Orlando furioso (sec. la stampa 1532)/Canto 8
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CANTO OTTAVO
[1]
Incantator tra noi, che non ſi fanno.
Che con lor arti: huomini e donne, amanti
Di ſé: cangiando iuiſi lor: fatto hanno.
Non con ſpirti conſtretti tali incanti
Ne con oſſeruation di ſtelle fanno,
Ma co ſimulation, menzogne e ſrodi,
Legano i cor d’indiſſolubil nodi.
[2]
Chi l’anello d’Angelica: o piū toſto
Chi haueſſe quel de la ragion, potria
Veder a tutti il viſo, che naſcoſto
Da ſintione e d’arte non faria,
Tal ci par bello e buono che depoſto
Il liſcio, brutto e rio ſorſè parria:
Fu gran ventura quella di Ruggiero,
C’hebbe l’annel ch gli ſcoperſe il vero.
[3]
Ruggier (come io dicea) diſſimulando
Su Rabican venne alla porta armato,
Trovo le guardie ſprouedute: e quando
Giunſe tra lor: no tenne il brando a lato
Chi morto, e chi a mal termine laſciado
Eſce del potè, e il raſtreilo ha ſpezzato,
Prende al boſco la via: ma poco corre,
Ch’ad vn de ſerui de la fata occorre.
[4]
Il ſeruo ipugno hauea ū augel griſagno
Che volar co piacer facea ogni giorno:
Hora a capagna, hora a u vicino ſtagno,
Doue era ſempre da far preda intorno
Hauea da lato il can ſido compagno,
Caualcauavn ronzin no troppo adorno,
Ben pèſo che Ruggier douea ſuggire,
Quando lo vide in tal fretta venire.
[5]
Se gli ſé incontra e co ſembiante altiero
Gli domando perche in tal fretta giſſe,
Riſpóder no gli volſe il buò Ruggiero,
Perciò colui piū certo che ſuggiſſe
Di volerlo arreſtar fece penſiero,
Et diſtendendo il braccio manco diſſe
Che dirai tu ſé ſubito ti fermo?
Se cótra qſto augel no haurai ſchermo?
[6]
Spinge l’augello, e quel batte ſi l’ale,
Che non l’auanza Rabican di corſo,
Del palaſreno il cacciator giū ſale:
E tutto a vn tépo gli ha leuato il morſo,
Quel par da l’arco vno auentato ſtrale
Di calci ſormidabile e di morſo
E ’l ſeruo dietro ſi veloce viene
Che par ch’il vèto, anzi che il fuoco il mene.
[7]
Non vuol parere il can d’eſſer piú tardo
Ma ſegue Rabican: con quella fretta
Con che le Lepri ſuol ſeguire il Pardo,
Vergogna a Ruggier par ſé nò aſpetta,
Voltaſi a quel ch vie ſi a pie gagliardo:
Ne glivede arme ſuor ch’una bacchetta
Quella co chevbidire al cane inſegna.
Ruggier di trar la ſpada ſi diſdegna.
[8]
Quel ſé gli appreſſa, e ſorte lo percuote
Lo morde avn tépo il ca nel piede maco
Lo sfrenato deſtrier la groppa ſcuote:
Trevolte e piú, ne falla il deſtro ſianco:
Gira l’augello, e gli fa mille ruote:
E con l’ugna ſouente il feriſce ancho,
Si il deſtrier collo ſtrido impaurifee,
Ch’ alla mano e allo ſpro poco vbidiſce.
[9]
Ruggiero al ſin 9ſtretto il ferro caccia:
Et perche tal moleſtia ſé ne vada,
Hor glianimali, fior ql villan minaccia
Col taglio: e con la punta de la ſpada,
Quella importuna turba piú l’impaccia
Preſa ha, chi qua, chi la, tutta la ſtrada,
Vede Ruggiero il dishonore: e il dano,
Che gli auerra, ſé piú tardar lo fanno,
[10]
Sa ch’ogni poco piú ch’iui rimane,
Alcina haui a col populo alle ſpalle:
Di trombe, di tamburi, e di campane,
Giá s’ ode alto rumore in ogni valle
Cútra tí ſeruo ſenza arme, e cotra ú cane
Gli par ch’a vſar la ſpada troppo falle,
Meglio e piú breue e duqj, ch gli ſcopra
Lo ſcudo che d’Atlante era ſtato opra.
[11]
Leuo il drappo vermiglio in ch coperto
Giá molti giorni lo ſcudo ſi tenne,
Fece l’effetto mille volte eſperto,
Il lume, ove a ferir ne gliocchi venne,
Reſta da i ſenſi il cacciator deſerto.
