[St. 47-50] |
libro ii. canto xii |
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Ma quando Astolfo se vidde legare,
Et esser reputato per lunatico,
Cominciò l’ira alquanto a rafrenare,
Come colui che pure avea del pratico.
Quando fu gionto, il re prese a parlare
A lui, dicendo: Molto sei selvatico
Con questo cavallier de tuo paese,
Benchè lui sia di Brava, e tu sia Anglese.
Astolfo alor, guardando ogni cantone,
— Ma dove è lui, diceva, quel fel guerzo,
Il qual ardisce a dir ch’io son buffone,
Et egual del mio stato non ha il terzo?
Nè lo torria per fante al mio ronzone,
Abench’io creda ch’el dica da scherzo,
Sapendo esso di certo e senza fallo
Che di lui faccio come di vassallo.
Ove sei tu, bastardo stralunato,
Ch’io te vo’ castigar, non so se il credi?
Il re diceva a lui: Che sventurato!
Tu l’hai avante, e par che tu nol vedi.
Alora Astolfo, guardando da lato
E dietro e innanci ogniom da capo a piedi,
Dicea da poi: Se alcun non l’ha coperto
Di sotto al manto, e’ non è qua di certo.
E tra coteste gente, che son tante,
Sol questo Brandimarte ho cognosciuto.
Meravigliando dicea Manodante:
Qual Brandimarte? Dio me doni aiuto!
Or non è questo Orlando, che hai davante?
Io credo che sei paccio divenuto.
E Brandimarte alquanto sbigotito
Pur fa bon volto con parlare ardito,