo colla testa bianca e il ventre già rotondo: la voce l’ho perduta per troppo cantar salmi. Io non vi darò altre prove di mia giovinezza: ma per verità, non son vecchio che di spirito, e chiunque vorrà scommettere mille ghinee con me a chi meglio corre, me le anticipi e gliene farò vedere. Intorno allo schiaffo che vi ha dato il principe, ve l’ha dato da uomo brutale, e voi l’avete ricevuto da gentiluomo. Io l’ho garrito allora perciò; e il giovine lione ne fa oggi penitenza, non colla cenere e il cilicio, ma coll’allegria e il vecchio vino di Spagna.

Lord. Il Cielo accordi al principe miglior compagno.

Fal. Il Cielo accordi al compagno un miglior principe. Non posso disfarmi di lui. Lord, Ebbene, il re vi ha divisi: so che voi andrete con Lancastro contro l’arcivescovo e il conte di Northumberland.

Fal. Sì, e ne son lieto; ma pensate almeno a pregare, voi che restate fra le braccia della pace, onde i nostri due eserciti non s’incontrino in un giorno caldo: perocchè, in fede mia, io non porto meco che due camicie, e non intendo di sudare stemperatamente. Se la giornata è calda, vuo’ non più sputar bianco in vita, se io brandisco altro fuorchè la bottiglia. San Giorgio! Non v’è opera pericolosa in cui io non sia posto. Ma alla fine non potrò durar eternamente. La pecca di noi inglesi fu sempre di [p. 231 modifica]avventurare ad ogn’incontro quel po’ di bene che abbiamo. Pel Cielo! Se io risulto così vecchio dal vostro computamento, dovreste accordarmi dunque un po’ di riposo. Vorrei bene; e Dio m’ascolti! che il mio nome non fosse tanto terribile al nemico come è. Preferirei mille volte piuttosto esser corroso dalla ruggine fino al midollo, che vedermi così logorare e venire al nulla per un’operosità perpetua.

Lord. Su, via, siate onest’uomo, siate onest’uomo: e Iddio benedica la vostra spedizione.

Fal. Vuole Vossignoria prestarmi mille lire per provvedere ai miei bisogni?

Lord. Neppure uno scellino, neppure uno scellino; voi siete troppo impaziente di portar le croci4. Addio: raccomandatemi al mio cugino di Westmoreland.     (esce col seg.)

Fal. Se lo fo, vuo’ essere trattato a colpi di spranga. L’uomo non può separare la vecchiezza dall’avarizia, come dividersi non può dall’amore, allorchè è giovine e vigoroso: ma la gotta s’impossessa dell’uno, e la sifilide dell’altro; è ciò che mi dispensa dal maledirli tutti e due. — Fanciullo!....

Pag. Signore?

Fal. Quanto denaro è nella mia borsa?

Pag. Sette croci e due scellini.

Fal. Non so trovar riparo a questa asfissia della borsa: pigliar a prestito differisce soltanto quel male che per se stesso è incurabile. Va, reca questa lettera a milord di Lancastro; questa al principe; questa al conte di Westmoreland, e questa alla mia antica amante Orsola, cui giurai di sposare, allorchè m’avvidi del primo pelo bianco che spuntava sulle mie gote. Va; già sai dove trovarmi. (il paggio esce) Peste alla gotta! oppure gotta alla peste! perocchè l’una o l’altra la fa da ribalda col pollice del mio piede. Non vale se zoppico; le guerre scuseranno il mio cattivo colore, e la mia pensione non sembrerà che più ragionevole. Un buono spirito trae partito da tutto; io saprò rendere lucrose anche le infermità.      (esce) [p. 232 modifica]

SCENA III.

Una stanza nel palazzo dell’Arcivescovo.

Entrano l’arcivescovo di York, i lordi Hastings, Mowbray e Bardolfo.

Arc. Avete uditi i nostri motivi e conoscete i nostri mezzi: ora, miei nobili e degni amici, ve ne scongiuro, dichiarate liberamente quel che pensate delle nostre condizioni; e anzi tutto, lord maresciallo che ci rispondete voi?

Mow. Approvo il motivo che vi fe’ prender le armi; ma bramerei esser meglio istrutto sull’estensione delle nostre ricchezze e delle nostre forze, onde vedere se siamo in istato d’opporre esercito adeguato a quello del re.

Hast. Il numero dei nostri uomini ascende a venticinquemila; e fondiamo speranze di rinforzi potenti sopra l’illustre Northumberland, il di cui seno arde di vendetta.

Bard. Perciò, lord Hastings, la cosa è ridotta oggi a sapere se i venticinquemila uomini, de’ quali adesso possiamo disporre, ne bastino senza Northumberland.

Hast. Insieme con lui possono bastare.

Bard. Sì, senza dubbio con lui, ma senza di esso ci crediamo troppo deboli, onde consiglierei che non inoltrassimo prima d’aver ricevuto il suo soccorso. In una contesa sanguinosa quanto lo è questa, le congetture, le vane aspettazioni e la prospettiva di aiuti incerti, non debbono essere computati.