Cade il cane e il ronzin, cadon le penne,
Ch’ in aria foſtener l’augel non ponno,
Lieto Ruggier li laſcia in pda al ſonno,
[12]
Alcina e’ hauea in tanto hauuto auiſo
Di Ruggier ch sforzato hauea la porta.
E de la guardia buon numero vcciſo
Fu vinta dal dolor, per reſtar morta
Squarciossi i panni, e ſi percoſſe il viſo,
E ſciocca nominoſſi, e mal’accorta,
E fece dar all’arme immantinente,
E intorno a ſé raccor tutta ſua gente.
[13]
E poi ne fa due parti, e manda l’una
Per quella ſtrada, oue Ruggier camina,
Al porto l’altra ſubito raguna
In barca, & vſcir fa ne la marina,
Sotto le vele aperte il mar s’imbruna,
Con queſti va la diſperata Alcina,
Che ’l deſiderio di Ruggier ſi rode
Che laſcia ſua citta ſenza cuſtode.
[14]
No laſcia alcflo a guardia del palagio
Il che a Meliſſa che ſtaua alla poſta
Per liberar di quel regno maluagio
La gente ch’in miſeria v’era poſta,
Diede comoditá, diede grade agio
Di gir cercando ogni coſa a ſua poſta,
Imagini abbruciar, fuggelli torre
E Nodi, e Rombi, e Turbini diſciorre.
[15]
Indi pei campi accelerando i parti,
Gliantiqui amanti, ch’erano I gra torma
Couerſi in ſonti, in fere, in legni, in faſſi,
Fé ritornar ne la lor prima ſorma,
E quei, poi ch’allargati ſuro i paſſi,
Tutti del buon Ruggier ſeguiro l’orma
A Logiſtilla ſi ſaluaro, & indi,
Tornaro a Sciti, a Perii, a Greci, ad Indi.
[16]
Li rimando Meliſſa in lor paeſi
Con obligo di mai non eſſer ſciolto,
Fu inazi a glialtri il Duca de gl’Ingleſi
Ad eſſer ritornato in human volto,
Che ’l parentado in queſto e li corteſi
Prieghi del bò Ruggier gli giouar molto
Oltre i prieghi Ruggier le die l’annello
Accio meglio poteſſe aiutar quello.
[17]
A prieghi dunqj di Ruggier, rifatto
Fu ’l paladin ne la ſua prima faccia,
Nulla pare a Meliſſa d’ hauer fatto
Quado ricourar l’arme non gli faccia,
E quella lancia d’ or ch’al primo tratto
Quanti ne tocca de la fella caccia
De l’Argalia poi ſu d’Aſtolfo lacia
E molto honor ſé a l’uno, e a l’altro i Frac
[18]
Trouo Meliſſa queſta lancia d’ oro
Ch’Alcina hauea repoſta nel palagio,
E tutte l’arme che del Duca ſoro
E gli fur tolte ne l’hoſtel maluagio
Monto il deſtrier de ’l Negromate Moro
E ſé montar Aſtolfo in groppa adagio
E quindi a Logiſtilla ſi conduſſe
D’un’hora prima che Ruggier vi ſuſſe,
[19]
Tra duri faſſi, e ſolte ſpine giá
Ruggiero in tato in ver la fata ſaggia,
Di balzo in balzo, e d’ una in altra via
Aſpra, ſolinga, inhoſpita, e ſeluaggia,
Tanto ch’a gran fatica riuſcia
Su la ſeruida nona, in vna ſpiaggia,
Tra ’l mare, e ’l mote, al mezodi ſcoperta
Arficcia, nuda, ſterile, e deſerta.
[20]
Percuote il Sole ardente il vicin colle:
E del calor che ſi riflette adietro
In modo l’aria, e l’arena ne bolle:
Che faria troppo a far liquido il vetro:
Staſſi cheto ogni augello all’Obra molle
Sol la cicala col noioſo metro
Fra i denfi rami: del fronzuto ſtelo
Levalli, e i moti afforda, e il mare, e il cielo
[21]
Quiui il caldo, la ſete, e la fatica
Ch’ era di gir per quella via arenoſa:
Facean lugo la ſpiaggia erma & aprica,
A Ruggier copagnia graue e noioſa,
Ma pche non conuien che ſemp io dica
Ne ch’io vi occupi ſempre in vna coſa,
Io laſcero Ruggiero in queſto caldo,
a E giro in Scotia a ritrouar Rinaldo.
