[St. 47-50] |
libro iii. canto i |
15 |
Non so se fu fortuna o fusse caso,
Quando caderno entrambi de lo arcione,
Di sopra Mandricardo era rimaso,
E convenne a Gradasso esser pregione.
Già se ne andava il sol verso l’occaso
Allor che se finì la questïone,
E la donzella di cui vi ho parlato,
Con piacevol sembiante entrò nel prato;
Ed a Gradasso disse: O cavalliero,
Vetar non pôsse quel che vol fortuna:1
Lasciar questa battaglia è di mestiero,
Perchè la notte vene e il cel se imbruna;
Ma a te che hai vinto, tocca altro pensiero;
E dir ti scio che mai sotto la luna
Fo sì strana ventura in terra, o in mare,
Come al presente converrai provare.
Come di novo il giorno sia apparito,
Vedrai l’arme di Ettorre e chi le guarda;
Ora che il sole all’occidente è gito,
Entrar non pôi, chè l’ora è troppo tarda.
In questo tempo pigliaren partito
Che tua persona nobile e gagliarda
Qua sopra a l’erba prenda alcun riposo,
Sin che il sol se alci al giorno luminoso.
Dentro alla rocca non potresti entrare
(Di notte mai non se apre quella porta);
Tra fiori e rose qua pôi riposare,
Ed io vegliando a te farò la scorta.
Ben, se ti piace, te posso menare
Ove una dama grazïosa e accorta
Onora ciascaduno a un suo palagio,
Ma temo che ivi avresti onta e dannagio.
- ↑ Mr. posso.