Orlando innamorato/Libro terzo/Canto primo
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CANTO PRIMO
Come più dolce a’ naviganti pare,
Poi che fortuna li ha battuti intorno,
Veder l’onda tranquilla e queto il mare,
L’aria serena e il cel di stelle adorno;
E come il peregrin nel caminare
Se allegra al vago piano al novo giorno,
Essendo fuori uscito alla sicura
De l’aspro monte per la notte oscura;
Così, dapoi che la infernal tempesta
De la guerra spietata è dipartita,
Poi che tornato è il mondo in zoia e in festa,1
E questa corte più che mai fiorita,
Farò con più diletto manifesta
La bella istoria che ho gran tempo ordita:
Venite ad ascoltare in cortesia,
Segnori e dame e bella baronia.
Le gran battaglie e il triomfale onore
Vi contarò di Carlo, re di Franza,
E le prodezze fatte per amore
Dal conte Orlando, e sua strema possanza;2
Come Rugier, che fu nel mondo un fiore,
Fosse tradito; e Gano di Maganza,3
Pien de ogni fellonia, pien de ogni fele,
Lo uccise a torto, il perfido crudele.
E seguirovi, sì come io suoliva,
Strane aventure e battaglie amorose,
Quando virtute al bon tempo fioriva
Tra cavallieri e dame grazïose,
Facendo prove in boschi ed ogni riva,
Come Turpino al suo libro ce expose.4
Ciò vo’ seguire, e sol chiedo di graccia
Che con diletto lo ascoltar vi piaccia.
Nel tempo che il re Carlo de Pipino
Mantenne in Franza stato alto e giocondo,
Uscì di Tramontana un Saracino,
Che pose quasi lo universo al fondo;
Nè dove il sol se leva a matutino,
Nè dove calla, nè per tutto il mondo,
Fo mai trovato in terra un cavalliero
Di lui più franco e più gagliardo e fiero.
Mandricardo appellato era il Pagano,
Qual tanta forza e tale ardire avia,
Che mai non vestì l’arme il più soprano,
Ed era imperator di Tartaria;
Ma fo tanto superbo ed inumano
Che sopra alcun non volse segnoria,
Che non fosse in battaglia esperto e forte:5
A tutti gli altri facea dar la morte.
Onde fo il regno tutto disertato,
Abandonò ciascuno il suo paese.
Ora trovosse un vecchio disperato,
Qual, non sapendo fare altre diffese,
Passando avanti al re preso e legato
Con alti cridi a terra se distese,
Facendo sì diverso lamentare
Che ogni om trasse intorno ad ascoltare.
— Mentre ch’io parlo, disse il vecchio, aspetta,
E poi farai di me quel che ti pare.
L’anima del tuo patre maledetta
Non può il mal fiume allo inferno passare,
Perchè scordata se è la sua vendetta.
Sopra alla ripa stassi a lamentare:
Stassi piangendo e tien la testa bassa,
Chè ogni altro morto sopra li trapassa.
Il tuo patre Agrican, non scio se ’l sai,
O nol saper te infingi per paura,
Dal conte Orlando occiso fo con guai:
A te del vendicar tocca la cura.
Tu fai morir chi non te offese mai,
E meni per orgoglio tanta altura;
Non è stimato, datelo ad intendere,6
Chi offende quel che non si può deffendere.
Va, trova lui, che ti potrà respondere,
E mostra contra a Orlando il tuo furore.
La tua vergogna non si può nascondere:
Troppo è palese ogni atto de segnore.
Codardo e vile, or non ti dèi confondere
Pensando alla onta grande e il disonore7
Qual ti fu fatto? E sei tanto da poco
Che hai faccia de apparire in alcun loco?
Così cridava il vecchio ad alta voce,
Come io vi conto, e più volea seguire;
Se non che Mandricardo, il re feroce,
A lo ascoltar non puote sofferire.
Una ira sì rovente il cor li coce,
Che se convenne subito partire,
E ne la zambra se serrò soletto,
Di sdegno ardendo tutto e de dispetto.
Dopo molto pensar prese partito
Suo stato e tutto il regno abandonare.
Per non esser da altrui mostrato a dito,
Giurò nella sua corte mai tornare,
Ma reputar se stesso per bandito
Sin che il suo patre possa vendicare;
Nè a sè ritenne tal pensiero in petto,
Ma palesollo e poselo ad effetto.