[22]
Era Rinaldo molto ben veduto
Dal Re, da la figliola, e dal paeſe,
Poi la cagion che quiui era venuto:
Piú adagio il paladin fece paleſe,
Ch’ in nome del ſuo Re chiedeua aiuto
E dal regno di Scotia e da l’Ingleſe,
Et a i preghi ſuggiunſe ancho di Carlo
Giuſtiffime cagion di douer farlo,
[23]
Dal Re ſenza indugiar gli ſu riſpoſto
Che di quanto ſua ſorza s’ eſtendea
Per vtile, & honor ſempre diſpoſto
Di Carlo e del’Imperio eſſer volea,
Et che ſra pochi di gli haurebbe poſto,
Piú cauallieri in- punto che potea,
E ſé non ch’eſſo era hoggimai pur vecchio.
Capitao verria del ſuo appecchio
[24]
Ne tal riſpetto anchor gli parria degno
Di farlo rimaner: ſé non haueſſe,
Il figlio che di ſorza, e piú d’ ingegno
Digniſſimo era: a ch’il gouerno deſſe:
Ben che no ſi trouaſſe allhor nel regno
Ma che ſperaua che venir doueſſe
Métre ch’infieine aduneria lo ſtuolo:
E ch’adunato il troueria il ſigliuolo.
[25]
Coſi mando per tutta la ſua terra
Suoi theſorieri, a far caualli e gente:
Naui apparecchia, e munitio da guerra,
Vettouaglia e danar maturamente,
Véne intanto Rinaldo in Inghilterra,
E ’l Re nel ſuo partir corteſemente
I ni imi a Beroicche accompagnollo,
E viſto pianger ſu quando laſciollo.
[26]
Spirando il vento pſpero alla poppa,
Monta Rinaldo, & a Dio dice a tutti:
La ſune idi al viaggio il nocchier ſgroppa
Tato che giunge oue ne i falſi flutti
II bel Tamigi amareggiando intoppa,
Col gran fluſſo del mar quindi condutti
I nauiganti per camin ſicuro
A vela e remi inſino a Londra ſuro.
[27]
Rinaldo hauea da Carlo e dal Re Othone
Che co Carlo in Parigi era aſſediato
Al principe di Vallia cómiſſione
Per contraſegni e lettere portato,
Che ciò che potea far la regione,
Di fanti e di caualli in ogni lato,
Tutto debba a Calefio tragittarlo,
Si che aiutar ſi poſſa Francia e Carlo.
[28]
Il principe ch’io dico, ch’era in vece
D’ Othon rimaſo nel ſeggio reale:
A Rinaldo d’ Amon tanto honor fece
Ch no P haurebbe al ſuo Re fattovguale
Indi alle ſue domande ſatisfece
Perche a tutta la gente martiale
E di Bretagna, e de l’Iſole intorno
Di ritrouarſi al mar prefiffe il giorno.
[29]
Signor far mi conuien come fa il buono
Sonator, fopra il ſuo inſtrumeto arguto:
Che ſpeffo muta corda, e varia ſuono,
Ricercando hora il graue, bora l’acuto,
Mentre a dir di Rinaldo attento ſono
D’Angelica gentil ni’ e ſouenuto
Di che laſciai, ch’era da lui ſuggita:
E e’ hauea riſcontrato vno Eremita
[30]
Alquanto la ſua hiſtoria io vo ſeguire
Diſſi: che domandaua con gran cura:
Come poteſſe alla marina gire:
Che di Rinaldo hauea tanta paura:
Che no paſſando il mar: credea morire:
Ne in tutta Europa ſi tenea ſicura,
Ma l’Eremita a bada la tenea:
Perche di ſtar co lei piacere hauea.
[31]
Quella rara bellezza il cor gli acceſe
E gli ſcaldo le ſrigide medolle:
Ma poi che vide che poco gli atteſe:
E ch’oltra ſoggiornar ſeco non volle,
Di cento punte l’aſinello oſſeſe:
Ne di ſua tarditá perho lo tolle:
E poco va di paſſo, e men di trotto,
Ne ('tender gli ſi vuol la beſtia ſotte
[32]
E perche molto dilungata s’era,
E poco piú n’hauria perduta l’orma,
Ricorſe il ſrate alla ſpelonca nera
E di demoni vſcir fece vna torma,
E ne ſceglie vno di tutta la ſchiera:
E del biſogno ſuo prima l’informa,
Poi lo fa entrare adoſſo al corridore:
Che via gli porta con la donna il core.
[33]
E qual ſagace can nel monte vſato
A volpi, o lepri dar ſpeffo la caccia:
Che ſé la ſera andar vede da vn lato
Ne va da vn’ altro, e par ſpzzi la traccia,
Al varco poi lo ſenteno arriuato
Ch l’ha giá i bocca, e l’ap il ſiaco e ſtraccia
Tal l’Eremita per diuerſa ſtrada
Aggiugnera la dona, ouunque vada.
