Orlando innamorato/Libro secondo/Canto decimosecondo

Libro secondo

Canto decimosecondo

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1   Stella de amor, che ’l terzo cel governi,
     E tu, quinto splendor sì rubicondo,
     Che, girando in duo anni e cerchi eterni,
     De ogni pigrizia fai digiuno il mondo,
     Venga da’ corpi vostri alti e superni
     Grazia e virtute al mio cantar iocondo,
     Sì che lo influsso vostro ora mi vaglia,
     Poi ch’io canto de amor e di battaglia.

2   L’uno e l’altro esercizio è giovenile,
     Nemico di riposo, atto allo affanno;
     L’un e l’altro è mestier de omo gentile,
     Qual non rifuti la fatica, o il danno;
     E questo e quel fa l’animo virile,
     A benché al dì de ancòi, se io non m’inganno,
     Per verità de l’arme dir vi posso
     Che meglio è il ragionar che averle in dosso,

3   Poi che quella arte degna ed onorata
     Al nostro tempo è gionta tra villani;
     Né l’opra più de amore anco è lodata,
     Poscia che in tanti affanni e pensier vani,
     Senza aver de diletto una giornata,
     Si pasce di bel viso e guardi umani;
     Come sa dir chi n’ha fatto la prova,
     Poca fermezza in donna se ritrova.

4   Deh! non guardate, damigelle, al sdegno
     Che altrui fa ragionar come gli piace;
     Non son tutte le dame poste a un segno,
     Però che una è leal, l’altra fallace;
     Ed io, per quella che ha il mio core in pegno,
     Cheggio mercede a tutte l’altre e pace;
     E ciò che sopra ne’ miei versi dico,
     Per quelle intendo sol dal tempo antico:

5   Come Origilla, quella traditrice,
     Qual per aver Grifone in sua balìa
     (Ché il cor gli ardea d’amor ne la radice)
     A Manodante andò, la dama ria;
     E ciò che Orlando a lei secreto dice
     Per trar fuor quei baron de pregionia,
     E le cose ordinate tutte quante,
     Lei le rivela e dice a Manodante.

6   Quando il re intese che quivi era Orlando,
     Nella sua vita mai fu più contento.
     Se stesso per letizia dimenando,
     Già parli avere il figlio a suo talento;
     Ma poi nella sua mente anco pensando
     Del cavallier la forza e lo ardimento,
     Comprende bene e già veder gli pare
     Che nel pigliarlo assai serà che fare.

7   Alla donzella fece dar Grifone,
     Sì come a lei promesso avea davante,
     Ma lui non volse uscir mai de prigione,
     Se seco non lasciava anco Aquilante;
     E fu lasciato a tal condizïone,
     Che loro ed Origilla in quello istante
     Si dipartin dal regno alora alora,
     Senza più fare in quel loco dimora.

8   Così lor se partirno a notte oscura:
     Ancor vi contarò del suo vïaggio.
     Or torno a Manodante, che ha gran cura
     D’aver quel cavallier senza dannaggio,
     Perché di sua prodezza avea paura;
     Onde fece ordinare un beveraggio,
     Che dato a l’omo subito adormenta
     Sì come morto, e par che nulla senta.

9   A quei baron, che non avean sospetto,
     Fu meschiato nel vino a bere a cena,
     E poi la notte fôr presi nel letto
     E via condotti, né il sentirno a pena;
     Però che ’l beveraggio che io vi ho detto,
     Sì gli avea tolto del sentir la lena,
     Che fôr portati per piedi e per mane,
     Né mai svegliarno insino alla dimane.

10 Quando se avidder poi quella matina
     In un fondo di torre esser legati,
     Ben se avisarno che quella fantina
     Li avea traditi, essendosi fidati.
     - O re del celo, o Vergine regina, -
     Diceva il conte - non me abandonati! -
     Chiamando tutti e Santi ch’egli adora,
     Quanti n’ha il celo e poi degli altri ancora.