Avendo a tutto il regno proveduto
Di bon governo de ottima persona,
Nel tempio de’ suoi Dei ne fo venuto,
E sopra al foco offerse la corona;
Poi se partì la notte scognosciuto,
Ed a fortuna tutto se abandona:
Senza arme, a piede e come peregrino
Verso ponente prese il suo camino.
Arme non tolse e non mena destriero,
Per non voler che al mondo fosse detto
Che alcuno aiuto a lui facea mestiero
Per vendicar sua onta e suo dispetto.
E lui prosume molto de legiero
De acquistarse arme e un bon destrier eletto,8
Sì che ponga ad effetto el suo disegno
Sol sua prodezza, e non forza di regno.
Così, soletto sempre caminando,
Passò gli Armeni ed altra regïone,
E, da un colletto un giorno remirando,9
Presso a una fonte vidde un paviglione.
Là giù se calla, nel suo cor pensando,
Se vi trova arme dentro, nè ronzone,
Per forza, o bona voglia a ogni partito
Non se levar de là, se non fornito.
Poichè fu gionto in su la terra piana,
Ne la cortina entrò senza paura.
Non vi è persona proxima, o lontana,
Che abbia del pavaglion guarda nè cura;
Solo una voce uscì de la fontana,
Qual gorgogliava per quella acqua pura,
Dicendo: Cavallier, per troppo ardire
Fatto èi pregione, e non potrai partire.
O che lui non odette, o non intese,
Alle parole non pose pensiero,
Ma per il pavaglione a cercar prese,
Se ivi trovasse nè arme, nè destriero.
L’arme a un tapete tutte eran distese,
Ciò che bisogna aponto a un cavalliero;
E lì fuori ad un pino in su quel sito
Legato era un ronzon tutto guarnito.
Quello ardito baron senza pensare
L’arme se pose adosso tutte quante.
Preso è il destriero e, via volendo andare,10
Subito un foco a lui fèsse davante.11
Nel pino prima si ebbe a divampare,
E, quello acceso sin sotto le piante,
Per ogni lato il foco se trabocca,
Ma sol la fonte e il pavaglion non tocca.
Gli arbori e l’erbe e pietre di quel loco
Tutte avamparno a gran confusïone;
La fiamma cresce intorno a poco a poco,
Tanto che dentro chiuse quel barone.
A lui se aventa lo incantato foco
Ne l’elmo, el scudo, ed ogni guarnisone,
E lo usbergo de acciaro e piastre e maglia12
Gli ardeano a cerco, come arida paglia.
El cavallier per cosa tanto istrana
Lo usato orgoglio ponto non abassa;
Smonta de arcion quella anima soprana,
Per mezo il foco via correndo passa.
Come fu gionto sopra alla fontana,
Dentro vi salta e al fondo andar si lassa;
Nè più potea campare ad altra guisa:
Arso era tutto insino alla camisa.
Chè, come io dissi, e piastre e maglia e scudo13
Gli ardeano atorno, come foco di esca;
Arse la giuppa, e lui rimase ignudo
Sì come nacque, in mezo a l’onda fresca;
E, mentre che a diletto il baron drudo
Per la bella acqua se solaccia e pesca,
Parendo ad esso uscito esser de impaccio,
Ad una dama se ritrova in braccio.14
Era la fonte tutta lavorata
Di marmo verde, rosso, azurro e giallo,
E l’acqua tanto chiara e riposata,
Che traspareva a guisa de cristallo;
Onde la dama che entro era spogliata,
Così mostrava aperto senza fallo
Le poppe e il petto e ogni minimo pelo,
Come de intorno avesse un sotil velo.
Questa ricolse in braccio quel barone,
Basandoli la bocca alcuna fiata,
E disse ad esso: Voi seti pregione,15
Come molti altri, al Fonte de la Fata;
Ma, se sereti prodo campïone,
Cotanta gente fia per voi campata,16
Tanti altri cavallieri e damigelle,
Che vostra fama passarà le stelle.
Perchè intendiati il fatto a passo a passo,
Fece una fata ad arte la fontana,
Che tanti cavallieri ha posti al basso,
Che nol potria contar la gente umana.