[34]
Che ſia il diſegno ſuo, ben io coprendo
E dirollo ancho a voi, ma in altro loco,
Angelica di ciò nulla temendo
Caualcaua a giornate, hor molto hor poco
Nel cauallo il Demo ſi giá coprédo
Come ſi cuopre alcuna volta il fuoco:
Che co ſi graue incèdio poſcia auampa
Che nò ſi eſtingue: e a pena ſé ne ſcapa.
[35]
Poi che la dona preſo hebbe il ſentiero
Dietro il gran mar che li Guaſconi laua
Tenédo appſſo all’onde il ſuo deſtriero,
Doue l’humor la via piú ferma daua,
Quel le ſu tratto dal demonio fiero
Ne lacqua ſi che dentro vi nuotami,
Non fa che far la timida donzella
Se non tenerſi ferma in ſu la fella.
[36]
Per tirar briglia, non gli può dar volta:
Piú e piú ſempre quel ſi caccia in alto,
Ella tenea la veſta in ſu raccolta,
Per no bagnarla: e trahea i piedi in alto,
Per le ſpalle la chioma iua diſciolta
E l’aura le facea laſciuo aſſalto,
Stauano cheti tutti i maggior venti
Forſè a tanta beltá, col mare attenti.
[37]
Ella volgea i begliocchi a terra in vano
Che bagnauá di piato il viſo, e ’l ſeno,
E vedea il lito andar ſempre lontano
E decreſcer piú ſempre e venir meno,
Il deſtrier che nuotaua a deſtra mano:
Dopo vn gran giro: la porto al terreno,
Tra ſcuri faſſi, e ſpauentoſe grotte
Giá cominciando ad ofeurar la notte.
[38]
Quando ſi vide ſola in quel deſerto
Che a riguardarlo ſol mettea paura,
Ne l’hora che nel mar Phebo coperto
l’aria e la terra hauea laſciata oſcura:
Fermoſſi in atto e’ hauria fatto incerto
Chiunque haueſſe viſta ſua ſigura:
S’ ella era donna fenfitiua e vera:
O ſaſſo colorito in tal maniera.
[39]
Stupida e ſiſſa nella incerta ſabbia:
Coi capelli diſciolti e rabuffati:
Co le man giunte: e con l’immote labbia
I languidi occhi al ciel tenea leuati:
Come accuſando il gra motor che l’habbia
Tutti inclinati nel ſuo dano i fati,
Immota, e eòe attonita, ſte aleuto
Poi ſciolſe al duol la ligua, e gliocchi al piato
[40]
Dicea fortuna che piú a far ti reſta
Accio di me ti fatii e ti disfami ?
Che dar ti poſſo nomai piú ? ſé non qſta
Mifera vita? ma tu non la brami:
C hora a trarla del mar fei ſtata preſta
Quando potea ſinir ſuoi giorni grami,
Perche ti parue di voler piú anchora
Vedermi tormetar prima ch’io muora.
[41]
Ma che mi poſſi nuocere non veggio
Piú di quel che ſin qui nociuto m’hai,
Per te cacciata ſon del Real ſeggio,
Doue piti ritornar non ſpero mai,
Ho perduto l’honor: ch’e ſtato peggio
Che ſé ben con effetto io non peccai:
Io do perho materia, ch’ognun dica,
Ch’eſſendo vagabonda io ſia impudica.
[42]
C hauer può dona al mòdo piú di buono
A cui la caſtita leuata ſia?
Mi nuoce (ahimè) ch’io so gioitane e ſono
Tenuta bella, o ſia vero, o bugia,
Giá no ringratio il ciel di queſto dono,
Che di qui naſce ogni ruina mia:
Morto per queſto ſu Argalia mio ſrate
Che poco gli giouar l’arme incantate.
[43]
Per queſto il Re di Tartaria Agricane
Disſece il genitor mio Galaphrone:
Ch’in India del Cataio era gran Cane:
Onde io ſon giunta a tal conditione,
Che muto albergo da ſera a dimane:
Se l’hauer ſé l’honor ſé le perſone
M’hai tolto, e fatto il mal ch far mi puoi:
A ch piú doglia ancho ſerbar mi vuoi?
[44]
Se l’affogarmi in mar morte non era
A tuo ſenno crudel: pur ch’io ti ſntii
Non recuſo che mandi alcuna ſera
Che mi diuori: e non mi tenga in ſtratii.
D’ogni martir che ſia: pur ch’io ne pera
Eſſer non può ch’assai non ti ringratii,
Coſi dicea la donna con gran pianto
Quando le apparue l’Eremita accanto.
[45]
Hauea mirato da l’eſtrema cima
D’un rileuato ſaſſo l’Eremita,
Angelica che giunta alla parte ima
E de lo ſcoglio, afflitta e sbigottita:
Era fei giorni egli venuto prima:
Ch’un Demonio il porto p via non trita
E venne a lei, ſingendo diuotione,
Quata haueſſe mai Paulo, o Hilarione.