11 E come se amentava de pittura
     A Roma, in Francia, o per altra provenzia,
     A quella facea voto, per paura,
     De digiunare, o de altra penitenzia.
     Esso avea a mente tutta la Scrittura,
     De orazïon e salmi ogni scïenzia;
     Ciò che sapea, diceva a quella volta,
     E Brandimarte sempre mai l’ascolta.

12 Era quel Brandimarte saracino,
     Ma de ogni legge male instrutto e grosso,
     Però che fu adusato piccolino
     A cavalcare e portar l’arme in dosso;
     Onde, ascoltando adesso il paladino
     Che a Dio se aricomanda a più non posso,
     Chiamando ciascun Santo benedetto,
     Li adimandava quel che avesse detto.

13 E benché il conte fosse in tal tormento,
     Pur, per salvar quella anima perduta,
     Prima narrògli il vecchio Testamento,
     E poi perché Dio vôl che quel se muta;
     Gli narrò tutto il novo a compimento,
     E tanto a quel parlare Idio l’aiuta,
     Che tornò Brandimarte alla sua Fede,
     E come Orlando drittamente crede.

14 Benché lì non se possa battizare,
     Pur la credenza avea perfetta e bona,
     E poi che alquanto fu stato a pensare,
     Verso del conte in tal modo ragiona:
     - Tu m’hai voluto l’anima salvare,
     Ed io vorei salvar la tua persona,
     S’io ne dovessi ancor quivi morire;
     Or se ’l te piace, il modo pôi odire.

15 Tu dèi comprender così ben come io,
     Che per te solo è fatta questa presa,
     Perché tra Saracini èi tanto rio,
     E de Cristianità sola diffesa.
     Ora, se io prendo il tuo nome e tu il mio,
     Non avendo altri questa cosa intesa,
     Né essendo alcun di noi qua cognosciuto,
     Forse serai lasciato, io ritenuto.

16 Io dirò sempre mai ch’io sono Orlando,
     Tu de esser Brandimarte abbi la mente;
     Guârti che non errasti ragionando,
     Ché guastaresti il fatto incontinente.
     Ma, se esci fuore, a te mi racomando:
     Cerca di trarme del loco presente;
     E se io morissi al fondo dove io sono,
     Prega per l’alma mia tu che sei bono. -

17 Quasi piangendo quel baron soprano
     In cotal modo il suo parlar finia.
     Allora il conte, che era tanto umano:
     - Non piaccia a Dio, - dicea - che questo sia!
     Speranza ha ciascadun ch’è Cristïano,
     Nel re del celo e nella Matre pia;
     Lui ce trarà per sua mercè de guai,
     Ma senza te non uscirò giamai.

18 Ma se tu uscissi, io restaria contento,
     Pur che tu me prometta tutta fiata,
     Per preghi, né minacce, né spavento
     De non lasciar la fede che hai pigliata.
     La nostra vita è una polvere al vento,
     Né se debbe stimar né aver sì grata,
     Che per salvarla, on allungarla un poco,
     Si danni l’alma nello eterno foco. -

19 Diceva Brandimarte: - Alto barone,
     Già molte volte odito ho racontare
     Che del servigio perde il guiderdone
     Colui che for de modo fa pregare;
     Io ti cheggio, per Dio di passïone,
     Che quel che ho detto, tu lo vogli fare;
     E quando far nol vogli, io te prometto
     Ch’io tornarò di novo a Macometto. -

20 Orlando non rispose a quei sermoni,
     Né acconsentitte e non volse desdire.
     Eccoti gente armate de ronconi
     Che alla pregion la porta fanno aprire.
     Diceva il caporale: - O campïoni,
     Quale è Orlando di voi, debba venire;
     Quel che è desso, lo dica e venga avante,
     Ché appresentar conviense a Manodante. -

21 Brandimarte rispose incontinente,
     Che apena non avea colui parlato;
     Il conte Orlando diceva nïente,
     Ma sospirando si stava da lato.
     Or tolse Brandimarte quella gente,
     E così proprio come era legato
     (Che far non può diffesa né battaglia)
     Al re lo presentò quella sbiraglia.