Quivi pregione è il forte re Gradasso,
Quale è segnor di tutta Sericana;
Di là da la India grande è il suo paese:
Tanto è potente, e pur non se diffese!
Seco pregione è il nobile Aquilante
E lo ardito Grifon, che è suo germano,
Ed altri cavallieri e dame tante,
Che a numerarli me affatico invano.
Oltre a quel poggio che vedeti avante,
Edificato è un bel castello al piano,17
Ove rinchiuse dentro ha quella fata
L’arme di Ettorre, e mancavi la spata.
Ettor di Troia, il tanto nominato,
Fu la excellenzia di cavalleria,
Nè mai si trovarà, nè fu trovato
Chi il pareggiasse in arme o in cortesia.
Ne la sua terra essendo assedïato
Da re settanta ed altra baronia,
Dece anni a gran battaglie, e più, contese:
Per sua prodezza sol sè la difese.
Mentre ch’egli ebbe il grande assedio intorno,18
Se può donar tra gli altri unico vanto
Che trenta ne sconfisse in un sol giorno,
Che de battaglia avea mandato il guanto;19
Poi d’ogni altra virtù fu tanto adorno,
Che il par non ebbe il mondo tutto quanto,
Nè il più bel cavallier, nè il più gentile;
A tradimento poi lo occise Achile.
Come fu morto, andò tutta a roina
Troia la grande e consumosse in foco.
Or dir vi vo’ di sua armatura fina
Come se trovi adesso in questo loco.20
Prima la spata prese una regina
Pantasilea nomata; e in tempo poco,
Essendo occisa in guerra, perse il brando;
Poi l’ebbe Almonte; adesso il tiene Orlando.
Tal spata Durindana è nominata
(Non scio se mai la odesti racordare),
Che sopra a tutti e’ brandi vien lodata.
Or de l’altre arme vi voglio contare:
Poi che fu Troia tutta dissipata,
Gente da quella se partì per mare
Sotto un lor duca nominato Enea;
Lui tutte l’arme excetto il brando, avea.
De Ettorre era parente proximano
El duca Enea, che avea quella armatura,
E questa fata, per un caso istrano,
Trasse tal duca de disaventura,21
Che era condotto a un re malvaggio in mano,
Che ’l tenea chiuso in una sepoltura:
Stimando trar da lui tesoro assai,
Lo tenea chiuso e preso in tanti guai.
La Fata con incanto lo disciolse,
Per arte il trasse fuor de il monumento,22
E per suo premio le belle arme volse,
E il duca de donarle fu contento.
Lei poscia a questo loco se racolse
E fece l’opra de lo incantamento
Onde io vi menarò, quando vi piaccia,
E provarò se in core aveti audaccia.
Ma quando non ve piaccia de venire,
E vinto vi trovati da viltate,
Contro a mia voglia me vi convien dire
Quel che serà di voi la veritate:
In questa fonte vi convien perire,
Come perita vi è gran quantitate,
De quai memoria non serà in eterno,23
Chè il corpo è al fondo e l’anima a lo inferno.
A Mandricardo tal ventura pare
Vera e non vera, sì come si sogna;
Pur rispose alla dama: Io voglio andare
Ove ti piace e dove mi bisogna;
Ma così ignudo non scio che mi fare,
Chè me ritiene alquanto la vergogna.
Disse la dama: Non aver pavento,
Chè a questo è fatto bon provedimento.
E soi capegli a sè sciolse di testa,
Chè ne avea molti la dama ioconda,
Ed abracciato il cavallier con festa
Tutto il coperse de la treccia bionda;
Così, nascosi entrambi di tal vesta,
Uscîr di quella fonte la bella onda,
Nè ferno al dipartir lunga tenzone,
Ma insieme a braccio entrarno al pavaglione.
Non lo avea tocco, come io disse, il foco,
Pieno è di fiori e rose damaschine.
Loro a diletto se posarno un poco
Entro un bel letto adorno de cortine.
Già non scio dir se fecero altro gioco,
Chè testimonio non ne vide el fine;
Ma pur scrive Turpin verace e giusto
Che il pavaglion crollava intorno al fusto.
Poi che fôr stati un pezo a cotal guisa
Tra fresche rose e’ fior che mena aprile,
La damigella prese una camisa
Ben perfumata, candida e sotile;24
Poi de una giuppa a più color divisa
Di sua man vestì il cavallier gentile;25
Calcie gli diè vermiglie e speron d’oro,
Poi lo armò a maglia de sotil lavoro.