[46]
Come la Donna il comincio a vedere
Preſe, non conoſcendolo conſorto,
E ceffo a poco a poco il ſuo temere,
Bèche ella haueſſe achora il viſo ſmorto:
Come ſu preſſo, diſſe miſerere
Padre di me: chi ſon giúta a mal porto,
E con voce interrotta dal fingulto
Gli diſſe quel ch’a lui non era occulto.
[47]
Comincia l’Eremita a confortarla
Con alquante ragion belle e diuote:
E pon laudaci man mentre che parla:
Hor per lo ſeno: hor per l’humide gote,
Poi piú ſicuro va per abbracciarla,
Et ella ſdegnoſetta lo percuote
Con vna man nel petto e lo riſpinge
E d’honeſto roſſor tutta ſi tinge.
[48]
Egli ch’allato haueavna taſcha, aprilla,
E traſſene vna ampolla di liquore
E ne gliocchi poſſenti: onde sfauilla
La piú cocente face e’ habbia Amore,
Spruzzo di quel leggierméte vna ſtilla
Che di farla dormire hebbe valore,
Giá refupina ne l’arena giace
A tutte voglie del vecchio rapace.
[49]
Egli l’abbraccia: & a piacer la tocca
Et ella dorme, e non può fare iſchermo
Hor le bacia il bel petto: hora la bocca
nò e ch’il veggia I ql loco aſpro & ermo
Ma ne l’incotro il ſuo deſtrier trabocca,
Ch’ai diſio no riſpóde il corpo inſermo,
Era mal atto, perche hauea troppi anni,
E potrá peggio, quanto piú l’affanni.
[50]
Tutte le vie, tutti li modi tenta:
Ma quel pigro rozzon non perho ſalta,
Indarno il ſren gli ſcuote: e lo tormenta,
E non può far che tenga la teſta alta:
Al ſin preſſo alla donna s’addormenta
E nuoua altra ſciagura ancho l’aſſalta:
Nò comincia Fortúa mai per poco:
Qn u mortai ſi piglia a ſcherno e a gioco
[51]
Biſogna prima ch’io vi narri il caſo
Ch’vn poco dal ſentier dritto mi torca,
Nel mar di tramontana in ver l’occaſo
Oltre l’Irlanda vna Iſola ſi corca
Hebuda nominata, oue e rimaſo
Il popul raro: poi che la brutta Orca
E l’altro marin gregge la diſtruffe
Ch’ in ſua vendetta Proteo vi conduſſe.
[52]
Narran l’antique hiſtorie, o vere o falſe
Che tene giá quel luogo vn re poſſente:
C hebbe vna ſiglia in cui bellezza valſe
E gratia ſi: che potè facilmente
Poi che moſtroſſi in ſu l’arene falſe:
Proteo laſciare in mezo l’acque ardente
E quello (vn di che ſola ritrouolla)
Compreffe, e di ſé grauida laſciolla.
[53]
La coſa ſu grauiſſima e moleſta
Al padre, piú d’ ogn’ altro empio efeuero
Ne per iſcuſa, o per pietá: la teſta
Le perdono: ſi può lo ſdegno fiero,
Ne per vederla grauida ſi reſta
Di ſubito eſequire il crudo impero,
E ’l Nipotin che non hauea peccato
Prima fece morir, che foſſe nato.
[54]
Proteo marin che paſce il fiero armento
Di Neptuno che l’onda tutta regge:
Sente de la ſua donna aſpro tormento
E per grand’ ira, rompe ordine e legge:
Si che a mandare in terra non e lento
L’Orch e le Phoche, e tutto il mari gregge
Ch diſtruggò no ſol pecore e buoi
Ma ville e borghi, e li cultori ſuoi.
[55]
E ſpeffo vanno alle citta murate
E d’ognintorno lor mettono aiTedio:
Notte e di ſtanno le perſone armate
Con gran timore, e diſpiaceuol tedio:
Tutte hanno le campagne abbandonate
E per trouarui al ſin qualche rimedio:
Andarfi a conſigliar di queſte coſe
All’Oracol che lor coſi riſpofe.
[56]
Che trouar biſognaua vna donzella
Che ione all’altra di bellezza pare,
Et a Proteo ſdegnato oſſerir quella
In cambio de la morta in lito al mare,
S’ a ſua ſatisfation gli parrá bella
Se la terra: ne li verrá a (turbare:
Se per quello non ſta: ſé gli appreſenti
Vna & vnaltra: ſin che ſi contenti.