22 Manodante era di natura umano,
     Però piacevolmente a parlar prese,
     Dicendo: - Ria fortuna e caso istrano
     A mio dispetto mi fa discortese;
     E ben ch’io sappia che sei cristïano,
     Nemico a nostra legge di palese,
     Sapendo tua virtute e il tuo valore,
     Assai me incresce a non te fare onore.

23 Ma la natura mi strenge sì forte
     E la compassïon de un mio figliolo,
     Che, a dirti presto con parole corte,
     A te per lui convien portar il dôlo.
     Crudel destino e la malvaggia sorte
     De duo mi avea lasciato questo solo;
     Dece ed otto anni ha di ponto il garzone:
     Morgana entro ad un lago l’ha pregione.

24 Questa Morgana è fata del Tesoro;
     E perché par che già tu dispregiasti
     Non so che cervo che ha le corne d’oro,
     E sue aventure e soi incanti li hai guasti,
     (Ti debbi ramentar questo lavoro,
     Onde ogni breve dir credo che basti),
     Per questo te persegue in ogni banda,
     E sol de averti a ciascadun dimanda.

25 Onde per fare il cambio di mio figlio
     In questa notte ti feci pigliare,
     E per trare esso di cotal periglio
     A quella fata ti voglio mandare;
     A benché di vergogna io sia vermiglio,
     Pensando ch’io te fo mal capitare,
     Sapendo che tu merti onore e pregio;
     Ma altro rimedio al suo scampo non vegio. -

26 Tenendo il re chinato a terra il viso
     Fece fine al suo dir, quasi piangendo.
     Rispose Brandimarte: - Ogni tuo aviso
     Sempre servire ed obedire intendo,
     Se mille miglia ancor fossi diviso
     Da questo regno; or tuo pregione essendo,
     Disponi a tuo volere ed a tuo modo,
     Ch’io vo’ di te lodarme ed or mi lodo.

27 Ma ben ti prego per summa mercede
     Che, potendo campare il tuo figliolo
     Per altra forma, come il mio cor crede,
     Che tu non me conduchi in tanto dôlo.
     Or, se te piace, alquanto ascolta e vede:
     Termine da te voglio un mese solo,
     E che tu lasci l’altro compagnone,
     Ed io starò tra tanto alla pregione,

28 Pur che il compagno che meco fo preso,
     Subitamente sia da te lasciato.
     Sopra alle forche voglio essere impeso,
     Se in questo tempo ch’io ho da te pigliato
     Non ti è il tuo figliol sano e salvo reso,
     Perché in quel loco il cavalliero è stato.
     Sopra alla Fede mia questo ti giuro,
     Ed andarane e tornarà securo. -

29 Queste parole Brandimarte usava
     Ed altre molte più che qui non scrivo,
     Come colui che molto ben parlava
     Ed era in ogni cosa troppo attivo.
     Al fin quel vecchio re pur se piegava;
     A benché fosse di quel figlio privo,
     E lo aspettare a rivederlo un mese
     Paresse uno anno, e’ pur l’accordio prese.

30 Brandimarte si pose ingenocchione,
     Il re di questo assai ringrazïando,
     E poi fu rimenato alla prigione,
     E tratto fuor di quella il conte Orlando.
     Or chi direbbe le dolci ragione
     Che ferno e due compagni lacrimando,
     Allor che il conte convenne partire?
     Quanto gli increbbe, non potrebbi io dire.

31 Sapean già il patto com’era fermato,
     Che al termine de un mese die’ tornare;
     Onde, avendo da lui preso combiato,
     Con una nave si pose per mare.
     In pochi giorni a terra fu portato,
     Poi per la ripa prese a caminare,
     Dietro a l’arena, per la strata piana,
     Tanto che gionse al loco di Morgana.