Dopo lo arnese lo usbergo brunito26
Gli pose in dosso, e cinse il brando al fianco,
E uno elmo a ricche zoie ben guarnito
Li porse e cotta d’arme e scudo bianco;
Indi condusse un gran destriero ardito,
E Mandricardo non parve già stanco,
Nè che lo impacci l’arme, o guarnisone:
D’un salto armato entrò sopra allo arcione.27
La damigella prese un palafreno
Che ad un verde genevre era legato,
E, caminando un miglio o poco meno,
Passarno il colle e gionsero al bel prato,
Dicendo a lui la dama: Intendi appieno,
Chè tutto il fatto ancor non te ho contato:
Acciò che intenda ben quel che hai a fare,
Col re Gradasso converrai giostrare.
Adesso del castello è campïone
E diffensore il re tanto membruto;
Cotale impresa prima ebbe Grifone,
Qual da lui poco avanti fu abattuto.
Se quel te vince, restarai pregione
Sin che altro cavallier ti doni aiuto;
Ma se lui getti sopra alla pianura,
Te provarai a l’ultima ventura.28
Provar convienti al glorïoso acquisto
Di prender l’arme che fôrno di Ettòre;
Più forte incanto il mondo non ha visto,
E sino a qui ciascun combattitore
Ce è reuscito a tale impresa tristo,
Nè par che gionga alcuno a tanto onore;
E tu la proverai, poichè èi venuto:
Fortuna o tua virtù ti darà aiuto.
Così parlando gionsero al castello.
Mai non se vidde il più ricco lavoro:
Le mura ha de alabastro, e il capitello
De ogni torre è coperto a piastre d’oro.
Verdeggiava davanti un praticello
Chiuso de mirto e de rami de aloro29
Piegati insieme a guisa di steccato,
E stavi dentro un cavalliero armato.
— El re Gradasso è quel che avanti appare,
Disse la dama, dentro a quel ridotto.
Ora con me non averai a fare,
Chè sempre teco mi trovai di sotto.
E Mandricardo, odendo tal parlare,
La vista a l’elmo se chiuse di botto;
Spronando a tutta briglia e gran tempesta,
A mezo il corso l’asta pose a resta.
Da l’altra parte il forte re Gradasso
Contra di lui se mosse con gran fretta.
Alcun de’ duo corsier non mostra lasso,
Anci sembravan folgore e saetta,30
E se incontrarno insieme a tal fraccasso,
Che par che nello inferno il cel si metta,
E la terra profondi e la marina:
Odita non fu mai tanta ruina.
Ni quel, ni questo se mosse de arcione,
E sì fiaccarno l’una e l’altra lanza,
Che sino a l’aria andava ogni troncone:
Un palmo integro d’esse non avanza.
Or veder se conviene il parangone
De’ cavallieri e l’ultima possanza,
Perchè, voltati con le spade in mano,
Se razuffarno insieme in su quel piano.
Cominciâr la battaglia orrenda e scura:
Già non mostrava un scherzo il crudo gioco,
Chè pure a riguardarlo era paura,
Perchè a ogni colpo se avampava un foco.
A pezzi sì ne andava ogni armatura,31
Già ne era pieno il prato in ogni loco;
E lor pur drieto, e non guardano a quella:
Ciascuno a più furor tocca e martella.
Duo guerrier son costor di bona raccia,
E ben lo dimostravan ne lo aspetto:32
Cinque ore e più durò tra lor la traccia,33
Pervennero alla fine in questo effetto:
Che Mandricardo il re Gradasso abraccia
Per trarlo de lo arcione al suo dispetto,
E il re Gradasso a lui se era afferrato,
Sì che ne andarno insieme in su quel prato.
Non so se fu fortuna o fusse caso,
Quando caderno entrambi de lo arcione,
Di sopra Mandricardo era rimaso,
E convenne a Gradasso esser pregione.
Già se ne andava il sol verso l’occaso
Allor che se finì la questïone,
E la donzella di cui vi ho parlato,
Con piacevol sembiante entrò nel prato;
Ed a Gradasso disse: O cavalliero,
Vetar non pôsse quel che vol fortuna:34
Lasciar questa battaglia è di mestiero,
Perchè la notte vene e il cel se imbruna;
Ma a te che hai vinto, tocca altro pensiero;
E dir ti scio che mai sotto la luna
Fo sì strana ventura in terra, o in mare,
Come al presente converrai provare.