[57]
E coſi comincio la dura ſorte,
Tra quelle che piú grate eran di faccia:
Ch’a Proteo ciaſcun giorno vna ſi porte
Fin che trouino donna che gli piaccia,
La prima, e tutte l’altre hebbeno morte:
Che tutte giú pel ventre ſé le caccia
Vn’Orca, che reſto preſſo alla ſoce
Poi che ’l reſto parti del gregge atroce,
[58]
O vera o falſa, che foſſe la coſa
Di Proteo, ch’io nò ſo che mene dica
Seruoſſe in quella terra, con tal chioſa
Contra le donne vn’ empia lege antica:
Che di lor carne l’Orca monſtruofa,
Che viene ogni di al lito: ſi notrica:
Ben ch’eſſer donna ſia in tutte le bande,
Danno e ſciagura, quiui era pur grande.
[58]
O miſere donzelle, che traſporte
Fortuna ingiurioſa al lito intanilo,
Doue le genti ſtan ſui mare accorte,
Per far d le ſtraniere empio holocauſto
Che come piú di ſuor ne ſono morte,
Il numer de le loro e meno elhauſto
Ma pche il vento ogn’hor pda no mena
Ricercando ne van per ogni arena.
[60]
Van diſcorrendo tutta la marina
Con Fuſte, e Grippi: & altri legni loro,
E da lontana parte, e da vicina:
Portai) ſolleuamento allor martoro,
Molte donne han per ſorza e per rapina.
Alcune per luſinghe: altre per oro,
E tempre da diuerſe regioni
N’hanno piene le torri e le prigioni.
[61]
Paſſando vna lor Fuſta a terra a terra:
Inanzi a quella ſolitaria riua
Doue ſra ſterpi in ſu l’herbofa terra
La sfortunata Angelica dormiua,
Smontare alquanti galeotti in terra
Per riportarne e legna: & aqua viua
E di quante mai fur belle e leggiadre
Trouaro il fiore, i braccio al ſanto padre
[62]
O troppo cara o troppo eſcelfa preda
Per ſi barbare genti e ſi villane
O Fortuna crudel: chi ſia ch’il creda
Che tanta ſorza hai ne le coſe humane?
Che per cibo d’un moſtro tu conceda
La gra beltá, ch’in India il Re Agricane
Fece venir da le Caucafee porte:
Co meza Scythia: a guadagnar la morte
[63]
La gran beltá che ſu da Sacripante
foſta inazi al ſuo honore e al ſuo bel regno
La gra beltá, ch’al gra Signor d’ Anglate
Macchio la chiara fama, e l’alto igegno,
La gran beltá che ſé tutto Leuante
Sottofopra voltarſi: e ſtare al ſegno,
Hora non ha (coſi e rimaſa ſola)
Chi le dia aiuto pur d’ una parola.
[64]
La bella donna di gran ſonno oppreſſa
Incathenata ſu: prima che deſta
Portaro il ſrate incantator con eſſa
Nel legno pien di turba afflitta e meſta,
La vela in cima all’arbore rimeſſa
Rende la naue all’iſola funeſta
Doue chiufer la donna in rocca ſorte
Fin a quel di ch’a lei tocco la ſorte.
[65]
Ma potè ſi per eſſer tanto bella:
La ſiera gente muouere a pietade:
Che molti di: le differiron quella
Morte, e ſerbarla a gran neceſſitade,
E ſin e’ hebber di ſuore altra donzella
Perdonaro all’angelica beltade,
Al Moſtro ſu condotta ſinalmente
Piangendo dietro a lei tutta la gente.
[66]
Chi narrerá l’angofeie, i pianti, i gridi,
L’alta querela che nel ciel penetra?
Marauiglia ho, che non s’aprirò i lidi
Quado ſu poſta in ſu la ſredda pietra,
Doue in cathena priua di ſuſſidi:
Morte aſpettaua abominoſa e tetra,
Io noi diro: che ſi il dolor mi muoue
Che mi sforza voltar le rime altroue.
[67]
E trouar verſi non tanti lugubri
Fin che ’l mio ſpirto ſtanco ſi rihabbia,
Che non potrian li ſqualidi colubri
Ne l’orba tigre acceſa in maggior rabbia
Ne ciò ch da l’Athlate ai liti Rubri
Venenoſo erra per la calda ſabbia,
Ne veder ne penſar ſenza cordoglio
Angelica legata al nudo ſcoglio.
[68]
O ſé l’haueſſe il ſuo Orlando ſaputo,
Ch’ era per ritrouarla ito a Parigi:
O li dui ch’ingano ql vecchio aſtuto
Col meſſo che venia da i luoghi ſtygi:
Fra mille morti, per donarle aiuto,
Cercato haurian gli angelici veſtigi:
Ma che fariano? hauendone ancho ſpia
Poi che diſtanti ſon di tanta via?