32 Quel che là fece, contarò da poi,
     Se la istoria ascoltati tutta quanta:
     Ora ritorno a Manodante e’ soi.
     Chi mena zoia, chi suona e chi canta;
     Chi promette a Macon pecore e boi.
     Chi darli incenso e chi argento si vanta,
     Se gli concede di veder quel giorno
     Che Zilïante a lor faccia ritorno.

33 Nome avea il giovanetto Zilïante,
     Come di sopra in molti lochi ho detto.
     A quelle feste che io dico cotante,
     Ne la cità per zoia e per diletto
     Accese eran le torre tutte quante
     De luminari; e su per ciascun tetto
     Suonavan trombe e corni e tamburini,
     Come il mondo arda e tutto il cel ruini.

34 Era là preso Astolfo del re Otone
     Con altri assai, sì come aveti odito,
     E benché fosse al fondo de un torione,
     Pur quello alto rumore avea sentito,
     E de ciò dimandando la cagione
     A quel che per guardarli è stabilito,
     Colui rispose: - Io vi so dir palese
     Che indi uscirete in termine de un mese.

35 E voglio dirvi il fatto tutto intiero,
     Perché più non andati dimandando.
     Al nostro re non fa più de mistiero
     La presa de’ baroni andar cercando,
     Però che in corte è preso un cavalliero,
     Qual per il mondo è nominato Orlando;
     Or potrà aver per contracambio il figlio,
     Che è ben di nome e di bellezza un ziglio.

36 Ma bene è ver che un cavallier pagano,
     Qual mostra esser di lui perfetto amico,
     Lasciato fu dal nostro re soprano,
     E tornar debbe al termine ch’io dico,
     E menar Zilïante a mano a mano,
     Benché io non stimo tal promessa un fico;
     Ma il re certo avrà il figlio a suo comando,
     Se in contraccambio là vi pone Orlando. -

37 Astolfo se mutò tutto di faccia
     E più di core, odendo racontare
     Che il conte era pur gionto a quella traccia,
     E il guardïano alor prese a pregare,
     - German, - dicendo - per Macon ti piaccia
     Una ambasciata a l’alto re portare,
     Che sua corona in ciò mi sia cortese,
     Ch’io veda Orlando, che è di mio paese. -

38 Sempre era Astolfo da ciascuno amato,
     Or non bisogna ch’io dica per che;
     Onde il messaggio subito fu andato,
     E l’ambasciata fece ben al re.
     Già Brandimarte prima era lasciato,
     Entro una zambra sopra a la sua fè,
     Ma disarmato; e sempre mai de intorno
     Stava gran guarda tutta notte e ’l giorno.

39 Il re ne viene a lui piacevolmente,
     E dimandò chi fosse Astolfo e donde;
     Turbosse Brandimarte ne la mente,
     E, pur pensando, al re nulla risponde,
     Perché cognosce ben palesemente
     Che, come è giorno, indarno se nasconde,
     Onde sua vita tien strutta e diserta,
     Poi che la cosa al tutto è discoperta.

40 Al fin, per più non far di sé sospetto,
     Disse: - Io pensava e penso tuttavia
     S’io cognosco l’Astolfo de che hai detto,
     Né me ritorna a mente, in fede mia,
     Se non ch’io vidi già in Francia un valletto,
     Qual pur mi par che cotal nome avia;
     Stavasi in corte per paccio palese,
     E nomato era il gioculare Anglese.