Come di novo il giorno sia apparito,
Vedrai l’arme di Ettorre e chi le guarda;
Ora che il sole all’occidente è gito,
Entrar non pôi, chè l’ora è troppo tarda.
In questo tempo pigliaren partito
Che tua persona nobile e gagliarda
Qua sopra a l’erba prenda alcun riposo,
Sin che il sol se alci al giorno luminoso.
Dentro alla rocca non potresti entrare
(Di notte mai non se apre quella porta);
Tra fiori e rose qua pôi riposare,
Ed io vegliando a te farò la scorta.
Ben, se ti piace, te posso menare
Ove una dama grazïosa e accorta
Onora ciascaduno a un suo palagio,
Ma temo che ivi avresti onta e dannagio.
Perchè un ladron, che Dio lo maledica!
Quale è gigante e nome ha Malapresa,35
Alla donzella, come sua nemica,
Fa gran danno ed oltraggio ed ogni offesa;
Onde non pigliarai questa fatica,
Chè converresti sieco aver contesa,
Nè a te bisogna più briga cercare,
Perchè domane avrai troppo che fare.
Rispose Mandricardo: In fede mia,
Tutto è perduto il tempo che ne avanza,
Se in amor non si spende, o in cortesia,
O nel mostrare in arme sua possanza;
Onde io ti prego per cavalleria
Che me conduci dentro a quella stanza
Qual m’hai contata; e farem male, o bene,
Se Malapresa ad oltraggiar ce viene.
Per compiacere adunque al cavalliero,
La damigella se pose a camino.
Lei era a palafreno, esso a destriero,
Sì che in poca ora gionsero al giardino
Ove è posto il palagio del verziero,
Qual lustreggiava tutto quel confino;
Cotanti lumi accesi avea de intorno,
Che si cerniva come fusse il giorno.
Sopra alla porta del palagio altano
Era un verone adorno a meraviglia,
Ove si stava giorno e notte un nano,
Che di far guarda molto se assotiglia.
Come suonato ha il corno, a mano a mano
Corre de intorno tutta la famiglia,
E, se egli è Malapresa, il rio ladrone,
Saette e sassi tran da ogni balcone.
Se egli è barone, o cavalliero errante,
Dece donzelle, ad onorare avezze,
Apron la porta e con lieto sembiante
Al cavallier fan festa e gran carezze;
E notte e giorno il servon tutte quante,
Con sì bon viso e tal piacevolezze
E con tanto piacere e tanta zoglia,
Che indi a partirse mai non li vien voglia.36
Dunque a tal modo tra le dame accolto
Fu Mandricardo con faccia serena.
La dama del verzier con lieto volto
A braccio sieco festeggiando il mena;
Nè passeggiarno per la loggia molto,
Che con diletto se assettarno a cena,
Serviti alla real di banda in banda
De ogni maniera de optima vivanda.
A lor davanti cantava una dama,
E con la lira a sè facea tenore,
Narrando e’ gesti antichi e di gran fama,
Strane aventure e bei motti d’amore;37
E mentre che de odire avean più brama,
Odirno per la corte un gran romore.
Ahimè! ahimè! dicean; che cosa è questa,
Che ’l nano suona il corno a tal tempesta?
Così dicean le dame tutte quante,
E ciascuna nel viso parea morta.
Già Mandricardo non mutò sembiante,
Chè era venuto a posta per tal scorta.
Perchè intendiati il tutto, quel gigante
De cui vi dissi, avea rotta la porta,
E del romore e gran confusïone
Che ora vi conto, lui ne era cagione.
Entrò cridando quel dismisurato:
Parean tremar le mura alla sua voce;38
De una spoglia di serpe ha il busto armato,
Che spata o lancia ponto non vi noce.
Portava in mano un gran baston ferrato
Con la catena il malandrin feroce;
In capo avea di ferro un bacinetto,
Nera la barba e grande a mezo il petto.
Quando egli entrava ne la loggia aponto,
Tratto avea Mandricardo il brando apena;
Nè stette a calcular la posta, o il conto,
Ma nel primo arivare assalta e mena,
Ed ebbe nella cima il baston gionto,
E via tagliò di netto la catena.