[69]
Parigi intanto hauea l’aſſedio intorno
Dal famoſo ſigliuol del Re Troiano,
E venne a tanta eſtremitade vn giorno
Che n’andò quaſi al ſuo nimico i mano,
E ſé non che li voti il ciel placorno
Che dilago di pioggia oſcura il piano,
Cadea quel di per l’Africana lancia
Il ſanto Imperio, e ’l gra nome di Fracia.
[70]
Il ſommo Creator gliocchi riuolſe
Al giuſto lamentar del vecchio Carlo
E con ſubita pioggia il fuoco tolſe
Ne ſorſè human ſaper potea ſmorzarlo,
Sauio chiunque a Dio ſempre ſi volſe
Ch’altri non potè mai meglio aiutarlo,
Ben dal deuoto Re ſu conoſciuto
Che ſi ſaluo per lo diuino aiuto.
[70]
La notte Orlando alle noioſe piume
Del veloce pender fa parte assai,
Hor qnci hor qndi il volta, hor lo raffiline
Tutto I vn loco, e no l’afferma mai
Qual d’acqua chiara il tremolante lume
Dal Sol percoſſa o da notturni rai
Per gliapli tetti va con lúgo ſalto
A deſtra, & a finiſtra, e baffo, & alto.
[71]
La donna ſua, che gli ritorna a mente
Anzi che mai non era indi partita:
Gli raccéde nel core: e fa piú ardente
La ſiamma che nel di parea ſopita,
Coſtei venuta ſeco era in Ponente
Fin dal Cataio, e qui l’hauea (inanitá
Ne ritrouato poi veſtigio d’ella
Che Carlo rotto ſu preſſo a Bordella.
[73]
Di qſto Orlado hauea gra doglia, e ſeco
Indarno a ſua ſciochezza ripenſaua:
Cor mio (dicea) come vilmente teco
Mi ſon portato, ohimè quato mi grana.
Che potendoti hauer notte e di meco
Oliando la tua bontá non mei negaua
T’ habbia laſciato T ma di Namo porre
Per non fapermi a tata ingiuria opporre.
[74]
Non haueua ragione io di ſcufarme ?
E Carlo non m’hauria ſorſè diſdetto:
Se pur diſdetto, e chi potea sforzarme ?
Chi ti mi volea torre al mio diſpetto?
Non poteua io venir piú toſto all’arme?
Laſciar piú toſto trarmi il cor del petto?
Ma ne Carlo ne tutta la ſua gente
Di tormiti per ſorza era poſſente.
[75]
Almen l’haueſle poſta in guardia buona
Détro a Parigi. í qualche rocca ſorte:
Che l’habbia data a Namo mi conſona:
Sol perche a pder l’habbia a qſta ſorte,
Chi la douea guardar meglio perſona
! ’l me? ch’io douea farlo ſino a morte:
Guardarla piú ch ’l cor, ch gliocchi miei
K douea e potea farlo, e pur noi fei
[76]
Deh doue ſenza me, dolce mia vita
Rimaſa fei ſi gioitane e ſi bella?
Come poi che la luce e dipartita
Riman tra boſchi la ſmarrita agnella,
Che dal paſtor ſperando eſſere vdita
Si va lagnando in queſta parte e in qlla,
Tanto che ’l lupo l’ode da lontano
F. ’l miſero paſtor ne piagne in vano.
[77]
Doue ſperanza mia, doue hora fei?
Vai tu ſoletta ſorſè anchor errando?
O pur t’hanno trouata i lupi rei
Senza la guardia del tuo ſido Orlando?
E il fior ch’in ciel potea pormi ſra i Dei
Il fior ch’intatto io mi venia ſerbando
Per non turbarti (ohimè) l’animo caſto
Ohimè p ſorza haurano colto e guaſto.
[78]
O inſelice, o miſero che voglio,
Se no morir, fei mio bel fior colto hano,
O ſommo Dio fammi ſentir cordoglio
Prima d’ognaltro che di queſto danno:
Se queſto e ver co le mie man mi toglio
La vita: e l’alma diſperata danno
Coſi piangendo ſorte: e ſoſpirando
Seco dicea l’addolorato Orlando.
[79]
Giá in ogni parte, gli animanti laſſi
Dauan ripoſo a i trauagliati ſpirti:
Chi ſu le piume: e chi ſu i duri faſſi
E chi ſu P herbe: e chi ſu faggi o mirti
Tu le palpebre Orlando a pena abbaſſi
Punto da tuoi penſieri, acuti, & hirti
Ne quel ſi breue: e fuggitiuo ſonno
Godere in pace ancho laſciar ti ponno.
