Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/115


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Stupida e ſiſſa nella incerta ſabbia:
     Coi capelli diſciolti e rabuffati:
     Co le man giunte: e con l’immote labbia
     I languidi occhi al ciel tenea leuati:
     Come accuſando il gra motor che l’habbia
     Tutti inclinati nel ſuo dano i fati,
     Immota, e eòe attonita, ſte aleuto
     Poi ſciolſe al duol la ligua, e gliocchi al piato

 [40]
Dicea fortuna che piú a far ti reſta
     Accio di me ti fatii e ti disfami ?
     Che dar ti poſſo nomai piú ? ſé non qſta
     Mifera vita? ma tu non la brami:
     C hora a trarla del mar fei ſtata preſta
     Quando potea ſinir ſuoi giorni grami,
     Perche ti parue di voler piú anchora
     Vedermi tormetar prima ch’io muora.

 [41]
Ma che mi poſſi nuocere non veggio
     Piú di quel che ſin qui nociuto m’hai,
     Per te cacciata ſon del Real ſeggio,
     Doue piti ritornar non ſpero mai,
     Ho perduto l’honor: ch’e ſtato peggio
     Che ſé ben con effetto io non peccai:
     Io do perho materia, ch’ognun dica,
     Ch’eſſendo vagabonda io ſia impudica.

 [42]
C hauer può dona al mòdo piú di buono
     A cui la caſtita leuata ſia?
     Mi nuoce (ahimè) ch’io so gioitane e ſono
     Tenuta bella, o ſia vero, o bugia,
     Giá no ringratio il ciel di queſto dono,
     Che di qui naſce ogni ruina mia:
     Morto per queſto ſu Argalia mio ſrate
     Che poco gli giouar l’arme incantate.

 [43]
Per queſto il Re di Tartaria Agricane
     Disſece il genitor mio Galaphrone:
     Ch’in India del Cataio era gran Cane:
     Onde io ſon giunta a tal conditione,
     Che muto albergo da ſera a dimane:
     Se l’hauer ſé l’honor ſé le perſone
     M’hai tolto, e fatto il mal ch far mi puoi:
     A ch piú doglia ancho ſerbar mi vuoi?

 [44]
Se l’affogarmi in mar morte non era
     A tuo ſenno crudel: pur ch’io ti ſntii
     Non recuſo che mandi alcuna ſera
     Che mi diuori: e non mi tenga in ſtratii.
     D’ogni martir che ſia: pur ch’io ne pera
     Eſſer non può ch’assai non ti ringratii,
     Coſi dicea la donna con gran pianto
     Quando le apparue l’Eremita accanto.

 [45]
Hauea mirato da l’eſtrema cima
     D’un rileuato ſaſſo l’Eremita,
     Angelica che giunta alla parte ima
     E de lo ſcoglio, afflitta e sbigottita:
     Era fei giorni egli venuto prima:
     Ch’un Demonio il porto p via non trita
     E venne a lei, ſingendo diuotione,
     Quata haueſſe mai Paulo, o Hilarione.

 [46]
Come la Donna il comincio a vedere
     Preſe, non conoſcendolo conſorto,
     E ceffo a poco a poco il ſuo temere,
     Bèche ella haueſſe achora il viſo ſmorto:
     Come ſu preſſo, diſſe miſerere
     Padre di me: chi ſon giúta a mal porto,
     E con voce interrotta dal fingulto
     Gli diſſe quel ch’a lui non era occulto.