Ricopra il colpo e tira un manroverso,
E tagliò tutto il scudo per traverso.
Per questo colpo il gigante adirato
Menò del suo baston, che a due man prese;
E il cavallier de un salto andò da lato,39
E ben de gioco a quella posta rese;
A ponto gionse dove avea segnato,
Sotto al ginocchio, al fondo de lo arnese,
E spezzò quello e le calcie di maglia,
Sì che le gambe ad un colpo gli taglia.
Quel cade a terra. A voi lascio pensare
Se le donzelle ne menavon festa.40
Più Mandricardo nol volse toccare,
Onde un sergente li partì la testa.
Fuor del palagio il fecer trasinare,41
E longi il sepellirno alla foresta;
Le gambe gettâr sieco in quella fossa:
Di lui più mai non si parlò da possa.
Come se stato mai non fosse al mondo,
Di lui più non si fa ragionamento.
Le dame cominciarno un ballo in tondo,
Suonando a fiato, a corde ogni instromento,42
Con voci vive e canto sì iocondo,
Che ciascun qual ne avesse intendimento,
Essendo poco a quel giardin diviso,
Giurato avria là dentro il paradiso.
Così durando il festeggiar tra loro,
Bona parte di notte era passata,
E stando incerco come a consistoro,
Venne di dame una nova brigata:
Chi ha frutti, chi confetti e coppe d’oro,43
E ciascuna fu presto ingenocchiata,
E la dama cortese e il cavalliero
Se renfrescarno senza altro pensiero.
De bianche torze vi è molto splendore,
E girno a riposar senza sospetti.
Parate eran le zambre a grande onore
De fina seta e bianchissimi letti;
Rame de aranci intorno e molto odore,44
E per quei rami stavano occelletti,
Che a’ lumi accesi se levarno a volo.
Ma qua non stette il cavallier lui solo,
Perchè una dama il rimase a servire
De ciò che chieder seppe, più ni meno.
La notte ivi ebbe assai che fare e dire,45
Ma più ne avrà nel bel giorno sereno,
Come tornando potereti odire
Lo orrendo canto e di spavento pieno,
Che il maggior fatto mai non fo sentito.
Addio, segnori: il canto è qui finito.
- ↑ P ch'è tornato.
- ↑ Mr. De el.
- ↑ P. tradito da Gano
- ↑ P. Turpin nel s. l. le.
- ↑ Mr. Qual.
- ↑ T. e Mr. datelo.
- ↑ P. e al.
- ↑ Per acquistarse; P. Acquistarsi.
- ↑ Mr. e P. rimirando.
- ↑ Mr. e P. omm. è.
- ↑ Mr. fose; T. forse.
- ↑ T. acciarro — Mr. e P. piastra.
- ↑ Mr. Come io disse: P. am’io vi.
- ↑ Mr. e P. ritrovò.
- ↑ Mr. seti.
- ↑ T. sia.
- ↑ T. Edifficato.
- ↑ Mr. che lhehbe; P. che ello.
- ↑ T., Mr. e P. avea (il Berni avean).
- ↑ P. E dir come si trovi in.
- ↑ P. Trasse quel.
- ↑ T. e Mr. de monum.
- ↑ P. Di quei.
- ↑ Mr. e P. profumata.
- ↑ P. veste.
- ↑ P. Da poi lo arnese e.
- ↑ Mr. sopra lo.
- ↑ Mr. provarai l’ultima; P. Tu proverai l’ultima.
- ↑ Mr. e P. mirti.
- ↑ Mr. e P. sembravan.
- ↑ T. e Mr. si; P. se.
- ↑ T. e Mr. dimostrava.
- ↑ P. omm. e più.
- ↑ Mr. posso.
- ↑ Malepresa, e così più sotto.
- ↑ Mr. e P. omm. a.
- ↑ T. e Mr. moti.
- ↑ Mr. Facean; P. Facea.
- ↑ T., Mr. e P. a lato.
- ↑ Mr. e P. meavan.
- ↑ P. fece.
- ↑ Mr. a flauto a corno.
- ↑ M. frutta
- ↑ Mr. e P. e intorno molto.
- ↑ Mr. La notte lui ebbe.