[80]
Parea ad Orlando, s’ una verde riua
D’odoriferi fior tutta dipinta:
Mirare il bello auorio, e la natiua
Purpura e’ hauea Amor di ſua ma tinta:
E le due chiare ſtelle, onde nutriua
Ne le reti d’ amor P anima auinta,
Io parlo de begliocchi, e del bel volto,
Ch glihano il cor di mezo il petto tolto.
[81]
Sètia il maggior piacer la maggior feſta
Che ſentir poſſa alcun felice amante,
Ma ecco intanto vſcire vna tempeſta
Che ſtruggea i fiori, & abbatea le piate,
Non ſé ne ſuol veder ſimile a queſta
Quado gioſtra Aqlone, Auſtro e leuate
Parea, che per trouar qualche coperto
Andaffe errando in van per vn deſerto.
[82]
In tanto l’infelice (e non fa come)
Perde la donna ſua per l’aer ſoſco:
Onde di qua e di la del ſuo bel nome
Fa riſonare ogni campagna e boſco,
E mentre dice indarno: miſero me
Chi ha cangiata mia dolcezza in toſco,
Ode la donna ſua, che gli domanda
Piangendo aiuto, e ſé gli raccomanda.
[83]
Onde par ch’eſca il grido, va veloce:
E quinci e quindi s’ affatica assai:
O quanto e il ſuo dolore aſpro & atroce
Che non può riuedere i dolci rai,
Ecco ch’altronde ode da vn’ altra voce
Non ſperar piú gioirne in terra mai,
A queſto horribil grido rifueglioffi
E tutto pien di lachryme trouoſſi.
[84]
Senza penſar che ſian P imagin falſe
Quando per tema, o per diſio ſi ſogna,
De la donzella per modo gli calſe
Che ſtimo giúta a dáno, od’ a vergogna,
Che ſulminando ſuor del letto falſe,
Di piaſtra e maglia, quanto gli biſogna
Tutto guarniffi, e Brigliadoro tolſe,
Ne di feudiero alcun ſeruigio volſe.
[85]
E per potere entrare ogni ſentiero
Che la ſua dignitá macchia non pigli,
Non P honorata inſegna del quartiero
Diſtinta di color bianchi e vermigli:
Ma portar volſe vn’ ornamento nero
E ſorſè accio, ch’al ſuo dolor ſimigli,
E qllo hauea giatolto avno Amoſtante:
Ch’uccife di ſua man pochi anni inante.
[86]
Da meza notte tacito ſi parte
E non ſaluta e nò fa motto al Zio,
Ne al ſido ſuo compagno Brandimarte,
Che tanto amar ſolea, pur dice a Dio,
Ma poi che ’l Sol co l’auree chiome ſparte
Del ricco Albergo di Tithoevſcio,
Et ſé l’ombra fugire humida e nera
S’auide il Re che ’l paladin non vera.
[87]
Con ſuo gran diſpiacer s’auede Carlo
Che partito la notte e ’l ſuo Nipote,
Quado eſſer douea ſeco, e piū aiutarlo:
E ritener la colera non puote:
Ch’a lamentarti d’effo & a grauarlo
Non incominci di biaſmeuol note,
E minacciar ſé non ritorna, e dire
Che lo faria di tanto error pentire.
[88]
Bradimarte ch’Orlando amaua a pare
Di ſé medeſmo, non fece ſoggiorno:
O che ſperaffe farlo ritornare:
O ſdegno haueſſe vdirne biaſmo e ſcorno
E volſe a pena tanto dimorare
Ch’uſciffe ſuor nel oſcurar del giorno,
A Eiordeligi ſua nulla ne diſſe
Perche 1 diſegno ſuo non gl’impediffe.
[89]
Era queſta vna donna che ſu molto
Da lui diletta: e ne ſu raro ſenza,
Di coſtumi, di gratia, e di bel volto
Dotata, e d’accortezza: e di prudenza
E ſé licentia hor non n’haueua tolto
Fu che ſpero tornarle alla preſenza
Il di niedefmo, ma gli accade poi
Che lo tardo piū de i diſegni ſuoi.
[90]
E poi ch’ella aſpettato quaſi vn meſe
In damo l’hebbe, e che tornar noi vide,
Di deſiderio ſi di lui s’acceſe
Che ſi parti ſenza compagni o guide,
E cercandone andò molto paeſe,
Come l’hiſtoria al luogo ſuo dicide,
Di qſti dua non vi dico hor piū inante
Che piū m’iporta il cauallier d’Anglāte
[91]
Il qual poi che mutato hebbe d’Alini>u
Le glorioſe inſegne, andò alla porta,
E diſſe nel’orecchio: io ſono il Conte:
A vn capitan che vi facea la ſcorta,
E fattoli abaſſar ſubito il ponte
Per qlla ſtrada con piū breue porta
A gl’inimici, ſé n’andò diritto
Quel che ſegui nel’altro canto e ſcritto.