[St. 39-42] |
libro ii. canto xii |
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Il re ne viene a lui piacevolmente,
E dimandò chi fosse Astolfo e donde;
Turbosse Brandimarte ne la mente,
E, pur pensando, al re nulla risponde,
Perchè cognosce ben palesemente
Che, come è giorno, indarno se nasconde,
Onde sua vita tien strutta e diserta,
Poi che la cosa al tutto è discoperta.
Al fin, per più non far di sè sospetto,
Disse: Io pensava e penso tuttavia
S’io cognosco l’Astolfo de che hai detto,
Nè me ritorna a mente, in fede mia,
Se non ch’io vidi già in Francia un valletto,
Qual pur mi par che cotal nome avia;
Stavasi in corte per paccio palese,
E nomato era il gioculare Anglese.
Grande era e biondo e di gentile aspetto,
Con bianca faccia e guardatura bruna;
Ma egli avea nel cervello un gran diffetto,
Perchè d’ognior che scemava la luna,
Divenia rabbïoso e maledetto,
E più non cognoscea persona alcuna,
Nè alor sapea festar, nè menar gioco:
Ciascun fuggia da lui come dal foco.
— Lui proprio è questo, disse Manodante
De sue piacevolezze io voglio odire.
Così dicendo via mandava un fante,
Che lo facesse alor quindi venire.
Questo, giognendo ad Astolfo davante,
Incontinenti gli cominciò a dire
Sì come il re l’avrebbe molto caro,
Poi che egli era buffone e giocularo,