41 Grande era e biondo e di gentile aspetto,
     Con bianca faccia e guardatura bruna;
     Ma egli avea nel cervello un gran diffetto,
     Perché d’ognior che scemava la luna,
     Divenia rabbïoso e maledetto,
     E più non cognoscea persona alcuna,
     Né alor sapea festar, né menar gioco:
     Ciascun fuggia da lui come dal foco. -

42 - Lui proprio è questo, - disse Manodante
     - De sue piacevolezze io voglio odire. -
     Così dicendo via mandava un fante,
     Che lo facesse alor quindi venire.
     Questo, giognendo ad Astolfo davante,
     Incontinenti gli cominciò a dire
     Sì come il re l’avrebbe molto caro,
     Poi che egli era buffone e giocularo,

43 E come il cavallier del suo paese,
     Quale era Orlando, al re l’have contato.
     Astolfo de ira subito s’accese,
     E così come egli era infurïato,
     Col fante ver la corte il camin prese.
     Benché da molti dreto era guardato,
     Lui non restava de venir cridando
     Per tutto sempre: - Ove è il poltron de Orlando?

44 Ov’è, - diceva - ove è questo poltrone,
     Che de mi zanza, quella bestia vana?
     Mille onze d’oro avria caro un bastone
     Per castigar quel figlio de putana. -
     Il re con Brandimarte ad un balcone
     Odîr la voce ancora assai lontana,
     Tanto cridava il duca Astolfo forte
     Di dare a Orlando col baston la morte.

45 E Brandimarte alor molto contento
     Dicea al re: - Per Dio, lasciànlo stare,
     Perché ponerà tutti a rio tormento:
     Poco de un paccio si può guadagnare.
     Adesso in tutto è fuor di sentimento:
     Questo è la luna, che debbe scemare;
     Io so com’egli è fatto, io l’ho provato:
     Tristo colui che se gli trova a lato! -

46 - Adunque sia legato molto bene, -
     Diceva il re - dapoi qua venga in corte;
     Di sua pacìa non voglio portar pene. -
     Eccoti Astolfo è già gionto alle porte,
     E per la scala su ratto ne viene.
     Ma nella sala ogniom cridava forte,
     Sergenti e cavallieri in ogni banda:
     - Legate il paccio! Il re così comanda. -

47 Ma quando Astolfo se vidde legare,
     Ed esser reputato per lunatico,
     Cominciò l’ira alquanto a rafrenare,
     Come colui che pure avea del pratico.
     Quando fu gionto, il re prese a parlare
     A lui, dicendo: - Molto sei selvatico
     Con questo cavallier de tuo paese,
     Benché lui sia di Brava, e tu sia Anglese. -

48 Astolfo alor, guardando ogni cantone,
     - Ma dove è lui - diceva - quel fel guerzo,
     Il qual ardisce a dir ch’io son buffone,
     Ed egual del mio stato non ha il terzo?
     Né lo torria per fante al mio ronzone,
     Abench’io creda ch’el dica da scherzo,
     Sapendo esso di certo e senza fallo
     Che di lui faccio come di vassallo.

49 Ove sei tu, bastardo stralunato,
     Ch’io te vo’ castigar, non so se il credi? -
     Il re diceva a lui: - Che sventurato!
     Tu l’hai avante, e par che tu nol vedi. -
     Alora Astolfo, guardando da lato
     E dietro e innanci ogniom da capo a piedi,
     Dicea da poi: - Se alcun non l’ha coperto
     Di sotto al manto, e’ non è qua di certo.

50 E tra coteste gente, che son tante,
     Sol questo Brandimarte ho cognosciuto. -
     Meravigliando dicea Manodante:
     - Qual Brandimarte? Dio me doni aiuto!
     Or non è questo Orlando, che hai davante?
     Io credo che sei paccio divenuto. -
     E Brandimarte alquanto sbigotito
     Pur fa bon volto con parlare ardito,

51 Al re dicendo: - Or non sai che al scemare
     Che fa la luna, il perde lo intelletto?
     Io credea che ’l dovesti ramentare,
     Perché poco davante io l’avea detto. -
     Alora Astolfo cominciò a cridare:
     - Ahi renegato cane e maledetto!
     Un calcio ti darò di tal possanza,
     Che restarà la scarpa ne la panza. -

52 Diceva il re: - Tenitelo ben stretto,
     Però che ’l mal li cresce tutta via. -
     Ora ad Astolfo pur crebbe il dispetto,
     E fu salito in tanta bizaria,
     Che minacciava a roïnar il tetto,
     E tutta disertar la Pagania,
     E cinquecento miglia intorno intorno
     Menare a foco e a fiamma in un sol giorno.