Arc. Avete ragione, lord Bardolfo; che tale fu appunto l’avventura che ebbe il giovine Hotspur a Shrewsbury.

Bard. Tale, milord. Ei s’enfiò di speranze sulla promessa d’un rinforzo: s’empiè di vento nell’aspettativa d’un soccorso che molto al disotto fu d’ogni sua idea; e deluso dalla sua immaginativa, male d’ogni folle giovane, condusse le sue schiere a morte, e s’avventò ad occhi chiusi in un abisso di distruzione.

Hast. Ma, sia con vostra licenza, non mai accadde danno ad alcuno per aver posto in bilancia le varie probabilità.

Bard. Sempre anzi io dico in una guerra quale è la nostra. Una impresa troppo affrettata si nutre ognora di speranze fiorite, simili ai bottoni che germogliano in primavera: ma che tali bottoni divengano fiori, è cosa assai meno sicura che non lo è il timore che il gelo li distrugga. Allorchè noi intendiamo di fabbricare, cominciamo dall’esaminare il luogo, poi dal formare il disegno, [p. 233 modifica]e fatto ciò, pensiamo alle spese della costruzione. Se queste eccedono i nostri mezzi, ci limitiamo ad opera meno splendida, o rinunciamo ad erigere. Con più forte ragione in questa impresa, in cui si vuole rovesciare un regno e innalzarne un altro, dobbiam considerare prima lo stato nostro, poscia porre solide fondamenta, interrogare i capi che presiedono all’opera, ventilare i mezzi che abbiamo, tener sott’occhio le nostre forze e paragonarle a quelle del nostro nemico. Diversamente operando, avremo eserciti in carta e in disegno, noteremo nomi d’uomini in conto d’uomini, e appariremo simile a colui che imprende un edifizio superiore a’ suoi mezzi, poi lo abbandona incompiuto alle ingiurie dell’aere e agli assalti tirannici del crudele inverno.

Hast. Imaginate che le nostre speranze, malgrado la loro florida apparenza, muoiano nascendo, e che noi possediamo ora quante ci era dato di possedere. Credo che anche in tal caso abbiamo un esercito abbastanza forte per far fronte al re.

Bard. Che! forse che il re ha soltanto venticinquemila uomini?

Hast. Contro di noi non ne ha di più; non tanti pure, lord Bardolfo: perocchè il suo esercito, in questi tempi torbidi, è diviso in tre parti. L’una marcia contro i Francesi: l’altra contro Glendower: la terza contro di noi. Così il debole re è costretto a dividersi in tre luoghi, e i suoi scrigni impoveriti non danno più altro suono che quello di un astuccio vuoto.

Arc. Ch’ei raduni le sue schiere divise, e ne venga sopra e su tutto il peso della sua potenza, è ciò che non vuol temersi.

Hast. Se commettesse tale imprudenza, lascierebbe i suoi fianchi senza difesa, in balìa de’ Francesi e degli abitanti di Galles che lo vanno ormando. Non tremiate mai ch’ei ciò faccia.

Bard. Chi credete voi che debba comandar l’esercito che verrà contro di noi?

Hast. Il duca di Lancastro e Westmoreland. Contro i Gallesi va il re stesso con Enrico; quale poi sia il duce opposto all’esercito venuto di Francia, è ciò che non saprei dire.

Arc. Andiamo innanzi e pubblichiamo i motivi che ne fecero prendere le armi. Il popolo è già satollo della sua scelta. Il suo amore è cessato; e ben fragile è la casa di colui che la fonda sulle affezioni del vulgo! Oh! pazza moltitudine, con quali acclamazioni non intronasti tu i cieli, proferendo il nome di Bolingbroke e i voti che per lui facevi, prima ch’ei fosse ciò che desideravi! E oggi che i tuoi voti son paghi, tu, avido mostro, tanto hai assaggiato di lui che lo vorresti recere. Fu così, sì, così, bestia piaggiatrice e feroce, che il tuo cuore, fastidito del buon Riccardo, si disfece di lui; [p. 234 modifica]e ora ameresti frugare nelle sue ceneri e riprendere ciò che rigettasti; ora invochi l’ombra sua, e con grida ossesse lo ridimandi! Quali speranze si ponno fondare sull’instabilità di questi tempi? Coloro, che quando Riccardo viveva, lo desideravano morto, sono ora ebri d’amore per la sua tomba! E tu, miserabile, che gettavi la polvere sulla sua sacra testa, quando per le vie della superba Londra incedeva sospirante e doloroso sulle orme ammirate di Bolingbroke, tu ora gridi: oh terra, rendici di nuovo quel re, e prenditi questo. Pensieri degli uomini pieni di incostanza e di perversità! Il passato e l’avvenire si mostrano tempre belli, e il presente par sempre il peggiore.

Mow. Andiam noi a ragunare il nostro esercito per campeggiare senz’altro?

Hast. Siam sudditi del tempo, e il tempo ne comanda di partire.     (escono)







Note

  1. Allusione al nome di Hotspur, caldo sperone.
  2. Equivoco sulla parola Wax che significa cera e crescere.
  3. Equivoco sull’antica moneta di questo nome.
  4. Equivoco sopra altra moneta di questo nome.