Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/126

116 ATTO PRIMO

Isacco. Il cavaliere Ernold1.

Pamela. Quegli appunto, che più d’ogni altro mi annoia. Ditegli che perdoni, che ho qualche cosa che mi occupa, che per oggi non lo posso ricevere2.

Isacco. Sì, signora, (va per partire, e s’incontra col Cavaliere, da cui riceve un urto violente, e parte.)

SCENA III.

Il Cavaliere Ernold e detti.

Ernold. Miledi, io sono impazientissimo di potervi dare il buon giorno. Dubito che lo stordito del camieriere si sia scordato di dirvi essere un quarto d’ora ch’io passeggio nell’anticamera.

Pamela. Se aveste avuto la bontà di soffrire anche un poco, avreste inteso dal cameriere medesimo, che per questa mattina vi supplicavo dispensarmi dal ricevere le vostre grazie.

Ernold. Ho fatto bene dunque a prevenir la risposta; se l’aspettavo, ero privato del piacere di riverirvi. Io che ho viaggiato, so che le signore donne sono avare un po’ troppo delle loro grazie, e chi vuole una finezza, conviene qualche volta rubarla.

Pamela. Io non so accordare finezze, nè per abito, nè per sorpresa. Un cavalier che mi visita, favorisce me coll’incomodarsi; ma il volere per forza ch’io lo riceva, converte il favore in dispetto. Non so in qual senso abbia ad interpretare la vostra insistenza. So bene che è un poco troppo avanzata; e con quella stessa franchezza, con cui veniste senza l’assenso mio, posso anch’io coll’esempio vostro prendermi la libertà di partire. (parte)

  1. Ed. cit.: È il cavaliere Ernold.
  2. Segue nella cit. ed.: «Falloppa. Quella faccia tosta non se ne va nemmeno colle sassate. Pamela. Quante volte ve l’ho da dire? Ditegli che non lo posso ricevere. F. Sì signora, parte.»