53 Comandò il re che via fosse condutto;
     Ma quando lui se vidde indi menare
     Ed esser reputato paccio al tutto,
     Cominciò pianamente a ragionare.
     Dapoi che non aveva altro redutto,
     Con voce bassa il re prese a pregare
     Che ancor non fusse de quindi menato,
     E mostrarebbe a lui che era ingannato;

54 Però che, se mandava alla pregione,
     E facesse Ranaldo qua venire,
     O veramente il giovane Dudone,
     Da lor la verità potrebbe odire;
     E che lui volea stare al parangone,
     E se mentisse, voleva morire,
     Ed esser strascinato a suo comando,
     Ché questo è Brandimarte e non Orlando.

55 Il re, pur dubitando esser schernito,
     Cominciò Brandimarte a riguardare,
     Il quale, in viso tutto sbigotito,
     Lo fece maggiormente dubitare.
     Il cavallier, condutto a tal partito
     Che non potea la cosa più negare,
     Confessa per se stesso aver ciò fatto,
     Acciò che Orlando sia da morte tratto.

56 Il re di doglia si straziava il manto
     E via pelava sua barba canuta,
     Per il suo figlio ch’egli amava tanto;
     De averlo è la speranza ormai perduta.
     Ne la cità non se ode altro che pianto,
     E la allegrezza in gran dolor se muta;
     Crida ciascun, come di senno privo,
     Che Brandimarte sia squartato vivo.

57 Fu preso a furia e posto entro una torre,
     Da piedi al capo tutto incatenato;
     In quella non se suole alcun mai porre
     Che sia per vivo al mondo reputato.
     Se Dio per sua pietate non soccorre,
     A morir Brandimarte è iudicato.
     Astolfo, quando intese il conveniente
     Come era stato, assai ne fu dolente.

58 E volentier gli avria donato aiuto
     De fatti e de parole a suo potere,
     Ma quel soccorso tardo era venuto,
     Sì come fa chi zanza oltra al dovere.
     Quel gentil cavalliero ora è perduto
     Per sue parole e suo poco sapere;
     Or qui la istoria de costor vi lasso,
     E torno al conte, ch’è gionto a quel passo:

59 Al passo di Morgana, ove era il lago
     E il ponte che vargava la rivera.
     Il conte riguardando assai fu vago,
     Ché più Aridano il perfido non vi era.
     Così mirando vidde morto un drago,
     Ed una dama con piatosa ciera
     Piangea quel drago morto in su la riva,
     Come ella fusse del suo amante priva.

60 Orlando se fermò per meraviglia,
     Mirando il drago morto e la donzella,
     Che era nel viso candida e vermiglia.
     Ora ascoltati che strana novella:
     La dama il drago morto in braccio piglia,
     E con quello entra in una navicella,
     Correndo giù per l’acqua alla seconda,
     E in mezo il lago aponto se profonda.

61 Non dimandati se il conte avea brama
     Di saper tutta questa alta aventura.
     Ora ecco di traverso una altra dama
     Sopra de un palafreno alla pianura.
     Come ella vidde il conte, a nome il chiama
     Dicendo: - Orlando mio senza paura,
     Iddio del paradiso ha ben voluto
     Che qua vi trovi per donarmi aiuto. -

62 Questa donzella che è quivi arrivata,
     Come io vi dico, sopra il palafreno,
     Era da un sol sergente accompagnata.
     Di lei vi contarò la istoria apieno,
     Se tornarete a questa altra giornata,
     E di quella del drago più né meno,
     Qual profondò nel fiume; or faccio ponto,
     Però che al fin del mio cantar son gionto.